La violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole, a causa del disinteresse mostrato nei confronti dei figli per lunghi anni, integra gli estremi dell'illecito civile, cagionando la lesione di diritti costituzionalmente protetti, e dà luogo ad un'autonoma azione dei medesimi figli volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c. La sentenza della sex. IX del Tribunale di Milano affronta la complessa e delicata tematica del c.d. danno endofamiliare derivante dalla violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole, a causa del disinteresse mostrato nei confronti dei figli per lunghi anni. Il caso esaminato dal Tribunale di Milano è quello di una figlia nata dall’unione di due coniugi che hanno convissuto fino al 2000, dopo pochi mesi dalla nascita il padre abbandona il domicilio familiare lasciando la sola madre ad occuparsi della minore, provvedendo, soprattutto, a sostenerla integralmente dal punto di vista economico senza alcun aiuto da parte dell’altro coniuge. Al di là del giusto riconoscimento dell’obbligo di mantenimento e del conseguente accoglimento della domanda di regresso, il Tribunale di Milano è chiamato anche a valutare l’azione di risarcimento danni contro il padre per il disinteresse manifestato dal 2000 e quindi per l’abbandono morale della minore provato da diverse circostanze. Basti pensare che dopo il giugno del 2000, il padre ha rivisto la figlia solo in occasione della cresima e, nel tempo, nemmeno ha dato la disponibilità necessaria per consentirle di ottenere i documenti amministrativi necessari per le attività più semplici. L’assenza del padre, nella fattispecie, è particolarmente rilevante. Difatti la figlia, pur avendo un padre inserito nel mercato del lavoro (prima dipendente, poi imprenditore) è stata costretta a vivere con il solo (basso) reddito della madre, aiutata dalla nonna materna, così conducendo una vita «qualitativamente» inferiore a quella che sarebbe spettata, privata di tantissime attività realizzatrici della persona che avrebbero potuto comporre il compendio della sua crescita psico-fisica. Di conseguenza ha subito, indubbiamente, un danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. (esistenziale) da privazione della figura genitoriale paterna, a causa del comportamento consapevole e colposo del padre. Tale voce risarcitoria trova tutela ex artt. 2043, 2059 cod. civ. Come giustamente sostiene il Tribunale di Milano è acquisizione da tempo, ormai condivisa dalla giurisprudenza e dalla dottrina, che nel sistema delineato dal legislatore del 1975 il modello di famiglia-istituzione, al quale il codice civile del 1942 era rimasto ancorato, è stato superato da quello di famiglia-comunità, i cui interessi non si pongono su un piano sovraordinato, ma si identificano con quelli solidali dei suoi componenti. Si tratta di un disegno della “nuova famiglia” completato e arricchito dalla L. 219/2012 e dal D.Lgs. 154/2013 che hanno ulteriormente amplificato il “valore” del singolo membro nella comunità familiare, in particolare sottolineando come i genitori non esercitano una “potestà genitoriale” ma sono titolari di una “responsabilità genitoriale”: concetto che già in sé richiama il dovere piuttosto che il diritto. Il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente dei nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, cosi come da parte del terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all’interno di un contesto familiare. In particolare la sentenza della Cassazione n. 9801/2005 ha ampliato le frontiere della responsabilità civile nelle relazioni familiari e, oggi, il principio di indefettibilità della tutela risarcitoria trova spazio applicativo – pacificamente - anche all'interno dell'istituto familiare, pur in presenza di una specifica disciplina dello stesso (Cass. Civ., sez. I, sentenza 20 giugno 2013, n. 15481). Si tratta, appunto, dei cd. illeciti endofamiliari come nel caso di specie. Difatti, un’ ipotesi di illecito endofamiliare è proprio quella da privazione del rapporto genitoriale, in cui soggetto attivo è il genitore che omette di svolgere il ruolo da egli stesso scelto con la procreazione e soggetto passivo è il minore, che perde, senza sua colpa, uno dei genitori. La “perdita” del genitore non è compensata dalla presenza dell’altro o dei parenti prossimi; non è nemmeno compensata dal mero sostegno economico. E’ perdita che segna la vita del fanciullo; è perdita che causa un danno alla sua stessa identità personale. Secondo l’Organo giudicante questa è una situazione giuridica soggettiva di rango primario, come tale suscettibile di ristoro anche non patrimoniale in caso di lesione, venendo in rilievo situazioni giuridiche soggettive avvolte dalla coltre costituzionale (è perciò ammesso il risarcimento ex art. 2059 c.c.: Cass. civ., Sez. Un., sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 – 26975). La conclusione, quindi, è che senz’altro il minore ha diritto al risarcimento del danno che abbia patito in conseguenza dell’assenza del genitore. La voce di pregiudizio in esame sfugge a precise quantificazioni in moneta e, pertanto, si impone la liquidazione in via equitativa ex art. 1226 cod. civ. La particolare tipologia del danno non patrimoniale in questione, consistente nella integrale perdita del rapporto parentale che ogni figlio ha diritto di realizzare con il proprio genitore e che deve essere risarcita per il fatto in sé della lesione (cfr. Cass. n. 7713/2000), può, in particolare, incontrare una liquidazione per indici presuntivi e secondo nozioni di comune esperienza. In particolare può essere applicata, come riferimento liquidatorio, la voce ad hoc prevista dalle tabelle giurisprudenziali adottate dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano (“perdita del genitore”).