Impugnazione della donazione per incapacità naturale
sentenza Cassazione – Sezione seconda civile – 13 dicembre 2006-10 aprile 2007, n. 8728
Avv. Massimo Lazzari
di Lecce, LE, Italia
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E’ valida la donazione impugnata per incapacità del donante se non si prova che al momento dell’elargizione il disponente era assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, e non solo in uno stato di generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà. Presidente Spadone – Relatore Mazzacane Pm Sgroi – conforme – Ricorrente D. F.
E’ valida la donazione impugnata per incapacità del donante se non si prova che al momento dell’elargizione il disponente era assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, e non solo in uno stato di generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà.
Presidente Spadone – Relatore Mazzacane Pm Sgroi – conforme –
Ricorrente D. F. – Controricorrente D. F. e altro
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 29 settembre 1983 Gabriella e Sofia D. F. , premesso che nei primi giorni dell’anno 1983 avevano appreso che il 27 ottobre 1981 il loro padre Carlo D. A. D. F. aveva donato all’altra sua figlia Maria D. F. un appartamento sito in L’Aquila, Via Tre Marie 39, e una porzione di un fabbricato situato in Lucori, Via della Cona 46, assumevano l’invalidità di tale donazione sia perché disposta da un soggetto incapace di intendere e di volere, sia perché frutto di circonvenzione di incapace e quindi di grave ingiuria commessa dalla donataria nei confronti del donante, sia perché lesiva della quota di eredità spettante alle figlie legittimarie; le attrici convenivano quindi in giudizio dinanzi al Tribunale dell’Aquila Maria D. F. chiedendo l’annullamento, la revocazione o la riduzione della donazione nonché il risarcimento dei danni subiti da liquidare in separata sede.
Si costituiva in giudizio la convenuta contestando il fondamento delle domande attrici e chiedendo in via riconvenzionale la divisione dei beni ereditari. Intervenivano poi volontariamente nel processo Maria C., Carlo D. F. , Linda D. F. e Maria Cristina D. F. , anche essi eredi di Carlo D. A. D. F. , aderendo alle domande attrici.
Restava invece contumace Guido D. F. .
Con successivo atto di citazione notificato il 26 ottobre 1983 Gabriella e Sofia D. F. , premesso che il 17 settembre 1982 Carlo D. A. D. F. aveva venduto a S. L. un fondo in Agro di Lucoli, e che la vendita era o annullabile per incapacità di intendere e di volere del venditore o nulla perché dissimulante una donazione disposta, in difetto della prescritta forma, in favore di Maria D. F. , suocera del L., convenivano quest’ultimo in giudizio dinanzi al Tribunale dell’Aquila chiedendo dichiararsi la nullità della vendita o il suo annullamento e il risarcimento dei danni subiti.
Il L. costituendosi in giudizio resisteva a tali domande e in via riconvenzionale chiedeva la condanna delle controparti al risarcimento dei danni provocati dalla illegittimità dell’azione contro di lui proposta.
Intervenivano volontariamente nel processo Maria C., Carlo D. F. , Linda D. F. e Maria Cristina D. F. aderendo alle domande attrici.
Con ulteriore atto di citazione notificato il 29 ed il 30 novembre 1984 Gabriella D. F. , Sofia D. F. , Carlo D. F. , Linda D. F. , Maria Cristina D. F. e Maria C., premesso che con testamento pubblico del 9 gennaio 1982 Carlo D. A. D. F. aveva lasciato l’intera quota disponibile alla figlia Maria D. F. , e che tale disposizione era nulla per incapacità di intendere e di volere del testatore, ed era comunque lesiva della quota di riserva spettante agli attori, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale dell’Aquila Maria D. F. e Guido D. F. chiedendo dichiararsi che tutti i beni mobili rinvenuti nell’abitazione del “de cuius” e inventariati appartenevano all’eredità, dichiararsi la nullità o annullarsi il suddetto testamento, e conseguentemente condannarsi Maria D. F. alla restituzione dei beni ricevuti, al rendiconto dei frutti percepiti ed al risarcimento dei danni procurati agli altri eredi.
