Il lavoratore che per lo stress lavorativo sia stato coinvolto in un incidente stradale ha diritto al risarcimento
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 7 giugno 2007, n. 13309
Avv. Staff di Guidelegali.it
di Milano, MI
Letto 1746 volte dal 03/02/2008
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MERCURIO Ettore - Presidente Dott. MAIORANO Francesco Antonio - Consigliere Dott. CELENTANO Attilio - rel. Consigliere Dott. D'AGOSTINO Giancarlo - Consigliere Dott. BALLETTI Bruno - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PO. RO., elettivamente domiciliato in ROMA P.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERCURIO Ettore - Presidente
Dott. MAIORANO Francesco Antonio - Consigliere
Dott. CELENTANO Attilio - rel. Consigliere
Dott. D'AGOSTINO Giancarlo - Consigliere
Dott. BALLETTI Bruno - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PO. RO., elettivamente domiciliato in ROMA P.LE CLODIO 32, presso lo studio dell'avvocato CIABATTINI SGOTTO LIDIA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
SA. SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DELLA CONCILIAZIONE 44, rappresentata e difesa dall'avvocato PERILLI MARIA ANTONIETTA, giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
BANCA AN. PO. VE. SPA, subentrata per incorporazione alla BANCA NA. DE. SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA C.SO VITTORIO EMANUELE 326, presso lo studio dell'avvocato SCOGNAMIGLIO RENATO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 451/04 della Corte d'Appello di L'AQUILA, depositata il 04/06/04 - R.G.N. 783/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/04/07 dal Consigliere Dott. Attilio CELENTANO;
udito l'Avvocato CIABATTINI;
udito l'Avvocato PIRILLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Pretore di Roma respingeva la domanda del Dr. Po. Ro. diretta ad ottenere la condanna del datore di lavoro, Banca Na. de., al pagamento di lire un miliardo a titolo di risarcimento dei danni subiti in un incidente stradale, causato da stress lavorativo.
Con sentenza del 27 maggio/7 dicembre 1998 il Tribunale di Roma rigettava l'appello principale del lavoratore e quello incidentale del datore di lavoro, diretto ad ottenere la restituzione della retribuzione pagata durante la malattia conseguente all'infortunio.
A fondamento della decisione il Tribunale poneva il principio di diritto secondo il quale una condotta umana (nella specie quella del datore di lavoro, per asserita violazione dell'articolo 2087 c.c.) puo' essere ritenuta causa di un determinato evento solo quando questo appaia come conseguenza normale dell'antecedente, nel senso che tra questo e l'effetto consequenziale deve esistere un rapporto di sequenza costante, secondo un calcolo di regolarita' statistica, si' da potersi ritenere che il pregiudizio rientri nelle normali conseguenze dell'illecito, secondo le regole della cd. regolarita' causale; viceversa, deve escludersi il nesso eziologico tra il comportamento umano e l'evento ove le conseguenze verificatesi siano eccezionali secondo un giudizio di probabilita' ex ante, quale un incidente stradale rispetto a condizioni lavorative stressanti. Sulla scorta di tale principio il Tribunale riteneva irrilevanti le prove richieste dal Dr. Po. in primo grado.
Di questa sentenza il lavoratore chiedeva la cassazione, denunciando violazione degli articoli 1175, 1375, 2110, 2087, 2043 e 2697 c.c., in relazione agli articoli 112, 113, 115, 116 e 437 c.p.c.; nonche' vizio di motivazione su punto decisivo.
Censurava la decisione nella parte in cui, per erronea interpretazione dell'articolo 2087 c.c., non aveva ammesso le prove ritualmente richieste in primo grado, volte a dimostrare che l'incidente trovava causa nello stress derivante dagli orari di lavoro, dalle condizioni di trasferta e dalle particolari condizioni familiari (moglie operata per tumore e figlia ammalata di crisi convulsive), note al datore di lavoro, e per le quali aveva chiesto uno spostamento di sede. Denunciava contraddittorieta' tra esigenze probatorie e negata ammissione delle prove.
Con sentenza n. 5 del 25 ottobre 2001/2 gennaio 2002 questa Corte accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa alla Corte di Appello di L'Aquila.
