Divorzio, la violazione del diritto di visita non autorizza la sospensione dell'assegno
Sesta sezione civile della Cassazione, ordinanza 21688/2017
Avv. Monica Carrettoni
di Modena
Letto 288 volte dal 26/10/2017
Il padre non può sospendere l'assegno di mantenimento perché la moglie non gli permette di vedere le due figlie e comunque perché «gli avevano fatto mancare l'affetto dovuto ad un marito e ad un padre, in quanto tutte e tre “lo avevano in odio». Lo ha stabilito la Sesta sezione civile della Cassazione, ordinanza 21688/2017, dichiarando inammissibile il ricorso dell'uomo contro la sentenza di condanna al risarcimento dei danni, pronunciata dalla Corte di appello di Palermo.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE - 3
Presidente FRASCA RAFFAELE
Relatore ROSSETTI MARCO
Ha pronunciato la seguente:
Ordinanza n. 21688 dep. il 19 settembre 2017
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel 2006 R. Di S., F. T. A. e T. S. A. convennero V. A. dinanzi al Tribunale di Termini Imerese, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza del fatto che il convenuto, ex marito della prima e padre delle altre due attrici, fece loro mancare i mezzi di sussistenza tra il 1986 ed il 2002.
2. Il convenuto si costituì e chiese il rigetto della domanda attorea. In via riconvenzionale domandò poi la condanna di tutte e tre le attrici sia al risarcimento del danno non patrimoniale da fatto illecito, sia la loro condanna ex articolo 96 c.p.c..
A fondamento della prima di tali domande il convenuto dedusse che tutte tre le attrici gli avevano fatto mancare l'affetto dovuto ad un marito e ad un padre, in quanto tutte tre "Io avevano in odio". Chiese, altresì, la condanna delle attrici alla restituzione di varie somme loro versate a titolo di mantenimento, sul presupposto che esse non si trovavano nelle condizioni per averne diritto.
3. Il "Tribunale di Termini Imerese con sentenza 4 luglio 2008 n. 400 accolse la domanda principale e rigettò quella riconvenzionale. La sentenza venne appellata da V. A.. la Corte d'appello di Palermo, con sentenza 30.1.2015 n. 122, accolse in parte il gravame.
In particolare, la Corte d'appello) tenne ferma la condanna al risarcimento del danno pronunciata dal tribunale a carico di V. A., ma ridusse il quantum debeatur, rispetto a quello liquidato dal Tribunale.
4. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da V. A., con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria. Hanno resistito con controricorso R. Di S., F. T. A. e T. S. A., le quali hanno altresì proposto ricorso incidentale fondato su due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve preliminarmente rilevarsi, come correttamente dedotto dal ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c., che la proposta di definizione del giudizio, formulata dal consigliere relatore ai sensi dell'articolo 380 bis cime. e notificata alle parti, non sia pertinente rispetto all'effettivo contenuto del ricorso. La proposta, infatti, ha preso in esame i motivi di appello, integralmente trasaliti dal ricorrente alle pagine 10-22 del proprio ricorso, invece che i motivi di impugnazione prospettati a questa Corte, illustrati alle pagine 22-30 del ricorso stesso.
Tale errore, tuttavia, non impedisce la trattazione del giudizio nella forma camerale, né la sua decisione con ordinanza, in quanto la proposta di decisione formulata ai sensi del novellato articolo 380 bis c.p.c. non è vincolante per il collegio, né per quanto attiene la forma del rito, né per quanto attiene il merito dell'impugnazione.
1.1. Sempre in via preliminare, deve rilevarsi la tempestività del ricorso principale, notificato il 27 aprile 2015: la sentenza impugnata è stata infatti notificata all'odierno ricorrente. nel domicilio eletto presso il procuratore costituito, il 25 febbraio 2015, sicché il termine per proporre ricorso per cassazione andava a scadere il 26 aprile 2015, che cadde di domenica, e dunque fu prorogato ope legis al giorno successivo.
2. Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c..
E' denunciata, in particolare, la violazione degli arti. artt. 111 cost.; 115, 116 c.p.c.; 2697 c.c.. 11 motivo, pur formalmente unitario, contiene in realtà più profili di censura. Con un primo profilo di censura il ricorrente si duole di essere stato e/ i condannato al risarcimento del danno in favore di tutte tre te attrici, senza che queste avessero mai dimostrato di avere subito alcun pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale.
