Divorzio assegno
Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-12-2013, n. 27378
Avv. Monica Mandico
di Napoli, NA
Letto 315 volte dal 08/01/2014
Assegno divorzile e criteri di liquidazione Il giudice del merito, in sede di liquidazione dell'assegno di divorzio, da effettuarsi in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge, purché ne dia adeguata giustificazione, non è tenuto ad utilizzare tutti i suddetti criteri, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell'assegno stesso. a cura della Redazione Una volta positivamente verificata la ricorrenza dei presupposti per l'attribuzione dell'assegno di divorzio, la liquidazione in concreto dello stesso deve essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge: condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio, con riguardo al momento della pronuncia. Il principio, espressione di un costante indirizzo nella giurisprudenza di legittimità, è stato ribadito in una recente sentenza. Inoltre, precisa la Suprema Corte, giudice del merito, purché ne dia adeguata giustificazione, non è tenuto ad utilizzare tutti i suddetti criteri, anche in relazione alle deduzioni ed alle richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell'assegno divorzile. Nel caso di specie, nel confermare la sentenza con la quale il giudice distrettuale aveva posto a carico dell'ex coniuge l'obbligo di corrispondere altro un assegno di mensile di importo pari a milleduecento euro dalla data della domanda, da elevarsi per altro successivo periodo, e rivalutabile secondo gli indici Istat, la Corte regolatrice ha ritenuto che la corte territoriale non si fosse discostata dagli enunciati principi, in quanto, dopo aver considerato l'elevato tenore di vita mantenuto dalla famiglia in costanza di convivenza, ed aver rilevato che l'ex marito, il quale in sede di separazione si era accollato, anche con riferimento al mantenimento ed all'educazione dei figli, oneri, su base annua, pari a circa sessanta milioni di lire, possedeva una capacità reddituale di gran lunga superiore rispetto a quella risultante dalle dichiarazioni dei redditi (sostanzialmente inattendibili anche in relazione allo svolgimento della medesima attività professionale svolta dall'attuale consorte), ha determinato l'entità dell'assegno, fornendo al riguardo congrua motivazione, nell'ambito dell'accertata condizione deteriore della ex moglie, sulla base delle rispettive situazioni delle parti, anche in relazione all'elevato tenore di vita -desunto anche dall'entità delle suddette obbligazioni- mantenuto durante la convivenza. La decisione in epigrafe, inoltre, con riferimento alla revoca dell'assegnazione della casa familiare, ribadisce, in conformità ad un costante orientamento (cfr., Cass. Civ., n. 408 del 2005, cit.), che la stessa costituisce elemento valutabile ai fini del riconoscimento dell'assegno di divorzio, in quanto essa incide negativamente (e, normalmente, in modo rilevante) sulla situazione economica della parte che debba ottenere in locazione altro immobile per far fronte alle proprie necessità abitative, e ne può, quindi, derivare un peggioramento della situazione economica dell'ex coniuge tale da renderla insufficiente ai fini della conservazione di un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo - Presidente -
Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere -
Dott. DIDONE Antonio - Consigliere -
Dott. CAMPANILE Pietro - rel. Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Avv. A.G. in proprio - el.te domiciliato in Roma, Via Ofanto, n. 18, nello studio dell'avv. FLAMMINI Alessandro;
- ricorrente -
contro
C.S., elettivamente domiciliata in Roma, Corso Trieste, n. 87, nello studio dell'avv. ANTONUCCI Arturo, che la rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente all'avv. Maurizio Boscarato, giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 458 della Corte di appello di Ancona, depositata in data 16 maggio 2011;
sentita la relazione svolta all'udienza pubblica del 29 aprile 2013 dal Consigliere Dott. Pietro Campanile;
Sentito per il ricorrente l'avv. Vitali De Bonda, munito di delega;
Sentito per la C. l'avv. Antonucci;
udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto Dott. Pasquale Fimiani, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1 - Con sentenza non definitiva depositata in data 31 gennaio 2004 il Tribunale di Ancona dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra A.G. e C.S.. Con sentenza definitiva, depositata in data 28 novembre 2005, il Tribunale rigettava la domanda dell' A. di assegnazione della casa coniugale e poneva a carico dello stesso un assegno mensile di Euro 300,00 a favore della moglie.
1.1 - Avverso tale sentenza proponevano distinti appelli tanto l' A. quanto la C..
Lamentava il primo che era stato posto a suo carico assegno di divorzio, senza che la moglie l'avesse richiesto e che, comunque considerate le condizioni economiche delle parti, nessun assegno doveva essergli imposto. Insisteva nella domanda di assegnazione della casa coniugale.
La C., per converso, chiedeva elevarsi l'importo dell'assegno disposto a proprio favore.