La sentenza rescindente rilevava la erroneita' del principio di diritto enunciato dal Tribunale di Roma in materia di nesso causale. Spiegava che nel sistema risarcitorio civilistico vige la regola della cd. causalita' adeguata o regolarita' causale; che l'incidenza eziologica delle "cause antecedenti" va valutata, per un verso, nel quadro dei presupposti condizionanti e, per altro verso, in coordinazione con il principio della causalita' efficiente, principio che espunge le cause antecedenti dalla serie causale in presenza di un fatto sopravvenuto di per se' idoneo a determinare l'evento anche senza quegli antecedenti. Richiamava i principi piu' volte affermati sulla interpretazione dell'articolo 2087 c.c., e quindi sulla natura contrattuale della responsabilita' disciplinata dalla norma e sul riparto dell'onere probatorio fra lavoratore e datore di lavoro e concludeva affermando che "non si puo' escludere a priori che vi sia un nesso causale, per un lavoratore obbligato o autorizzato all'uso
di autoveicolo nell'espletamento delle proprie mansioni in situazione di trasferta, tra le condizioni di stress e l'incidente stradale, senza prima consentire la prova richiesta (ed ovviamente la controprova ritualmente richiesta) di tutte le circostanze del caso".
Riassunta la causa dinanzi al giudice di rinvio, la Corte territoriale, escussi quattro testimoni, rigettava l'appello del lavoratore avverso la decisione del Pretore di Roma.
Esaminate le cause di stress indicate dal lavoratore (lunga durata e frequenza delle trasferte, i molti chilometri percorsi, il gravoso impegno lavorativo durante i periodi di trasferta, il ritardo nelle promozioni promessegli dalla Banca all'epoca del suo inserimento nella cd. task force, le malattie della moglie e della figlia, le vicende relative all'assegnazione dell'ultima missione, quella a (OMESSO)), e ritenuti dimostrati i fatti storici dedotti dal Dr. Po. - in ordine a durata, frequenza delle trasferte, chilometraggio percorso, abitudine di tornare a (OMESSO) il venerdi' sera per ripartire la domenica sera o il lunedi' mattina, mansioni svolte durante le trasferte, promozione a capo ufficio nell'(OMESSO) e a funzionario il (OMESSO), malattie di moglie e figlia e conoscenza delle stesse da parte del datore di lavoro, richiesta del lavoratore di essere destinato, in occasione della trasferta nel corso della quale di era verificato l'incidente, a (OMESSO) e non a (OMESSO) - i giudici del rinvio ritenevano che le circostanze appurate non consentivano di affermare che l'incidente stradale fosse imputabile ad una situazione di stress a sua volta imputabile al datore di lavoro.
Osservavano che quella descritta dal Dr. Po. e' la normale attivita' lavorativa svolta da tutti i lavoratori incaricati della promozione di affari per conto del datore di lavoro; che la necessita' di costante aggiornamento professionale, propria di chi svolge attivita' professionale qualificata, non puo' essere invocata come fonte di stress imputabile al datore di lavoro; che analoghe considerazioni valgono per gli orari di lavoro tipici di quella attivita'.
Sottolineavano poi che l'incidente stradale era avvenuto la mattina del (OMESSO), quando non erano ancora trascorsi quattro giorni dall'inizio della missione a (OMESSO), e che tale missione era iniziata a distanza di 36 giorni dalla missione precedente, sicche' il lavoratore aveva usufruito di un periodo di tempo fra le due missioni sicuramente congruo al fine di reintegrare le energie psico fisiche usurate dalla precedente missione.
Osservavano ancora che il mancato accoglimento della richiesta di essere destinato a (OMESSO) e non a (OMESSO) non costituiva fonte di particolare aggravio, atteso che solo nel primo giorno di missione era stato necessario un percorso piu' lungo di 300 chilometri, ma cio' risaliva a circa quattro giorni prima del sinistro.
Quanto alle modalita' dell'incidente stradale, rilevavano che lo stesso si era verificato perche' il Dr. Po., nonostante il fondo stradale umido, aveva imboccato una curva ad elevata velocita' ed invaso l'opposta corsia, finendo contro un pesante automezzo che procedeva regolarmente nella direzione opposta. Ritenevano che il comportamento del guidatore non fosse imputabile a condizioni di stanchezza o di abbassamento della soglia di attenzione, ma a comportamento imprudente cosciente e volontario.
Applicando quindi la nozione di nesso causale precisata dalla sentenza rescindente, la Corte territoriale escludeva che l'incidente fosse imputabile al datore di lavoro.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre, formulando due motivi di censura, Po.Ro..
La Banca An. Po. Ve. s.p.a., incorporante della Banca Na. de. Ag. s.p.a., e la Fo. Sa. s.p.a., nuova denominazione della SA. So. As. In. s.p.a. (societa' che ha partecipato al giudizio fin dal primo grado perche' chiamata in causa dalla Banca), resistono con controricorso.
Il ricorrente e la banca hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la difesa del ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1375, 2087, 2110 e 2043 c.c., articoli 32 e 38 Cost., omessa e contraddittoria motivazione su punto decisivo.
Deduce che il giudice del rinvio si e' illegittimamente discostato dal principio di diritto fissato nella sentenza rescindente ed ha arbitrariamente ristretto l'accertamento dei fatti, non tenendo conto dell'ampio ambito di prova indicato dalla Cassazione.
