La madre minorenne non puo' essere privata del suo bambino se dimostra volontà di maturare e crescere nell'interesse del piccolo
Corte di Cassazione sentenza 25 gennaio 2017 n.1932
Avv. Massimiliano Solinas
di Genova, GE
Letto 239 volte dal 18/04/2018
In tema di adozione ed affidamento dei minori, il diritto fondamentale del figlio di vivere con i suoi genitori e di essere allevato nell'ambito della propria famiglia può essere limitato solo quando si configuri un endemico e radicale stato di abbandono e la dichiarazione dello stato di adottabilità va emessa solo come "extrema ratio". Solo in tale prospettiva possono trovare applicazione .......
Dichiarazione di adottabilita`Svolgimento del processo Con sentenza emessa del 721.9.2015, il Tribunale per i minorenni di Catania ha dichiarato lo stato di adottabilita` del minore N.A.F., nato il (OMISSIS) dall'unione di M.P.E., all'epoca minorenne (classe (OMISSIS)) e di N.G.F.. Dopo aver affermato che il padre, affetto da insufficienza mentale e incapace di adeguato controllo dei propri impulsi aggressivi, era incapace di assicurare al bambino l'assistenza morale e materiale ad un livello minimamente accettabile, il Tribunale ha, del pari, ritenuto la madre inidonea al ruolo genitoriale, perche` priva della dovuta consapevolezza circa la necessita` di intraprendere un percorso di responsabilizzazione da un passato abbandonico, ed, inoltre, perche` aveva violato le prescrizioni del Tribunale e della comunita` presso cui era collocata, non si era presentata al servizio competente ed aveva continuamente cambiato uomini sbagliati.
La Corte di appello di Catania sezione per i minorenni con la sentenza depositata il 27.4.2016, ha accolto l'appello proposto dalla sola madre, osservando che la funzione genitoriale della stessa non poteva dirsi del tutto compromessa, in quanto pur essendo un soggetto vulnerabile perche` divenuta madre quando era ancora bambina, priva di validi riferimenti familiari e maltrattata non presentava assetti patologici di personalita` ed era stata positivamente valutata dal servizio di psicologia, che aveva evidenziato come la stessa, ove adeguatamente sostenuta, aveva buone possibilita` di completare il suo percorso di crescita e di svolgere adeguatamente il ruolo materno. Pur non sottovalutando alcuni indici negativi evidenziati dal Tribunale (sporgersi dalla finestra col bambino in braccio, relazione con un uomo poco raccomandabile), la Corte ha ritenuto che le criticita`, qualificate non gravi, potevano esser recuperate, anche tenuto conto della buona volonta` mostrata dalla madre (la relazione sentimentale inappropriata era cessata e la stessa era tornata in una comunita`), mediante la predisposizione di un adeguato progetto di sostegno, che tenesse conto della sua condizione di madre bambina, e che, invece, non era stato attivato, essendo piuttosto stata giudicata alla stregua di un'adulta dai responsabili della struttura presso cui era stata ricoverata insieme al figlio.
Contro la sentenza di appello, ha proposto ricorso per cassazione il tutore provvisorio del minore affidato a due motivi. Ha resistito con controricorso M.P.E.. Non ha svolto difese N.G.F.. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. La questione, sollevata dal Procuratore generale in udienza, relativa alla disintegrita` del contraddittorio per la mancata nomina di un curatore speciale al minore, e` infondata, avendo questa Corte (Cass. n. 16553 del 2010; n. 11420 del 2014) affermato il principio, che qui si condivide, secondo cui nel procedimento di adozione, a differenza che nel rapporto tra minore e genitore in cui e` in re ipsa, il conflitto d'interessi tra minore e tutore e`, solo, potenziale ed il relativo accertamento deve essere compiuto in astratto ed ex ante e non in concreto ed a posteriori (alla stregua degli atteggiamenti assunti dalle parti in causa), dovendo, pertanto, escludersi, da tale angolazione prospettica, che il nominato tutore abbia versato, anche soltanto potenzialmente, in conflitto d'interessi con il minore.
2. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia l'omesso esame di fatti storici decisivi, la cui esistenza risulta da documenti oggetto di discussione tra le parti, nonche` la violazione e la falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 10 e 15, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma, nn. 5 e 3. Sotto il primo profilo, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non ha motivato sulla base di quali concrete circostanze abbia ritenuto possibile il cambiamento della madre, tenuto conto:
delle sue fughe dalla comunita` e del pessimo utilizzo dei permessi d'uscita;
dei legami sentimentali estremamente conflittuali e i pericolosi col N. (padre del bambino) e con tale C.B., persone con le quali si univa e si lasciava, malgrado le minacce di morte e le violenze subite, cosi` dimostrando l'incapacita` di resistere alle sollecitazioni di natura sentimentale;
delle prospettive di coinvolgimento del minore nella personalita` disturbata di entrambi detti compagni;
dei comportamenti immaturi e pregiudizievoli (si era sporta dalla finestra col bambino in braccio ed arrampicata su un mobile), cosi` dando prova d'incapacita` di resistere alle spinte impulsive;
della mancata partecipazione ai progetti della comunita` volti ad acquisire competenze ed abilita` che attengono al ruolo di madre;
della violazione degli impegni presi col GD del Tribunale all'udienza del 6.7.2015, e dell'incapacita` di trarre insegnamento dai precedenti errori;
della mancata presentazione alla convocazione per il secondo colloquio col figlio, fissata per il 27.8.2015.