Con un secondo profilo di censura il ricorrente lamenta che il giudice di merito avrebbe "omesso del titito di dar conto delle circostanze di fitto da considerate nel compimento della valli/a,-ione equitativa". Con un terzo profilo di censura il ricorrente lamenta di essere stato condannato al pagamento) di una somma sproporzionata rispetto alle sue condizioni economiche. Con un quarto profilo di censura il ricorrente lamenta che il giudice di merito avrebbe usato due criteri diversi nell'accertare l'esistenza e l'ammontare del danno non patrimoniale: mentre infatti la domanda attorea di risarcimento del danno non patrimoniale era stata accolta pur in assenza di prova, la domanda riconvenzionale di risarcimento di identico danno da lui formulata era stata rigettata per assenza di prova.
2.1. 1,a prima delle suddette censure Questa Corte, infatti, ha più volte affermato clic: (a) il modo in cui il giudice di merito ha valutato le prove non è censurabile in sede di legittimità; (b) la violazione, da parte del giudice di mento, dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016); (c) la violazione dell'art. 116 c.p.c. può dirsi sussistente, e può essere esaminata in sede di legittimità, solo quando il giudice di merito ritenga di attribuire valore legale ad una prova che ne sia priva, ovvero all'opposto validi secondo il suo prudente apprezzamento una prova dotata di un particolare regime legale (ad esempio, l'atto redatto dal pubblico ufficiale: così Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).
Nel caso di specie, tuttavia, il ricorrente non lamenta né l'uno, né l'altro, dei suddetti vizi: semplicemente, si duole del fatto che il giudice di merito avrebbe ritenuto provata una circostanza oggettiva (l'esistenza del danno) della quale invece non vi era prova. t dunque evidente che, con tale censura, il ricorrente sollecita da questa Corte una nuova e diversa ricostruzione dei fatti materiali posti dal giudice di merito a fondamento della propria decisione, richiesta che ovviamente esula dal perimetro dei poteri attribuiti dall'ordinamento a questa Corte.
2.2. Anche il secondo profilo di censura dcl primo motivo di ricorso e: La Corte d'appello, infatti, alla pagina 4 della sentenza impugnata, paragrafi 5.1 e 5.2, ha indicato le circostanze da essa ritenute rilevanti ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale. Stabilire, poi, se quelle circostanze fossero o non fossero congrue per giustificare il quantam debeatnr concretamente determinato dal giudice di merito è, anche in questo caso, un accertamento di fatto sottratto al sindacato di questa Corte.
2.3. Il terzo profilo di censura lamenta " sproporzione per la condanna al risarcimento e le condizioni economiche della ricorrente", a prescindere da qualsiasi giudizio sulla sua novità, è inammissibile per violazione degli oneri di indicazione ed allegazione, richiesti dagli articoli 366, n. 6, e n 369, n. 4, c.p.c.. Vsso, infatti, si fonda su produzioni documentali (idee, quali il ricorrente non indica nemmeno per riassunto il contenuto.
La censura comunque — lo si rileva ad abbundantiam parrebbe manifestamente infondata, in quanto la consistenza del patrimonio del responsabile d'un fatto illecito è elemento totalmente estraneo alle operazioni di liquidazione del danno aquiliano.
2.4. Anche il quarto profilo di censura contenuta nel primo motivo di ricorso, infine, va dichiarato inammissibile.
La Corte d'appello, infatti, a pagina 3, paragrafo 4, della propria motivazione, dichiarò inammissibile ex articolo 342 c.p.c. il motivo d'appello col quale V. A. aveva censurato il rigetto) della propria domanda riconvenzionale.
Pertanto, non avendo l'odierno ricorrente validamente censurato tale giudizio di inammissibilità del gravame per violazione del dovere di specificità delle censure (sul punto ,1 tornerà tn) breve), non è ovviamente sindacabile il giudizio sul merito della domanda riconvenzionale, per la semplice ragione che la Corte d'appello non se ne è occupata.
3. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta formalmente - che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di omesso esame d'un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo modificato dall'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134).
Anche questo motivo, pur avendo una intitolazione unitaria, contiene nella sua illustrazione più censure.
Con un primo profilo di censura il ricorrente lamenta che la corte d'appello, nel confermare la sua condanna al risarcimento del danno, non avrebbe tenuto conto del fatto che egli non venne meno all'obbligo di pagamento al coniuge dalle figlie dell'assegno di stile, ma si limitò a sospendere il proprio adempimento nel vano tentativo di indurre l'allora coniuge di impedirgli di frequentare vedere le sue figlie".
