L’affidamento “in house” non è una fattispecie contrattuale eccezionalmente sottratta all’applicazione del diritto comunitario degli appalti e delle concessioni, ma è, al contrario, una fattispecie non contrattuale che, come tale, per sua stessa natura si sottrae al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni.
Tar Veneto, sez. I, 14 gennaio 2012, n. 1823
Avv. Daniele Majori
di Roma, RM
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L’affidamento “in house” «rappresenta il tentativo di conciliare il principio di auto-organizzazione amministrativa con i principi di tutela della concorrenza e del mercato, trova pacifica giustificazione a livello comunitario, e la trova nella nozione sostanziale di contratto. La Corte di Giustizia, infatti, ha evidenziato che la nozione di contratto implica l’esistenza di una relazione intersoggettiva, ove coesistono almeno due soggetti sostanzialmente distinti. Non c’è pertanto contratto - e non si applicheranno allora le regole comunitarie a tutela della concorrenza nella scelta del contraente - laddove l’Amministrazione si rivolga, per reperire una determinata prestazione, ad un soggetto che, pur essendo formalmente dotato di personalità giuridica diversa dall’Amministrazione, è tuttavia sottoposto ad un controllo gerarchico così intenso da parte dell’Ente che può essere assimilato al controllo che l’Amministrazione esercita sulle proprie strutture interne. In presenza di tali condizioni, quindi, c’è non già un contratto (manca, infatti, una relazione intersoggettiva), ma, difettando la qualità di terzo in capo al soggetto affidatario, c’è soltanto un rapporto organico (o di delegazione interorganica), ed è per questo motivo che lo svolgimento della prestazione si configura una vicenda tutta interna alla pubblica amministrazione. In altre parole, l’affidamento “in house” non è una fattispecie contrattuale eccezionalmente sottratta all’applicazione del diritto comunitario degli appalti e delle concessioni, ma è, al contrario, una fattispecie non contrattuale che, come tale, per sua stessa natura si sottrae al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni (cfr. la sentenza Stadt Halle della Corte di Giustizia: “un’autorità pubblica che sia una amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterna non appartenenti ai propri servizi. In tal caso, non si può parlare di contratto a titolo oneroso concluso con entità giuridicamente distinta dall’Amministrazione aggiudicatrice. Non sussistono quindi i presupposti per applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici”). 2.3. - Ciò precisato, dunque, la giurisprudenza comunitaria e nazionale, partendo dal concetto che l’affidamento diretto di un servizio è giustificato quando il soggetto affidatario si trova in una posizione strumentale e di rapporto organico con l’Amministrazione affidante, ha individuato i requisiti in presenza dei quali può ritenersi verificata la sussistenza di detta posizione e, conseguentemente, giustificato il conferimento “in house”. Tali requisiti sono (si vedano al riguardo CGE 18-11-1999 n. C-107–98, caso Teckal srl e 11-1-2005 n. C-26-03 sent. Stadt Halle et RPL Lochau; CdS, IV, 25.1.2005 n. 168; V, 9.3.2009 n. 1365, 26.8.2009 n. 5082 e 29.12.2009 n. 8970) la proprietà, da parte dell'ente pubblico, del capitale sociale del soggetto affidatario e l'esercizio sul medesimo di una forma di controllo analoga a quella svolta sui propri servizi, e l'esercizio, da parte della società affidataria, della quota prevalente della sua attività a favore dei soci». Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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