Si costituiva in giudizio soltanto Maria D. F. che chiedeva il rigetto delle domande attrici e, in via riconvenzionale, chiedeva dichiararsi l’esclusiva sua proprietà sui beni inventariati.
Disposta la riunione dei procedimenti il Tribunale adito con sentenza del 1 giugno 1994 disponeva la separazione e la remissione in istruttoria del giudizio relativo alle domande di riduzione della donazione del 27 ottobre 1981, di divisione dei beni ereditari e di rendiconto e rigettava tutte le altre domande.
Proposto gravame da parte di Gabriella D. F. , Sofia D. F. , Maria C., Carlo D. F. , Linda D. F. e Maria Cristina D. F. cui resistevano Maria D. F. e Sergio L., il quale proponeva appello incidentale con riferimento alla compensazione delle spese di lite operate dal Giudice di primo grado mentre Guido D. F. restava contumace, la Corte di Appello dell’Aquila con sentenza del 30 settembre 2002 ha rigettato l’impugnazione principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, ha compensato per metà le spese di primo grado relative al rapporto processuale tra il L. e le controparti, e ha condannato queste ultime al rimborso della residua metà di esse in favore dell’appellante incidentale.
La Corte territoriale ha escluso la prova di una incapacità di intendere e di volere di Carlo D. A. D. F. all’atto di porre in essere il testamento pubblico del 9 gennaio 1982, atteso che dagli elementi acquisiti erano emerse solo delle anomalie comportamentali del “de cuius”, negli ultimi tempi non rilevanti ai fini dell’accoglimento della domanda proposta a suo tempo dagli appellanti principali.
Il Giudice di Appello, poi, con riferimento alla domanda di accertamento della simulazione della vendita stipulata da Carlo D. A. D. F. ed il L. dissimulante una donazione nulla per difetto di forma, ha rilevato che gli attori, avendo agito nei confronti del L. quali eredi del “de cuius” ed avendo quindi esercitato una delle azioni che quest’ultimo era legittimato ad esperire, dovevano essere considerati, rispetto all’atto di cui avevano dedotto la simulazione, come parti, cosicché erano soggetti, quali titolari della “res” litigiosa oggetto di causa, alle stesse limitazioni probatorie del “de cuius”; pertanto, considerato che gli unici elementi offerti dagli attori, consistenti nella esiguità del prezzo versato per la vendita e nella circostanza che l’assegno circolare con cui tale prezzo era stato pagato al D. A. D. F. era stato richiesto in banca dalla figlia del L. ed era stato in seguito girato dallo stesso D. A. D. F. a favore di Maria D. F., costituivano meri indizi su cui potevano essere fondate semplici presunzioni, doveva concludersi che la prova della dedotta simulazione non era stata affatto fornita.
Per la cassazione di tale sentenza Gabriella D. F. ha proposto un ricorso articolato in tre motivi cui Maria D. F. e Sergio L. hanno resistito con controricorso; Sofia D. F. , Maria C., Carlo D. F. , Linda D. F. , Maria Cristina D. F. e Guido D. F. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 428 Cc e 643 Cp nonché insufficiente e/o contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per aver escluso che Carlo D. A. D. F. fosse incapace di intendere e di volere al momento della redazione del testamento del 9 gennaio 1982 sul presupposto che il medesimo non era affetto da alcuna patologia clinica.