1.2 - La Corte d'Appello di Ancona, con sentenza depositata il 26 maggio 2006, rideterminava l'assegno per la C. in L. 1.000.000 (Euro 516,46), confermando nel resto la sentenza del Tribunale.
Precisava la Corte di merito che la domanda al riguardo della C. era tardiva, non essendo stata formulata in sede di costituzione in giudizio, in primo grado, nè proposta, ancorchè implicitamente, nel primo atto difensivo, ma solo introdotta in sede di precisazione delle conclusioni; aggiungeva tuttavia la Corte che l' A. aveva accettato il contraddittorio, chiedendo la determinazione dell'assegno in misura non superiore a L. 1.000.000, come stabilito nel provvedimento presidenziale, e riconosceva, entro tali limiti, l'assegno.
1.3 - Per quanto qui maggiormente interessa, questa Corte di cassazione, con sentenza n. 787 del 2010, accoglieva il primo e il quarto motivo del ricorso proposti dalla C. avverso detta decisione, con i quali erano state dedotte violazione e falsa applicazione dell'art. 99 c.p.c., quanto alla proposizione della domanda di assegno, nonchè della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, laddove si sosteneva che l'assegno di Euro 1.000.000, stabilito con provvedimento presidenziale, era da ritenere conforme a giustizia, considerate le condizioni economiche delle parti. In particolare, l'affermazione della corte territoriale circa la "conformità a giustizia" dell'importo dell'assegno, veniva giudicata "del tutto apodittica, indeterminata e svincolata dell'analisi dei presupposti di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6". Venivano dichiarati assorbiti il secondo e il terzo motivo del ricorso della C., si rigettava il quinto e il ricorso proposto in via incidentale dall' A..
1.4 - La Corte di appello di Ancona, pronunciando in sede di rinvio, con la decisione indicata in epigrafe, ha ritenuto la domanda di assegno validamente proposta dalla ex moglie, e, valutate, anche sul piano diacronico, le rispettive condizioni economiche delle parti;
considerato, altresì, il venir meno degli oneri relativi al mantenimento della prole e la perdita, per la C., della casa coniugale, ha attribuito alla predetta un assegno mensile di Euro 1.200,00, con decorrenza dalla data della domanda, da elevarsi ad Euro 1.500,00 dal febbraio 2006 e ad Euro 1.800,00 dal 1 febbraio 2012, rivalutabile secondo gli indici Istat a partire dal 1 maggio 2012.
1.5 - Per la cassazione di tale decisione l' A. propone ricorso, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria, cui la C. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
2 - Con il primo motivo il ricorrente deduce, sotto vari profili, violazione e falsa applicazione della L. 5 dicembre 1970, art. 5, come successivamente modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, degli artt. 99 e 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in relazione, rispettivamente, all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la corte territoriale disatteso il fondamentale criterio, di natura assistenziale, di attribuzione dell'assegno dell'ex coniuge, affermando, per altro, che la carenza di tali requisiti sarebbe stata tardivamente proposta - solo in sede di appello incidentale - da parte dell' A..
2.1 - La censura presenta ineludibili profili di inammissibilità, ove solo si consideri che con la decisione di questa Corte, con la quale era stato disposto il giudizio di rinvio conclusosi con la sentenza in esame, era stato accolto il ricorso principale della C., la quale aveva denunciato inadeguata motivazione e la violazione di legge relativamente alla determinazione dell'assegno già deliberato in proprio favore, mentre era stato rigettato il ricorso incidentale dell' A..
Ne consegue che, indipendentemente dalle ragioni indicate dalla Corte di appello, ed incentrate soprattutto sulla tardività della contestazione, da parte dell' A., della ricorrenza dei presupposti dell'attribuzione dell'assegno di divorzio, la questione del diritto all'assegno - salva la deducibilità, anche in sede di rinvio, di modificazioni delle condizioni patrimoniali delle parti (cfr., in proposito, Cass., 14 settembre 1999, n. 9792), che nel caso di specie non rilevano - era ormai incontrovertibile, in virtù del principio secondo cui, qualora la sentenza di appello contenga una pluralità di statuizioni, l'eventuale ricorso per cassazione può giovare solo alla parte che abbia esercitato il diritto di impugnazione, per rimuovere quelle ad essa sfavorevoli, mentre le altre, se non censurate dalla controparte con ricorso incidentale, restano coperte dal giudicato (Cass., 30 marzo 2001, n. 4739).
