L'assegnazione della casa coniugale non costituisce misura assistenziale per il coniuge economicamnete più debole
Cassazione civile , sez. I, sentenza 01.08.2013 n° 18440
Avv. Raffaella Scarinci
di Crecchio, CH
Letto 309 volte dal 05/10/2013
L’assegnazione della casa coniugale non costituisce una misura assistenziale per il coniuge che dal punto di vista economico è più debole. Lo ha stabilito la Suprema Corte con la sentenza n. 18440/2013 respingendo il ricorso proposto dalla moglie contro la pronuncia della Corte territoriale che revocava l’assegnazione della casa coniugale. Tuttavia, la Corte precisa che la casa coniugale può essere disposta a favore del genitore affidatario esclusivo ovvero collocatario dei figli minori, oppure convivente con figli maggiorenni ma comunque considerati non autosufficienti economicamente. Nel caso, invece, esaminato dalla Corte la coppia non aveva avuto figli e quindi la moglie non era affidataria, pertanto per la medesima è esclusa la possibilità dell'assegnazione della casa coniugale, quand'anche coniuge economicamente più debole che aveva ottenuto la dichiarazione di addebito della separazione a carico del marito. Di fronte a una situazione del genere tanti sono gli interessi che si contrappongono e viene da chiedersi quali sono i presupposti , in sede di separazione giudiziale, che possono condizionare l'assegnzione della casa cniugale!.? Nel caso di coniugi senza figli, vengono, infatti, a scontrarsi diritti contrapposti: da un lato, l’esigenza del coniuge, non proprietario, di continuare ad abitare nella casa che ha rappresentato il centro degli affetti; dall’altro, la necessità di tutelare il diritto alla proprietà privata. Sul tema, in dottrina ed in giurisprudenza, si registrano due orientamenti contrastanti. Da un lato, una parte della giurisprudenza( più restrittiva) ammette l’assegnazione della casa familiare al coniuge non proprietario solo in presenza di un provvedimento di affidamento della prole; dall’altro, invece, alcuni giudici ritengono di poter estendere l’ambito di applicabilità dell’istituto in parola anche al ricorrere di presupposti ulteriori ed alternativi. (quale appunto lo stato economico del coniuge, addebito della separazione) La Corte, con la sentenza in esame, ha invece accolto l’orientamento restrittivo, ritenendo che l’assegnazione della casa coniugale non possa considerarsi una misura assistenziale per sopperire alle carenze del coniuge più debole economicamente ma adempie, soltanto, alla finalità di tutelare la prole, indipendentemente dalla proprietà esclusiva o concorrente dei coniugi. In buona sostanza, il principale motivo che può giustificare il sacrificio del diritto di proprietà è solo la tutela della prole, ovvero l’interesse dei figli a non subire ulteriori cambiamenti dovuti alla crisi familiare e a conservare un minimo di continuità e regolarità di vita, che possono essere assicurati con la permanenza nella casa famigliare. Sul punto, concorde appare il pensiero della giurisprudenza dominante secondo cui l’individuazione della ratio ispiratrice dell’istituto in parola nella tutela dell’interesse della prole, rappresenterebbe l’unica soluzione compatibile con l’esigenza di protezione del diritto dominicale del coniuge estromesso, poiché “solo le limitazioni al diritto di proprietà derivanti dall’esigenza di tutelare il diritto dalla conservazione dell’habitat familiare costituiscono espressioni della funzione sociale della proprietà così come sancita dall’art. 42 della Costituzione” (cfr. Cass. civ., sentenza 11 dicembre 1992, n. 13126). “Differentemente il provvedimento giudiziale si tradurrebbe in una sorta di espropriazione senza indennizzo per il coniuge estromesso titolare del diritto dominicale” (Sez. Un., 28 ottobre 1995, n. 11297). Pertanto, in assenza di affidamento dei figli, il giudice non potrà adottare, con la sentenza di separazione, un provvedimento di assegnazione della casa coniugale, non essendo la medesima neppure prevista dall'art. 156 c.c. in sostituzione o quale componente dell'assegno di mantenimento (Cass. Sez. Un., sentenza 23 aprile 1982, n. 2494; Cass., Sez. Un., sentenza 28 ottobre 1995, n. 11297; Cass. civ., sentenza 4 luglio 2011, n. 14553). In conclusione condivisibile appare la decisione della Suprema Corte : in assenza di figli, il giudice non può adottare alcun provvedimento di assegnazione della casa coniugale e il godimento dell’immobile è regolato dalle norme che disciplinano il titolo giuridico su cui esso si fonda. L’assegnazione, in definitiva, non può sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, in sostituzione dell’assegno di mantenimento.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 19 giugno - 1° agosto 2013, n. 18440
(Presidente Salmè – Relatore Dogliotti)
...omissis...