La ricorrente rileva che il Giudice di Appello è pervenuto a tale convincimento sulla base delle sole valutazioni del perito d’ufficio dottor Gianfelice nell’ambito del procedimento penale instaurato a carico di Maria D. F. per circonvenzione di incapace conclusasi con sentenza istruttoria di proscioglimento non considerando che lo stato di infermità o deficienza psichica della fattispecie penale non coincide con l’incapacità di intendere e di volere di quella civile e che il decadimento delle capacità intellettive e volitive del “de cuius” era emerso dalle deposizioni dei testi escussi nel giudizio civile nonché dalla sentenza dibattimentale del 27 novembre 1986 del Tribunale di Roma di assoluzione di Gabriella e Sofia D. F. dal reato di calunnia in danno di Maria D. F. , sentenza che invece aveva accertato l’incapacità di Carlo D. A. D. F. .
Con il terzo motivo Gabriella D. F. , deducendo violazione dell’articolo 2909 Cc nonché vizio di motivazione, assume che la sentenza impugnata, nell’affermare che riguardo al “de cuius” erano emersi solo sporadici episodi di modeste anomalie comportamentali, non ha tenuto conto della prova testimoniale espletata e della già menzionata sentenza del Tribunale di Roma del 27 novembre 1986 dalla quale erano risultate notevolmente scadute le condizioni psicologiche di Carlo D. A. D. F.
Le enunciate censure, da esaminare contestualmente in quanto connesse, sono infondate.
Il Giudice di Appello, nell’escludere una incapacità naturale del testatore, ha evidenziato che dalle deposizioni testimoniali acquisite nonché da quelle richiamate dalla sentenza del Tribunale di Roma di assoluzione di Gabriella e Sofia D. F. dal reato di calunnia erano emerse delle anomalie comportamentali del D. A. D. F. che potevano semmai rappresentare degli indici rivelatori di una generica riduzione della sua capacità di intendere e di volere, ma che non costituivano elementi idonei a fornire la prova della assoluta incapacità richiesta ai fini della invalidità del testamento; ha poi aggiunto che anzi dalla lettura della sentenza istruttoria di proscioglimento di Maria D. F. dal reato di circonvenzione di incapace era risultato che il perito nominato nell’ambito di quel giudizio penale dottor Gianfelice aveva escluso, anche a seguito di ripetuti esami del D. A. D. F. (all’epoca ancora in vita) che questi fosse affetto da qualsiasi infermità mentale, avendo riscontrato soltanto un minimo decadimento delle facoltà mentali che non aveva in alcun modo compromesso il suo potere di critica e le sue funzioni volitive.
Orbene sulla base di tale esauriente accertamento di fatto svolto dal Giudice di merito nell’ambito delle peculiari funzioni in proposito ad esso riconosciute, deve ritenersi che il convincimento espresso riguardo alla insussistenza dei presupposti per ritenere invalido il testamento del 9 gennaio 1982 è immune dalle censure sollevate dalla ricorrente; ed invero secondo l’orientamento consolidato di questa Corte l’incapacità naturale del disponente, che ai sensi dell’articolo 591 Cc determina l’invalidità del testamento, non si identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà, ma richiede che, a causa dell’infermità, al momento della redazione del testamento il soggetto sia assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi (Cassazione 15480/01; 1444/03; 8079/05); pertanto deve rilevarsi l’infondatezza delle argomentazioni della ricorrente, che da un lato tende inammissibilmente a prospettare una realtà di fatto diversa da quella delineata dalla sentenza impugnata e dall’altro ipotizza, ai fini dell’ annullamento del testamento, una concezione della anomalia delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius” caratterizzata da liti meno rigorosi di quelli requisiti sopra richiamati.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli articoli 1417 - 553 e seguenti Cc, 112 Cpc e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la domanda di simulazione della vendita stipulata il 17 settembre 1982 tra Carlo D. A. D. F. e Sergio L. e di nullità per difetto di forma o di consenso della donazione dissimulata era soggetta alle limitazioni probatorie previste dall’articolo 1417 CC, non avendo Gabriella e Sofia D. F. prospettato che tale vendita avesse comportato una diminuzione della quota ereditaria loro spettante per legge.
