In un giudizio di divorzio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Palermo che assegnava alla moglie controricorrente la “casa familiare”, rigettando altresì la domanda di suddivisione della medesima in due unità abitative. In particolare, il marito ricorrente lamentava la violazione dell’articolo 6, comma 6 della legge divorzio n. 898/1970, sostenendo che la norma prevede l’assegnazione della casa coniugale, ovvero “quella di fatto abitata dalla famiglia in modo continuativo e non di una che la famiglia non abbia mai abitato o dove abbia soggiornato solo saltuariamente”. Alla predetta contestazione la Corte seguiva l’orientamento dei giudici di merito, che riconoscevano, “con motivazione congrua e non illogica”, che la casa assegnata “era per l’appunto quella coniugale, quando i coniugi convivevano, ed ha continuato ad essere abitata, sostanzialmente senza soluzione di continuità dalla controricorrente insieme con il figlio”, che, pur abitando per motivi di studio presso altra località, tornava sempre a casa nel fine settimana. Più interessante, l’altra questione sottoposta all’attenzione della Corte: la violazione della già citata disposizione, dell’articolo 42 della Costituzione e dell’articolo 832 del Codice Civile per la mancata divisione dell’immobile ed assegnazione di una parte al marito e di una alla moglie. Anche questo motivo di ricorso è stato respinto dalla Suprema Corte che ha richiamato e confermato l’impugnata sentenza nella parte in cui “chiarisce che la suddivisione in due unità abitative, trasformando l’immobile, sconvolgerebbe l’ambiente domestico in cui il giovane figlio delle parti è vissuto, senza contare la conflittualità esistente tra i ricorrente e la moglie nonché la pessima influenza della vicinanza del padre, desumibile dal provvedimento di decadenza dalla potestà, tale da costituire una sicura e continua minaccia alla serenità e salubrità dell’ambiente di vita del figlio”. Al riguardo, la Corte precisa altresì che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse del figlio (ex art. 155 quater Codice Civile). Confermando le motivazioni e la sentenza dei Giudici di merito, la Corte ha rigettato il ricorso. da filodiritto.com