Svolgimento del processo
In un procedimento di separazione giudiziale tra A.V. e, M.T., il Tribunale di Spoleto, con sentenza in data 16/12/2005, addebitava la separazione all’A., assegnando la casa coniugale alla M., ma escludendo un assegno a suo favore.
Proponeva appello l'A., in punto addebito a sé ed assegnazione della casa alla moglie. Costituitosi il contraddittorio, la M., resisteva e proponeva appello incidentale in ordine all'esclusione dell'assegno.
La Corte di Appello di Perugia, con sentenza in data 6/12/2007, in riforma, revocava l'assegnazione della casa coniugale; condannava l'A. a corrispondere alla moglie assegno mensile di Euro 200,00.
Ricorre per cassazione la M.
Resiste, con controricorso, l’A., che pure propone ricorso incidentale.
Motivi della decisione
Vanno riuniti i ricorsi che recano numeri di ruolo differenti. Con il primo motivo, la ricorrente principale lamenta violazione degli artt. 345, 189, 190 cpc, sulla domanda dell'appellante di revoca dell'assegnazione della casa coniugale, asseritamente proposta per la prima volta in appello. Con il secondo, violazione degli artt. 155, 156, 832, 1022 c.c., nonché vizio di motivazione in ordine alla revoca dell'assegnazione della casa coniugale.
Tali motivi non appaiono inammissibili (come sostiene il controricorrente, senza sostanzialmente indicarne le ragioni, e limitandosi a rilevarne l'infondatezza), ma infondati.
La domanda di revoca dell'assegnazione della casa coniugale non può considerarsi "nuova", né vi è stata acquiescenza alcuna alla richiesta di assegnazione della casa alla M. .
Come in sostanza ammette la stessa ricorrente principale, l'A. proponeva, in primo grado, la divisione della casa coniugale in due appartamenti, in uno dei quali, dopo i lavori di ristrutturazione, egli stesso sarebbe andato ad abitare;
durante tali lavori, egli avrebbe abitato fuori dalla casa coniugale.
L'accoglimento della richiesta della moglie di assegnazione dell'intera casa coniugale, da parte del primo giudice, è stata censurata, - in modo processualmente corretto, mediante appello - da parte dell'A.
Secondo giurisprudenza ampiamente consolidata (per tutte, Cass. n. 23591 del 2010), l'assegnazione della casa coniugale non può costituire una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole, ma può disporsi, a favore del genitore affidatario esclusivo ovvero collocatario dei figli minori, oppure convivente con figli maggiorenni ma non autosufficienti economicamente (e ciò pur se la casa stessa sia di proprietà dell'altro genitore o di proprietà comune).
Nella specie, non vi sono figli minori o maggiorenni autosufficienti economicamente, e dunque, del tutto correttamente, il giudice a quo ha revocato l'assegnazione della casa coniugale alla moglie.
È appena il caso di precisare che le questioni relative al diritto di proprietà della M. e a quello di abitazione per una quota dell'immobile da parte dell'A., esulano dalla competenza funzionale del giudice della separazione o del divorzio, e potranno essere esaminati in un ordinario giudizio di cognizione.
Va pertanto rigettato il ricorso principale.
Quanto a quello incidentale, l'unico motivo proposto appare infondato.
La rubrica del motivo (violazione di norme, che non vengono indicate, e vizio di motivazione) si limita all'addebito. In realtà il motivo tratta del tutto sommariamente pure dell'assegno e del regime delle spese.
Sull'addebito, il giudice a quo richiama una sentenza penale di condanna dell'A. per lesioni alla moglie, e dunque non si fonda certo (come sostiene il ricorrente), su mere affermazioni della moglie.
Sull'assegno, la sentenza impugnata, tenuto conto, tra l'altro, della scarsissima rendita della moglie (esclusivamente una pensione di Euro 400,00 mensili) e della condizione assai più florida dell'A., che svolge attività commerciale, con ditta propria, ed ha ricevuto rilevante somma all'atto della cessazione dell'attività di autotrasportatore. Corretta appare pertanto la corresponsione di assegno, pur di importo assai limitato, disposta dalla Corte di Appello.
Motiva altresì adeguatamente la sentenza impugnata, sulla condanna alle spese dell'A. dei due gradi di giudizio, in considerazione delle ragioni della separazione e della sua parziale soccombenza sulle domande a contenuto economico.
Va conclusivamente rigettato il ricorso incidentale.
La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa le spese del presente giudizio tra le parti. A norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03, in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri atti identificativi delle parti, dei minori e dei parenti, in quanto imposto dalla legge.
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