2.2 - Nel caso in esame la sentenza n. 787 di questa Corte del 2010, accogliendo le censure della C. in merito alla quantificazione dell'assegno, e rigettando al contempo il ricorso proposto in via incidentale dall' A., ha determinato la progressiva formazione del giudicato sulla ricorrenza dei presupposti dell'assegno post-coniugale in favore dell'odierna intimata, ed anzi ha fissato, in virtù del divieto di "reformatio in peius" nei confronti della parte impugnante (Cass., 28 gennaio 2005, n. 1823;
Cass., 14 luglio 2003, n. 10996; Cass., 6 luglio 2002, n. 9843), la soglia minima dell'entità dell'assegno già attribuito, suscettibile soltanto di aumento.
3 - Appare del tutto evidente, sulla scorta delle superiori considerazioni, l'inammissibilità anche del secondo motivo di ricorso, con il quale l' A., deducendo violazione e falsa applicazione della citata L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, degli artt. 99, 112, 336, 339, 346 e 352 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, si duole dell'omesso esame della questione inerente alla ricorrenza dei presupposti per l'assegno divorzile.
Ed invero si propone una lettura ampia del "dictum" della citata decisione che disponeva il rinvio, nel senso che l'espressione inerente all'apoditticità dell'affermazione circa la "conformità a giustizia" dell'importo dell'assegno", .."svincolata dall'analisi dei presupposti di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6", non escluderebbe i presupposti riguardanti l'impossidenza di mezzi adeguati o l'incapacità di procurarseli per ragioni obiettive. Si omette, quindi, di considerare che tale principio veniva enunciato - con i limiti sopra evidenziati - esclusivamente nell'ambito dell'esame del motivo, ritenuto fondato, inerente all'esiguità dell'assegno, non potendo questa Corte esaminare una questione non sottoposta al proprio vaglio.
La argomentazioni fondate, poi, sulle posizioni assunte dallo stesso ricorrente nell'ambito del giudizio conclusosi con la sentenza cassata, e persino nel corso di quello di primo grado, impingono contro i rilievi inerenti al giudicato formatosi non in tali giudizi di merito, ma, per le ragioni già esposte, a seguito della citata pronuncia di questa Corte del 2010.
4 - Con il terzo motivo l'avv. A. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c.e L. n. 898 del 1970, art. 5, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in relazione, rispettivamente, all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sostenendo che la corte territoriale da un lato avrebbe omesso di considerare gli aspetti di natura probatoria inerenti alla mancanza, in capo alla richiedente, di mezzi adeguati o all'impossibilità di procurarseli, e, dall'altro, avrebbe erroneamente valutato le circostanze poste alla base della determinazione dell'assegno.
4.1 - Rilevato, quanto al primo profilo di censura, che non vi era alcun obbligo di verificare il fondamento probatorio dell'ormai definitivamente acquisita ricorrenza dei presupposti del diritto all'assegno post-matrimoniale, deve constatarsi, quanto agli ulteriori aspetti, che attraverso i vizi denunciati si invoca una diversa e più favorevole lettura degli elementi valutati dalla corte di appello, implicante un sindacato del merito assolutamente estraneo al presente giudizio di legittimità.
Giova ribadire che, ove sia stata positivamente verificata la ricorrenza dei presupposti per l'attribuzione dell'assegno, la liquidazione in concreto dello stesso essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge:
condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio, con riguardo al momento della pronuncia (Cass. sez. un. 27 novembre 1990, n. 11492 e sez. un. 29 novembre 1990, n. 11490; Cass., 27 novembre 1992, n. 12682; Cass. 20 dicembre 1995, n. 13017; Cass. 15 gennaio 1998, n. 317; Cass., 17 gennaio 2002, n. 432; Cass., 28 febbraio 2007, n. 4764; Cass., 12 febbraio 2013, n. 3398).
Vale bene per altro precisare che il giudice del merito, purchè ne dia adeguata giustificazione, non è tenuto ad utilizzare tutti i suddetti criteri, anche in relazione alle deduzioni e alle richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell'assegno stesso (v. la cit. Cass. n. 11490/1990).
4.2 - La Corte territoriale non si è discostata da tali principi, in quanto, dopo aver considerato l'elevato tenore di vita mantenuto dalla famiglia in costanza di convivenza, ed aver rilevato che l' A., il quale in sede di separazione si era accollato, anche con riferimento al mantenimento e all'educazione dei figli, oneri, su base annua, pari a circa sessanta milioni di lire, possedeva una capacità reddituale di gran lunga superiore rispetto a quella risultante dalle dichiarazioni dei redditi (sostanzialmente inattendibili anche in relazione allo svolgimento della medesima attività professionale svolta dall'attuale consorte), ha determinato l'entità dell'assegno, fornendo al riguardo congrua motivazione, nell'ambito dell'accertata condizione deteriore della C., sulla base delle rispettive situazioni delle parti, anche in relazione all'elevato tenore di vita - desunto anche dall'entità delle suddette obbligazioni - mantenuto durante la convivenza.