Assume che la sentenza rescindente aveva posto a carico del lavoratore, "che lamenti di aver subito, a causa dell'attivita' lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare esclusivamente l'esistenza di tale danno, la nocivita' delle condizioni di lavoro ed il nesso causale tra questi due elementi; e, correlativamente, a carico del datore di lavoro "l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno ovvero che il danno lamentato dal dipendente non e' ricollegabile all'inosservanza dei suoi obblighi".
Assume ancora che la nozione di nesso causale delineata nella sentenza rescindente e' notevolmente diversa da quella adottata dal Tribunale di Roma e che era stato precisato che l'eventuale concorso di colpa del lavoratore non e' sufficiente ad interrompere un nesso causale che non puo' essere limitato ai soli eventi costituenti conseguenza necessitata della condotta datoriale, ma deve essere esteso a tutti gli eventi possibili, rispetto ai quali tale condotta si ponga con nesso di causalita' adeguata.
Deduce che la sentenza rescindente ha quindi individuato una responsabilita' dell'imprenditore in tutte le ipotesi in cui non sia possibile ravvisare una "condotta dolosa del lavoratore, ovvero la presenza di un rischio elettivo generato da una attivita' non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso", precisando che la dimensione inadeguata dell'organico, ravvisata nel caso di specie, costituiva una condizione lavorativa stressante, dalla quale poteva derivare una specifica responsabilita' datoriale; e che ha richiesto la prova "di tutte le circostanze del caso", per verificare l'esistenza di tale nesso causale, "per un lavoratore obbligato o autorizzato all'uso di autoveicolo nell'espletamento delle proprie mansioni in situazione di trasferta, tra le condizioni di stress e l'incidente stradale".
Afferma quindi che era risultato provato che: - il ricorrente aveva reiteratamente rappresentato il suo contingente stato di patologia; - l'inserimento nella task force prevedeva anche la partecipazione a missioni e non solo lo svolgimento di lavoro fuori sede; - esisteva almeno un'altra sede possibile per la missione, cioe' (OMESSO), piu' confacente alla particolare situazione, personale e familiare, del Po.; - alla data del (OMESSO), su 600 giorni di calendario corrispondenti al periodo trascorso dalla sua entrata in task force, il ricorrente ne aveva vissuto in missione ben 407, percorrendo alla guida della propria auto 80.409 chilometri, oltre alla sua normale attivita' lavorativa; - l'entita' del danno risarcibile in misura non inferiore al valore corrispondente a lire un miliardo; - l'esistenza di un nesso di causalita' tra la condotta tenuta da BN. ed evento dannoso da cui il ricorrente e' rimasto leso.
2. Con il secondo motivo la difesa Po. denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 384, 389 e 394 c.p.c. e vizio di motivazione su altro punto decisivo.
Deduce che la Corte di rinvio non solo ha seguito in modo marginale il principio di diritto illustrato nel primo motivo, ma ha stravolto l'impianto giuridico dato alla fattispecie nella sentenza rescindente.
Tale stravolgimento si e' realizzato, da parte del giudice di rinvio, con l'esclusione: a) che altre cause, tra cui principalmente lo stato personale di stress, unito all'ansia e alla preoccupazione per le condizioni di salute dei familiari, potessero determinare l'evento lesivo; b) che lo stato di stress fosse stato acuito ed aggravato dal profondo insoddisfacimento per una progressione di carriera ingiustamente negata; c) che le direttive impartite dalla Cassazione comportassero l'accertamento anche su fatti non costituenti oggetto delle richieste istruttorie del primo grado; d) limitando l'assunzione delle prove all'interno delle istanze formulate nel ricorso ex articolo 414 c.p.c., ma ammettendo tre soli capitoli.
3. I due motivi di ricorso, che si trattano congiuntamente, non sono fondati.
Essi muovono da una lettura distorta della sentenza rescindente, la quale, come si e' sopra evidenziato, si e' limitata a correggere il principio affermato dal Tribunale di Roma in materia di nesso causale, ricordando il principio della cd. causalita' adeguata; a richiamare il consolidato orientamento della Corte sulla natura della responsabilita' di cui all'articolo 2087 c.c. e sul riparto dell'onere probatorio fra lavoratore e datore di lavoro; ad affermare, quindi, che "non si puo' escludere a priori che vi sia un nesso causale, per un lavoratore obbligato o autorizzato all'uso di autoveicolo nell'espletamento delle proprie mansioni i situazione di trasferta, tra le condizioni di stress e l'incidente stradale, senza prima consentire la prova richiesta (ed ovviamente la controprova ritualmente richiesta) di tutte le circostanze del caso".
