L’ordinanza in esame appare degna di nota in quanto espressione di due principi di diritto diversi ma tra loro strettamente connessi nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte. Il primo principio attiene alla responsabilità dell’ente per cose in custodia ex art. 2051 c.c. Come noto, trattasi di una forma di responsabilità oggettiva che si configura in presenza del solo nesso causale tra la cosa in custodia e il danno cagionato, senza che rilevi la condotta più o meno diligente del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza. Questa forma di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito che attiene, non ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento. Per escludere la responsabilità del custode, è pertanto necessario che ricorra, nel caso concreto, un fattore esterno che, interferendo nella situazione di fatto, abbia di per sé prodotto l’evento, ovvero è necessario che si versi nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell’evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale e, quindi, imprevedibile e inevitabile. Il caso fortuito, ritenuto sussistente nel caso di specie, è stato individuato nel nubifragio di vaste dimensioni che colpì il Comune di Acri nella notte tra il 27 e il 28 novembre 1984, comportando l’allagamento dell’abitazione degli attori. Allagamento che, secondo i giudici sia di merito sia di legittimità, si sarebbe verificato a prescindere dall’idoneità o meno delle opere di canalizzazione e convogliamento delle acque piovane nell’abitato. Ecco spiegato il motivo per il quale i giudici di merito ritennero superfluo l’accertamento ulteriore dell’idoneità delle opere svolte dal Comune: essendosi verificato il caso fortuito, il Comune non sarebbe comunque potuto essere ritenuto responsabile. L’imprevedibilità e l’inevitabilità dell’allagamento era stato ritenuto tale da interrompere il nesso causale tra le opere urbane sottoposte alla custodia del Comune di Acri e il danno lamentato dagli attori. La superfluità dell’accertamento dell’idoneità o meno delle opere di canalizzazione e convogliamento delle acque piovane nell’abitato effettuate dal Comune convenuto rendeva, logicamente, superfluo lo svolgimento di una consulenza tecnica, a conferma del consolidato principio per il quale la consulenza costituisce un mezzo di ausilio del giudice, volto ad un maggiore approfondimento di fatti già provati dalle parti, che pertanto deve essere svolta solo nei casi in cui, ritenuta sussistente la responsabilità, sia necessario determinare l’entità del danno subito.