Così si è espressa la Corte di cassazione che, con sentenza 17 febbraio 2011 n. 3905 ha respinto il ricorso di un imprenditore, condannato a versare complessivamente oltre € 2.000,00 al mese, che chiedeva la riduzione dell’assegno di divorzio in favore della moglie e quello di mantenimento in favore della prima figlia. Il Tribunale, in primo grado, aveva ridotto leggermente il contributo economico. Ma la Corte d’Appello di Roma, su ricorso della ex moglie, aveva ripristinato l’importo originario dell’assegno, anche se la dichiarazione presenta dall’imprenditore era più bassa di quella presentata dalla sua ex moglie. Contro questa decisione l’ex marito ha presentato un lungo ricorso in Cassazione, ma senza fortuna. Gli Ermellini hanno bocciato tutti i motivi del gravame, sostenendo, nella lunga articolata motivazione, che la dichiarazione dei redditi “attesa la sua funzione tipicamente fiscale, non ha valore vincolante, potendo piuttosto essere valutata discrezionalmente, e quindi disattesa alla luce della altre risultanze probatorie” (così anche Cass 28 aprile 2006, n. 9876). Cioè a dire: è sufficiente presentare un modello unico troppo basso, poco credibile, per quantificare la misura dell’assegno divorzile e di mantenimento su altre basi (nella specie: potenzialità dell'attività di impresa esercitata dal coniuge obbligato e dell'entità oggettiva degli immobili di cui quest'ultimo risulti proprietario) E ciò in quanto “il Giudice può fondare il suo convincimento su altre risultanze probatorie idonee a superare, con elementi gravi precisi e concordanti, le emergenze fiscali come desumibili dalle dichiarazioni dei redditi, determinando in via presuntiva ed induttiva l'entità dei redditi effettivi, valorizzando gli elementi di fatto come fonti di prova, sempre che la motivazione adottata al riguardo sia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni” (così Cassazione 14 maggio 2005 n. 10135).