Legittima la condanna a 30 giorni di carcere per chi parcheggia l'auto al'interno del cortile condominiale impedendo l'uscita del veicolo di un altro condomino
Corte di Cassazione, 5^ Sez. penale, n. 7592 depositata il 28.02.2011
Avv. Daniela Conte
di Roma, RM
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Il delitto di violenza privata è disciplinato dall’art. 610 cod. pen., il quale stabilisce, al 1^ comma, che “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa e’ punito con la reclusione fino a quattro anni”. Tizia parcheggia la propria auto nel cortile condominiale davanti a quella di Caia, impedendo a quest’ultima di uscire; nonostante i numerosi inviti a rimuovere il veicolo, lo fa dopo più di un’ora, costringendo Caia a rimanere sul posto senza potersi allontanare (quest’ultima accusa anche un malore). In primo grado, Tizia viene condannata alla pena di 30 giorni di reclusione e al risarcimento dei danni nei confronti di Caia; la pena viene confermata in appello e Tizia ricorre in Cassazione – deducendo, tra le altre cose, l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, la mancanza di prova del nesso di causalità tra il fatto e il malore accusato da Caia, l’eccessiva misura della pena comminata e dell’entità del risarcimento (nel giudizio di secondo grado il coniuge di Tizia, che in primo grado era stato condannato per concorso nel reato, è stato assolto) -. La Suprema Corte accoglie il motivo di ricorso relativo all’intervenuta prescrizione del reato, annullando senza rinvio la sentenza impugnata; ritiene, al contrario, non meritevoli di accoglimento gli altri motivi di ricorso. I Giudici con l’ermellino precisano che è stato dimostrato, nel corso dell’istruttoria (in vitù delle dichiarazioni testimoniali e delle ammissioni della stessa imputata), che Tizia ha lascaito trascorrere circa un’ora “senza scendere o anche solo affacciarsi per spiegare di aver smarrito le chiavi”; ragionevolmente, pertanto, la Corte di merito ha ravvisato nel comportamento di Tizia la volontà di impedire a Caia di allontanarsi con la propria autovettura per un certo periodo di tempo, così come quest’ultima avrebbe voluto. A parere della Suprema Corte non può essere considerata valida la tesi prospettata dall’imputata (peraltro prevista come semplice ipotesi alternativa nel ricorso), secondo cui il comportamento di quest’ultima “sarebbe dipeso dal convincimento che il marito e il padre, presenti sul posto, avessero provveduto ad informare del momentaneo smarrimento delle chiavi la persona offesa”. Quanto agli altri motvi di ricorso, i Giudici di legittimità hanno ritenuto ragionevole la ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra la condotta di Tizia e il malore accusato da Caia (nel ricorso, peraltro, non vi è indicazione di specifici elementi che possano far ritenere il contrario), e hanno precisato che il “quantum” del risarcimento dipende dall’obiettiva gravità del danno subìto dalla persona offesa, e non dal numero di persone tenute al risarcimento. La Suprema Corte, dunque, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata quanto agli effetti penali a causa dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione; ha rigettato il ricorso quanto agli effetti civili. Roma, 4 marzo 2011 Avv. Daniela Conte RIPRODUZIONE RISERVATA
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