Non e' vero, quindi, che la sentenza rescindente abbia autorizzato il giudice di rinvio ad ammettere prove e controprove diverse da quelle gia' tempestivamente richieste, cosi' travolgendo le regole dettate dall'articolo 394 c.p.p..
La sentenza del Tribunale di Roma e' stata cassata per violazione di norme di diritto, relativa alla nozione del nesso causale rilevante ai sensi dell'articolo 2087 c.c., con conseguente erroneo rigetto delle richieste istruttorie formulate per la dimostrazione di quel nesso fra condotta datoriale ed incidente.
Il giudice di rinvio era vincolato al principio di diritto enunciato e tenuto ad esprimere una valutazione, sulla sussistenza o meno del nesso causale invocato, solo all'esito delle prove richieste.
E' cio' che la Corte di L'Aquila ha fatto, osservando con congrua motivazione, dopo avere esaminato tutte le circostanze dedotte e ritenute provate, che il comportamento datoriale non ha avuto efficienza causale nella determinazione dell'incidente stradale del 17 gennaio 1991" allorquando il lavoratore, percorrendo a velocita' eccessiva una curva pericolosa con strada umida, invase l'opposta corsia scontrandosi con un veicolo procedente nella opposta direzione.
Il ricorrente non muove specifiche censure alle argomentazioni del giudice di rinvio ma sembra affermare che la sentenza rescindente aveva gia' sancito la responsabilita' dell'imprenditore in tutte le ipotesi in cui non sia possibile ravvisare una "condotta dolosa del lavoratore, ovvero la presenza di un rischio elettivo generato da una attivita' non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso"; condotta dolosa o rischio elettivo ovviamente estranei alla conduzione di un veicolo, per ragioni di lavoro, da parte di un lavoratore.
Ma non e' quello che la sentenza rescindente ha affermato. Le massime nella stessa richiamate, fra le quali quelle sulla rilevanza del concorso di colpa del lavoratore, sottolineano in primo luogo l'obbligo del lavoratore, che agisca facendo valere la responsabilita' di cui all'articolo 2087 c.c., di provare la nocivita' delle condizioni di lavoro e il nesso causale fra tali condizioni ed il danno subito. Una volta che il lavoratore abbia provato tali circostanze - continua la sentenza n. 5 del 2002 - grava sul datore di lavoro l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno; aggiungendo che non e' sufficiente il semplice concorso di colpa del lavoratore per interrompere il nesso causale, potendo tale nesso essere interrotto solo da una condotta dolosa del lavoratore o la presenza di un rischio elettivo generato da una attivita' non avente rapporto con lo
svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso. Ed ha citato Cass., 1 settembre 1997 n. 8267 secondo la quale anche una condizione lavorativa stressante (nella specie per sottorganico) puo' costituire fonte di responsabilita' per il datore di lavoro.
Tale essendo il contenuto della sentenza rescindente, ed atteso che il giudice del rinvio, espletate le prove tempestivamente richieste, si e' espresso con ampie argomentazioni sulla insussistenza di uno stress imputabile al datore di lavoro e tale da avere a sua volta provocato l'incidente stradale, le censure di inosservanza degli articoli 384 e 394 c.p.c., cosi' come quelle di violazione dell'articolo 2087 c.c., risultano infondate.
Per tutto quanto esposto il ricorso va rigettato.
Il ricorrente va condannato al rimborso delle spese nei confronti della Banca An. Po. Ve., mentre si ritiene equo compensare le spese fra la SA. e le altre parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della Banca An. Po. Ve., delle spese di giudizio, in euro 42,50 per spese ed in euro 5.000,00 (cinquemila) per onorario di avvocato, oltre spese generali, IVA e C.P.A.; compensa le spese fra la SA. e le altre parti.
CONDIVIDI
Commenta questo documento
L'avvocato giusto fa la differenza
Filtra per
Altri 598 articoli dell'avvocato
Staff di Guidelegali.it
-
Danno patrimoniale arrecato da dipendente per collegamenti internet
Letto 998 volte dal 10/07/2008
-
Per la cause di risarcimento dei danno derivanti da fumo non sono legittimati passivi i produttori e distributori di sig...
Letto 870 volte dal 26/01/2008
-
In caso di diffammazione a mezzo stampa il giudice di merito deve tener conto del riconoscimento da parte dell'offeso de...
Letto 702 volte dal 16/12/2007
-
Prevenzione e contrasto dell'evasione - Anno 2009 - Indirizzi operativi.
Letto 690 volte dal 26/04/2009
-
Parziale deducibilità forfetaria dell’Irap ai fini delle imposte sui redditi – Articolo 6 del decreto-legge 29 novembre ...
Letto 905 volte dal 26/04/2009