Con un secondo) profilo di censura (pagina 27 del ricorso) deduce di avere correttamente adempiuto, sia pure in esito ad un giudizio penale, tutti i propri obblighi nei confronti della ex moglie e delle figlie, sicché non residuava alcun danno risarcibile in favore di queste ultime. Con un terzo profilo di censura, infine, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello avrebbe "omesso di motivare adeguatamente" la propria decisione nella parte in cui ha ritenuto aspecifico, ex art. 342 c.p.c., il motivo d'appello col quale l'odierno ricorrente si era doluto del rigetto) della propria domanda riconvenzionale. 3.1. Il primo profilo di censura è inammissibile, in quanto prospetta il vizio di omesso esame del fatto decisivo e controverso, ai sensi dell'articolo 360, n. 5, c.p.c., in modo non coerente con le prescrizioni stabilite da questa Corte, a Sezioni Unite, con la nota sentenza n. 8053 del 2014.
Con tale sentenza, infatti, si è stabilito che colui il quale intenda prospettare in sede di legittimità il vizio di omesso esame d'un fatto decisivo e controverso ha l'onere di indicare: (-) quale sia il fatto controverso; (-) quando ed in che modo sia entrato a far parte del thema decido/dm/4 (-) quando ed in che modo sia stato dimostrato; (-) perché quel fatto debba ritenersi "decisivo", nell'economia della sentenza impugnata. Nel caso di specie, il ricorrente non sembra avere rispettato alcuno di questi precetti; ed in ogni caso non sarà superfluo ricordare che tra l'obbligo del coniuge separato di consentitela visita dei figli all'ex marito, e l'obbligo di quest'ultimo di corrispondere l'assegno di mantenimento, non vi è alcun sinallagma, di talché è arbitraria, e non idonea a far venir meno il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la "sospensione" del pagamento dell'assegno divorzile, adottata unilateralmente quale strumento di coazione indiretta per indurre l'ex coniuge al rispetto) degli impegni concernenti la frequentazione dei figli.
3.2. Il secondo profilo di censura è del pari inammissibile, per due ragioni. inammissibile sia perché prospetta una questione di merito (l'avvenuta estinzione dell'obbligazione risarcitoria); sia perché estraneo alla ratio decidendi: infatti, avendo la Corte d'appello ritenuto sussistente un pregiudizio non patrimoniale, nulla rileva la circostanza che il convenuto avesse adempiuto tardivamente i propri obblighi ,di mantenimento: tale adempimento tardivo poteva infatti escludere l'esistenza del danno patrimoniale, ma non certo quella del danno non patrimoniale patito dalle odierne controricorrenti nel periodo di tempo intercorso tra la "sospensione" del pagamento dell'assegno divorzile ed il tardivo adempimento della relativa obbligazione.
3.3. Anche il terzo profilo di censura è inammissibile: sia perché il vizio di motivazione non è mai prospettabile rispetto agli errores in procedendo; sia in ogni caso perché il ricorrente, in violazione degli oneri a lui imposti dagli articoli 366, n. 6, e 369, n. 4, c.p.c., non indica in quali modi avesse impugnato col proprio atto d'appello la statuizione di rigetto della sua domanda riconvenzionale, il che preclude a questa corte di stabilire se davvero quell'appello fosse o meno specifico ai sensi dell'articolo 342 c.p.e.
4. Col proprio ricorso incidentale le controricorrenti lamentano che la Corte d'appello avrebbe: (-) erroneamente sottostimato il danno non patrimoniale da essi rispettivamente subito; (-) erroneamente compensato le spese di entrambi i gradi di giudizio.
4.1. Il ricorso incidentale deve essere dichiarato inefficace, ai sensi dell'articolo 334 C.p.C. La sentenza impugnata è stata infatti depositata, come già detto, il 30 gennaio 2015, e notificata a cura delle odierne ricorrenti il successivo 25 febbraio 2015.
Da tale ultima data, pertanto, è iniziato a decorrere per le odierne controricorrenti il termine cosiddetto "breve" cli cui all'articolo 325 c.p.c., spirato so il 27 aprile 2015.
Le odierne controricorrenti, invece, hanno notificato) il controricorso il 1° giugno 2015.
Ne consegue che, essendo stato dichiarato inammissibile il ricorso) principale, quello incidentale va dichiarato inefficace ai sensi del già ricordato articolo 334 c.p.c. 5. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a, carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c. sono liquidate nel dispositivo.
5.1. del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma 1 rafer, d,1).R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall'art. 1, comma rv 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228). P.q.m. (-) dichiara inammissibile il ricorso principale; (-) dichiara inefficace il ricorso incidentale; (-) condanna V. A. alla rifusione in favore di R. Di S., F. T. 'A. e T. S. A., in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di curo 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55; (-) dà atto che sussistono) i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di V. rabia di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto por l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione – 3
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