Il ricorrente afferma che la ricostruzione della Corte di Catania, secondo cui l'adottabilita` era stata dichiarata senza la predisposizione di adeguati progetti di sostegno non risponde al vero, rileva, inoltre, che la separazione della madre dal figlio e` avvenuta il (OMISSIS) e non nel mese di febbraio, come affermato in sentenza e che gli ulteriori incontri col bambino non sono stati effettuati per la fuga dellamadre dalla comunita` con il C. (soggetto pregiudicato e violento), nonostante la stessa avesse promesso di lasciarlo, comportamento che aveva determinato la decisione, del tutto corretta, dei servizi e del Tribunale di non "inseguire" la M. e di procedere alla dichiarazione di adottabilita`.
La Corte, prosegue il ricorrente, e` incorsa nella violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 10 e 15, per avere omesso di acquisire gli elementi necessari a verificare il comportamento della madre in epoca successiva alla sentenza di primo grado, indagine che avrebbe evidenziato che la stessa era fuggita, per due volte, dalla comunita` per recarsi presso l'abitazione del C..
Il ricorrente afferma che i giudici d'appello non hanno tenuto conto che la favorevole valutazione del servizio di psicologia evidenzia che la M. presenta risorse solo potenziali, sicche` tale valutazione avrebbe dovuto esser integrata con la verifica dell'effettivita` delle dichiarate buone intenzioni, in quanto se e` vero che la dichiarazione dello stato di adottabilita` non puo` fondarsi su anomalie non gravi del carattere, e` sempre necessario che la situazione comportamentale negativa sia transitoria, traducendosi, diversamente, in un'effettiva incapacita` di allevare ed educare il bambino.
2. Col secondo motivo, si deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1, 2, 8 e art. 15, lett. a), nonche` omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Il ricorrente afferma che la Corte d'appello ha errato nell'avere "spostato il focus dell'attenzione dall'azione di tutela del bambino e del suo diritto ad una crescita armonica e serena alla tutela della madre ed alla necessita` di aiutarla e non giudicarla", e a non aver valutato se i tempi di recupero siano compatibili con le necessita` del minore di crescere in un contesto stabile.
3. I motivi, da valutarsi congiuntamente, sono infondati. 4. Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato (cfr. da ultimo Cass. n. 13435 del 2016), che costituisce un diritto fondamentale del figlio quello di vivere con i suoi genitori e di essere allevato nell'ambito della propria famiglia, diritto che va salvaguardato in via prioritaria, in quanto "per un genitore e suo figlio, stare insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare" (cosi`, Corte europea dei diritti dell'uomo, SH c/ Italia 13.10.2015 p. 48 e cfr. sentenze ivi richiamate); tale diritto, come del resto riconosce il ricorrente, puo` essere limitato solo quando si configuri un endemico e radicale stato di abbandono, ed impone quindi che si proceda con particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilita`, la cui dichiarazione costituisce e va emessa, solo, come extrema ratio. In tale prospettiva, vanno quindi apprezzati gli istituti disciplinati dalla L. n. 184 del 1983 e succ. modifiche, che sono, infatti, applicabili "quando la famiglia non e` in grado di provvedere alla crescita e all'educazione del minore" (art. 1, comma 4), e che consentono il ricorso alla dichiarazione di adottabilita` di un figlio minore dopo l'inutile esperimento di tutte le misure idonee a preservare, per quanto possibile, il legame familiare e, solo, in presenza di fatti che devono essere specificamente dimostrati in concreto tali da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psicofisico del bambino e, dunque, indicativi in modo certo dello stato di abbandono, morale e materiale (cfr. Cass. n. 7391 del 2016).
5. Se, dunque, a torto il ricorrente deduce che l'attenzione della Corte d'Appello si sarebbe focalizzata sulla persona della madre, dato che e` stato considerato e salvaguardato proprio il diritto fondamentale del figlio di vivere con la stessa, tanto piu` che e` stata accertata l'esistenza di un legame tra i due (il bambino aveva pianto nel separarsi dalla madre nell'unica visita consentita), va rilevato che gli esposti principi sono stati correttamente applicati dai giudici d'appello laddove hanno ribaltato il giudizio d'incapacita` genitoriale della madre formulato dal Tribunale, che non aveva tenuto conto della sua situazione di vulnerabilita` a causa della giovanissima eta` (appena maggiorenne e divenuta madre all'eta` di 14 anni) della mancanza di validi riferimenti familiari e dell'essere stata oggetto di maltrattamenti, eisoprattutto, non aveva considerato che non erano state adottate tutte le misure necessarie e appropriate onde sostenere il processo di crescita della M. che, salvo tratti infantili coerenti con l'eta`, non presenta un assetto patologico di personalita` e cosi` favorire lo svolgimento del ruolo materno.
