La disciplina del contratto misto è da molto tempo al centro di un’accesa disputa tra dottrina e giurisprudenza: da una parte, la dottrina rende applicabile alle singole clausole la disciplina propria di ciascun contratto, mentre la giurisprudenza ritiene applicabile la disciplina del contratto prevalente. Tale ultimo orientamento è stato ulteriormente è stato ribadito da una recente pronuncia della Suprema Corte, che con la Sentenza n. 22828/2012 è intervenuta regolando un interessante caso di contratto misto, in cui coesistevano due fattispecie negoziali molto differenti. L’iter processuale prende le mosse dalla controversia intercorrente tra una concessionaria di automobili ed un fornitore, i quali avevano stipulato un contratto di cui rivendicavano le reciproche obbligazioni da questo nascenti, intendendole in maniera differente in quanto presentava le caratteristiche proprie dei contratti di agenzia e di deposito: il giudizio di primo grado era stato azionato, dall’allora attrice, sul presupposto che il contratto che la legava alla convenuta fosse di agenzia, quest’ultima si era difesa in giudizio sostenendo che, invece, si trattava di un contratto di deposito. Il giudice di prime cure qualificava il contratto come misto, mentre in appello veniva qualificato esclusivamente come contratto di agenzia. Le doglianze alla base del ricorso in Cassazione riguardano, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c. nonché la mancata applicazione, della disciplina codicistica di cui agli artt. 1766 e 1774 cpv. c.c. alla fattispecie contrattuale del deposito, che era ipotizzabile nel caso in esame: si è chiesto quindi alla Suprema Corte, di dirimere la questione circa la disciplina applicabile al contratto misto. La pronuncia in primo luogo afferma il principio dell’autonomia contrattuale contenuto nell’art. 1322 c.c., che riconosce ai privati la facoltà di predisporre contratti atipici, ovvero elaborati sulla base di specifiche esigenze: tale attività può comprendere la previsione di elementi facenti parte di contratti tipici, o creati ex novo. Il contratto misto, costituito da elementi di tipi contrattuali diversi, non solo è unico, ma ha causa unica ed inscindibile, nella quale si combinano gli elementi dei diversi tipi che lo costituiscono; il contratto deve essere assoggettato alla disciplina unitaria del contratto prevalente (e la prevalenza si determina in base ad indici economici od anche di tipo diverso, come la «forza» del tipo o l’interesse che ha mosso le parti), salvo che gli elementi del contratto non prevalente, regolabili con norme proprie, non siano incompatibili con quelli del contratto prevalente, dovendosi in tal caso procedere, nel rispetto dell’autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.), al criterio della integrazione delle discipline relative alle diverse cause negoziali che si combinano nel negozio misto. Consolidando un orientamento giurisprudenziale già ribadito con altre sentenze, la Suprema Corte si è pronunciata ancora una volta sulla disciplina del contratto misto adottando il criterio della prevalenza, pur nel tentativo di salvaguardare l’autonomia contrattuale e gli interessi di ciascun contraente, in quanto fondamentali per comprenderne l’esatta volontà ed individuare il corretto assetto voluto dalle parti, richiamando a tale scopo i criteri ermeneutici di interpretazione del contratto contenuti nell’art. 1362 c.c. e seguenti, compreso il criterio di interpretazione secondo buona fede. Altro richiamo importante è quello che riguarda la differenza tra contratti misti e contratti collegati: questi ultimi infatti, mantengono la disciplina dettata per ciascun contratto, mantenendo la distinzione tra le diverse cause negoziali. Pur valendo l'esposta regola della disciplina autonoma di ciascun contratto collegato, le vicende relative alla validità, efficaicia e esecuzione di uno dei contratti della catena si riflettono su quelle degli altri di modo che simul stabunt e simul cadent. Quindi, per configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale. Il contratto misto, invece, come visto sopra, è un solo contratto, nel quale rientrano, sotto diverse combinazioni derivanti dagli interessi delle parte, le discipline di diversi contratti tipici; manca, quindi, l’aspetto del collegamento, che non può aversi perché il contratto è uno, nel quale si fondono, in maniera appunto diversa, gli elementi caratterizzanti contratti già esistenti. Rinviando alla Corte d’Appello per la decisione circa la disciplina contrattuale del caso di specie, gli Ermellini hanno voluto ribadire non solo i criteri con cui regolare i contratti misti, ma hanno voluto dare ulteriore forza e salvaguardia ad un principio cardine del codice civile, quello dell’autonomia contrattuale tra privati. (Altalex, 25 gennaio 2013. Nota di Mauro Lanzieri)