Tizio concede gratuitamente al figlio e alla nuora alcuni beni di sua proprietà nei primi anni ’80. Nel 1996 cede alla nuora la nuda proprietà degli stessi, riservando per sè l’usufrutto e, infine, nel mese di giugno del 2001 cita in giudizio il figlio e la nuora per ottenere la restituzione dei beni. I convenuti si costituiscono in giudizio chidendo il rigetto della domanda e spiegando domanda riconvenzionale, con la quale chiedono il rimborso delle spese sostenute per la ristrutturazione dell’immobile dagli stessi abitato. Il Tribunale di Cagliari, adito in primo grado, accoglie la domanda di Tizio e rigetta la domanda riconvenzionale. La Corte d’Appello di Cagliari, adita a seguito di impugnazione della sentenza, accoglie il gravame. La Corte di merito osserva che Tizio, in sede di interrogatorio formale, ha prima dichiarato che i beni erano stati da lui concessi al figlio e alla nuora gratuitamente fino a che non avessero trovato una sistemazione, per poi precisare che l’accordo era stato stipulato nei primi anni ’80 e che i convenuti occupavano l’immobile da quella data. Pertanto, nella fattispecie non può ravvisarsi una “concessione” a titolo gratuito dettata da ragioni di contingenza (l’uso del bene si è protratto per più di 20 anni senza alcuna contestazione da parte di Tizio), ma un comodato gratuito (secondo la consuetudine diffusa in Italia della messa a disposizione (da parte del padre) di un immobile in favore del figlio da destinare ad abitazione coniugale. La convinzione di poter abitare l’immobile a vita da parte dei convenuti è poi testimoniata, a parere della Corte d’Appello, anche dalla circostanza che gli stessi hanno sostenuto spese notevoli per la risttrutturazione. La Corte di Cassazione, con sentenza depositata in data 24 marzo 2011, ha confermato la sentenza di secondo grado. Secondo i Giudici con l’ermellino la Corte d’Appello ha correttamente applicato, nella fattispecie, l’art. 1803 cod. civ. (secondo cui “Il comodato è il contratto col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il comodato è essenzialmente gratuito) e l’art. 1810 cod. civ. (secondo cui “Se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede”), conformemente all’orientamento pressochè unanime della Corte di Cassazione , anche a Sezioni Unite (si veda, in particolare, Corte di Cassazione S.U. n. 13603 del 21.07.2004, la quale ha stabilito che “Nell’ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, ma determina un concentrazione, nella persona dell’assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c.”. La Corte di Cassazione, pertanto, ha rigettato il ricorso di Tizio, compensando le spese del giudizio. Roma, 25 marzo 2011 Avv. Daniela Conte RIPRODUZIONE RISERVATA