La ricorrente assume che nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado riguardante le tre cause riunite le attrici avevano chiesto in via subordinata l’accoglimento dell’azione di riduzione ex articoli 553 e seguenti Cc e che l’accertamento della simulazione era il mezzo per conseguire la tutela delle proprie ragioni di legittimarie; del resto la stessa Corte territoriale ha riconosciuto che nelle cause riunite introdotte con le azioni di riduzione della donazione del 27 ottobre 1981 e della disposizione testamentaria del 9 gennaio 1982 gli attori avevano agito come legittimari allo scopo di ottenere la reintegrazione della quota di riserva; pertanto, poiché Gabriella e Sofia D. F. avevano proposto una azione di riduzione, dovevano essere considerate terzi rispetto al negozio impugnato.
La ricorrente infine rileva che la sentenza impugnata non ha valutato le molteplici prove della dedotta simulazione del suddetto atto di vendita, in particolare le risultanze della Consulenza Tecnica d’Ufficio che avevano indicato in lire 26.000.000 il valore del terreno venduto per lire 1.200.000, ed il fatto che l’assegno con il quale era stato pagato il prezzo girato dal L. era stato poi incassato da Maria D. F. , suocera dell’acquirente.
La censura è infondata.
Premesso come fatto pacifico che nella controversia riguardante la domanda di accertamento della simulazione della vendita conclusa il 17 settembre 1982 tra il D. A. D. F. ed il L. Gabriella e Sofia D. F. non avevano mai invocato, neppure in sede di precisazione delle conclusioni, una tutela delle proprie ragioni di eredi legittimarie è evidente che la domanda di riduzione ex articolo 553 e seguenti Cc proposta tardivamente soltanto nella comparsa conclusionale del 31 ottobre 1993 era inammissibile, cosicché il Giudice di Appello non doveva tenerne conto. Correttamente poi la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante il fatto che nelle altre due cause riunite a quella riguardante la domanda di accertamento della simulazione della vendita del 17 settembre 1982, aventi ad oggetto la riduzione della donazione del 27 ottobre 1981 e del testamento del 9 gennaio 1982, agli attori avevano agito nella loro qualità di legittimari ed al dichiarato scopo di vedere reintegrata la quota di riserva, considerato che la riunione di più procedimenti lascia immutata l’autonomia dei singoli giudizi e quindi delle diverse azioni proposte in ciascuno dei giudizi riuniti.
E’ pertanto decisivo il rilievo del Giudice di appello secondo cui Gabriella e Sofia D. F. , nel proporre la suddetta domanda di simulazione, avevano fatto valere soltanto la loro qualità di eredi del D. A. D. F. , e non avevano mai prospettato nel corso del giudizio che l’uscita apparente dal patrimonio del “de cuius” del bene venduto al L. avesse comportato una diminuzione della quota di tale patrimonio loro riservata per legge; pertanto correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che, avendo le suddette parti formulato la domanda di simulazione della vendita del 17 settembre 1982 al semplice scopo di ricostituire il patrimonio ereditario subentrando quindi nella posizione del “de cuius” senza agire in qualità di terzi, esse erano soggette ai limiti della prova testimoniale e per presunzioni stabiliti dagli articoli 1417 e 2729 Cc; a tal punto, quindi, all’esito di un accertamento di fatto sorretto da motivazione adeguata e priva di vizi logici, la Corte territoriale ha ritenuto la domanda di simulazione in oggetto sfornita di prova, posto che gli unici elementi prospettati dalle attrici, ovvero l’esiguità del prezzo versato per la vendita e la circostanza che l’assegno circolare con cui tale prezzo era stato pagato al D. A. Fabio era stato richiesto in banca dalla figlia del L. ed era stato in seguito girato dallo stesso D. A. D. F. in favore di Mario D. F., costituivano meri indizi su cui potevano essere fondate semplici presunzioni.
Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di euro 100,00 per spese e di 3500,00 per onorari di avvocato.
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