6. Il giudizio circa il positivo recupero dei rilevati profili di criticita`, ritenuti non gravi, con l'acquisizione della capacita` genitoriale della madre, ove opportunamente sostenuta, non e` efficacemente contrastato dal tutore ricorrente. Al riguardo, va rilevato che: a) l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consente di denunciare per cassazione l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (id est che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); b) il ricorrente e` onerato, nel rispetto delle previsioni dell'art. 366 c.pc.., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisivita`"; c) l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se`, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche` la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. SU n. 8053 del 2014).
7. E, nella specie, il ricorso non solo non indica di quale fatto avente le anzidette caratteristiche sia stato omesso l'esame, tanto piu` che non vengono specificati i progetti predisposti dalla comunita` che la madre avrebbe disertato, ne` (oltre gli episodi gia` considerati dalla Corte territoriale: affacciarsi alla finestra col bambino in braccio e salire su un mobile) quali attivita` pregiudizievoli per il bambino la stessa abbia posto in essere, ne`, ancora, quali impegni presi col GD all'udienza del 6.7.2015 siano stati violati, ma,soprattutto, le circostanze sopra enunciate, come pure le fughe dalla comunita`, la mancata partecipazione al secondo incontro col bambino previsto per il mese di agosto (che la Corte afferma mai da lei saputo, perche` si era allontanata dalla Comunita` e non era stata cercata) e le relazioni sentimentali con individui pericolosi sono state oggetto d'esame da parte dei giudici d'appello e di specifico apprezzamento. Per completezza, va aggiunto che, quand'anche provato, l'errore che il ricorrente imputa alla Corte territoriale nell'indicare l'epoca in cui e` avvenuta la separazione tra madre e figlio maggio 2015 invece del precedente febbraio (in cui pero` risulta emesso il decreto di affidamento etero familiare e l'allontanamento della madre, cfr. pag. 4 ricorso) e dunque nell'individuazione del lasso di tempo intercorso prima dell'organizzazione dell'unico incontro madre figlio avvenuto il 1.7.2015, riduce in tesi la misura del ritardo degli operatori, ma e` irrilevante ai fini della valutazione dello stato di abbandono.
8. E' dunque evidente che la contestazione si riferisce al supposto errore nella valutazione delle risultanze processuali, sia in termini di gravita` delle carenze della madre, che di prognosi circa l'acquisizione delle future competenze ed il tempo a cio` necessario, errore che sarebbe aggravato dalla mancata attivazione di mezzi istruttori volti a sondare l'effettivita` della buona volonta` espressa della M. ed a valutarne l'operato. 9. Ma, ancorche` sia stata dedotta anche la violazione e falsa applicazione di legge, tale censura attiene alla ricognizione della fattispecie concreta attraverso le risultanze di causa e dunque al giudizio di fatto rimesso in via esclusia` al giudice del merito ed estraneo al giudizio di legittimita`, in cui non possono esser dedotti fatti nuovi (come riconosce il ricorrente in sede di difese) ne` esser rivisitate in senso critico le ricostruzioni dei fatti operate dalla Corte del merito. Sotto altro profilo, va rilevato che la L. n. 184 del 1983, art. 17, nel disciplinare il giudizio d'appello avverso la sentenza che dichiara lo stato d'adottabilita`, consente ma non impone alcuno specifico accertamento, essendo piuttosto volto ad imprimere un iter celere dell'impugnazione (laddove prevede la fissazione dell'udienza entro sessanta giorni dal deposito dell'atto d'appello ed il deposito della sentenza entro quindici giorni dalla pronuncia) in considerazione dell'interesse del minore alla sollecita definizione del suo status; sicche` trattandosi di attivita` istruttoria rimessa alla discrezionalita` della Corte d'Appello la relativa omessione indice della ritenuta non indispensabilita` dell'indagine non e` suscettibile di ricorso per cassazione per violazione di legge.
9. Il ricorso va rigettato e le spese vanno compensate, essendo entrambe le parti state ammesse al patrocinio a spese dello Stato sicche` l'onorario e le spese spettanti al difensore andranno liquidati ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 82, ovvero con istanza rivolta al giudice del procedimento non potendo frasi applicazione del medesimo D.P.R. n. 115 del 2002, art. 133, relativo al diverso caso in cui soccombente sia una parte non ammessa a patrocinio (cfr. Cass. n. 18583 del 2012, in tema di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato vittoriosa in una controversia civile proposta contro un'amministrazione statale).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Cosi` deciso in Roma, il 1 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2017
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