Venti anni di matrimonio e di esclusivo accudimento del marito e dei figli valgono un assegno di divorzio pieno. Infatti, se la moglie non ha mai lavorato perché impegnata nella vita domestica, il tribunale deve prenderne atto certificando che ella “possiede una capacità di guadagno pressoché nulla”. E dovrà tener conto nella determinazione degli “alimenti”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 18618/2011, rigettando il ricorso di un marito che lamentava l’erogazione di un assegno troppo consistente, addirittura superiore al suo reddito netto. Per i giudici di Piazza Cavour, tuttavia, nella determinazione del quantum, oltre al reddito, rilevano anche le “sostanze” dell’obbligato. E nel caso in cui i redditi del coniuge non siano proporzionali, come in questo caso, l’assegno andrà comunque parametrato sull’intero patrimonio e non soltanto sui guadagni mensili o annuali. Non solo, per garantire il precedente tenore di vita, l’obbligato può anche essere tenuto a liquidare una parte del patrimonio stesso. E nel caso in cui manchi la prova certa sul tenore di vita essa può essere dedotta anche in via presuntiva dal patrimonio e dai redditi. Ora, siccome la signora non possedeva altro che una Fiat Punto e un conto corrente bancario di 330 euro, oltre alla metà della casa coniugale, mentre il marito aveva un patrimonio di oltre tre milioni e mezzo di euro, nonostante esso fruttasse poco, è stato confermato il diritto della signora ad un assegno mensile di 1.200 euro e di 1.000 per ciascuno figlio, oltre all’assegnazione della casa di famiglia.