5 - Con il quarto motivo, che in buona parte richiama le questioni già introdotte con il precedente mezzo, si denuncia vizio motivazionale in relazione alla determinazione dell'assegno sia con riferimento alla sua originaria consistenza, sia in relazione agli incrementi successivi.
Il motivo è infondato.
Deve in primo luogo osservarsi che il confronto fra l'assegno in favore della C. determinato dal Tribunale e quello stabilito dalla Corte d'appello di Ancona in sede di rinvio muove dall'erroneo presupposto che il giudice del rinvio avesse il potere di riformare "in peius" le statuizioni della sentenza cassata non interessate dall'accoglimento del ricorso proposto dalla predetta ed accolto (v., in proposito, le considerazioni già svolte sub. 2.2).
La Corte territoriale, apportando un aumento non particolarmente significativo (da 1000,00 a 1.200,00 Euro) alla somma già determinata nella decisione cassata, ha considerato, da un lato, le cospicue capacità economiche dell' A., come sopra individuate, nonchè "l'elevato tenore di vita mantenuto dalla famiglia in costanza di convivenza", desunto anche dai rilevanti oneri complessivamente assunti da A. in sede di separazione (laddove anche l'assetto economico relativo alla separazione può fornire utili elementi di valutazione relativi al tenore di vita goduto durante il matrimonio e alle condizioni economiche dei coniugi: Cass., 15 maggio 2013, n. 11686; Cass., 27 luglio 2005, n. 15728), in rapporto alla deteriore condizione della C., anche alla luce della "non contestata incapacità della stessa a darsi un proficuo lavoro").
Non può, quindi, dubitarsi della correttezza dell'operato della corte territoriale, anche in considerazione del principio secondo cui, in tema di determinazione dell'assegno di divorzio, deve escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che dia adeguata giustificazione della propria decisione di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6 (nel testo modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10), potendo valorizzare quello basato sulle condizioni economiche delle parti, in particolare apprezzando la deteriore situazione del coniuge avente diritto dall'assegno (cfr. tra le altre, Cass., 4 aprile 2011, n. 7601;
Cass., 28 aprile 2006, n. 9876).
5.1 - Appaiono altresì congruamente giustificate le determinazioni relative agli incrementi, sul piano diacronico, dell'ammontare dell'assegno.
La corte territoriale ha tenuto conto, in ossequio al già ricordato principio della rilevanza delle sopravvenienze nel corso del giudizio, di significativi mutamenti nell'equilibrio delle condizioni patrimoniali delle parti, quali il venir meno, per l' A., degli oneri inerenti al mantenimento del figlio L., e, per la C., la perdita del godimento della casa coniugale, modulando cronologicamente, attraverso una valutazione congruamente motivata, l'entità dell'assegno sulla base delle circostanze testè richiamate.
La cessazione degli oneri per il mantenimento del figlio L., gravanti in misura preponderante sull' A., certamente ha determinato un miglioramento della situazione patrimoniale dell'onerato, non rilevante per sè, come mostra di opinare lo stesso ricorrente, ma nell'ambito della valutazione ponderata e bilanciata delle condizioni economiche delle parti.
Quanto alla revoca dell'assegnazione della casa familiare, la statuizione della corte di appello è conforme all'orientamento di questa Corte che, ha più volte affermato che la stessa costituisce elemento valutabile ai fini del riconoscimento dell'assegno di divorzio, in quanto essa incide negativamente (e, normalmente, in modo rilevante) sulla situazione economica della parte che debba ottenere in locazione altro immobile per far fronte alle proprie necessità abitative, e ne può, quindi, derivare un peggioramento della situazione economica dell'ex coniuge tale da renderla insufficiente ai fini della conservazione di un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio (Cass., 30 marzo 2005, n. 6712; Cass., 15 gennaio 2005, n. 408; Cass., 9 settembre 2002, n. 13065).
6 - In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese relative al giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2013
CONDIVIDI
Commenta questo documento
L'avvocato giusto fa la differenza
Avv. Salvatore Caccamo
Studio Legale E Di Grafologia Giudiziaria AVV. SALVATORE CACCAMO - Modica, RG
Cerca il tuo avvocatoFiltra per
Altri 132 articoli dell'avvocato
Monica Mandico
-
Matrimonio e Divorzio
Letto 248 volte dal 01/07/2013
-
Comunione Condominio Famiglia
Letto 275 volte dal 15/01/2013
-
Sentenza sull'art. 119 TUB.
Letto 882 volte dal 29/05/2017
-
Provvedimento di rigetto del reclamo proposto dalla banca nei confronti del correntista erroneamente segnalato in centra...
Letto 242 volte dal 17/02/2016
-
Art. 117 TUB difetto della forma scritta. Mancato accoglimento dell'ordinanza ingiunzione
Letto 261 volte dal 17/02/2016