L’uomo nel corso della storia ha sempre ritenuto di dover lasciare delle tracce scritte dei mali che lo affliggevano e delle cure praticate per debellarli, infatti già nelle grotte della Spagna, sono rintracciabili in alcuni graffiti dei riferimenti a malati e malattie, primi accenni di quella che attualmente viene denominata cartella clinica. Ma è solo con l’invenzione della scrittura che ci giungono le prime tracce delle descrizioni delle cure mediche praticate, in particolare ricordiamo che la civiltà egiziana, raggiunse vette molto elevate anche in questo campo, dato che molti medici si curarono di annotare la loro attività, in favore dei loro pazienti. L’inventore di quella che poteva avere una parvenza di cartella clinica fu, tuttavia, Ippocrate, il padre della medicina, il quale, osservò che per una buona riuscita delle cure fosse necessario osservare razionalmente i pazienti, annotarne i sintomi riferiti e rilevati, le deduzioni in termini di diagnosi e le cure prescritte e praticate, nella convinzione, cosa innovativa per i suoi tempi, che le malattie e le guarigioni non fossero effetti di influssi metafisici o arti magiche, ma dipendessero da contingenze umane. Altro contributo alla materia fu dato del medico greco-romano Galeno il quale trasferitosi dalla Grecia a Roma, curò anni le ferite dei gladiatori e poi fu medico che servì alla corte degli imperatori. Si prese inoltre cura di realizzare delle pubblicazioni sui risultati dei suoi esperimenti e annotò le diagnosi e le cure riferite sia a pazienti, sia a malattie.

Nel corso dei tempi le annotazioni furono indirizzate sempre più a una necessità di una diagnosi esatta e di una cura efficace. Oggi la cartella clinica, non solo ha assunto una notevole importanza nell’ambito dell’attività medica, in particolare di quella ospedaliera, ma ha assunto rilevanza anche amministrativa e legale, anche se non esiste ancora una legislazione precisa nei suoi confronti che ne definisca contenuti e ne delimiti i contorni, ma solo delle linee guida di massima sul modo di realizzarla.

Oggi si può definire quanto meno in senso lato che tale raccolta di informazioni costituisca un dossier nel quale viene registrato un complesso di informazioni riferite ai dati anagrafici, alla situazione sanitaria, sociale, ambientale del paziente nel momento della sua ospedalizzazione, la diagnosi, le cure o gli interventi previsti, il decorso della malattia e tutta la vicenda del paziente nel periodo della sua degenza. In sintesi, anche in assenza di un modello unico da compilare in tutte le strutture, essa deve contenere l’anamnesi, l’esame obiettivo, il diario clinico. Tutto espresso in modo chiaro, intelligibile, ordinato in maniera cronologica e annotato immediatamente, in modo che possa essere anche utilizzato dopo la degenza, in favore dello stesso ammalato, o anche, fatta salva la privacy, per indagini di natura scientifica, statistica, medico-legale, e didattici.

Per la complessità che ha assunto attualmente l’argomento, tenuto conto che l’attività medica è rischiosa e la cartella clinica è immediatamente sequestrata in caso di decesso imprevisto del malato o di altro danno o fatto dallo stesso subito e denunziato, si ritiene che essa debba rispondere a requisiti di correttezza formale e sostanziale.

Per quanto riguarda la forma è richiesto che le correzioni possano essere apportate lasciando leggibili le precedenti annotazioni errate, in quanto in caso contrario vi è il rischio di responsabilità di alterazione del documento con conseguenze anche penali per chi l’ha redatta e per i suoi superiori. Le osservazioni, puntuali e diligenti, debbono essere leggibili da parte di tutti i medici e il personale sanitario coinvolti nella cura del paziente, in modo da facilitare l’assistenza globale. Per quanto riguarda l’aspetto sostanziale essa deve contenere in maniera veritiera, essenziale e pratica, ogni dato obiettivo relativo alla patologia e al suo decorso, le attività diagnostiche e le terapie praticate. Inoltre tutti gli elementi per una piena valutazione dell’attività svolta durante il ricovero, in quanto la cartella costituisce un atto ufficiale atto a garantire la certezza di una serie di vicende. Ogni intervento diagnostico e terapeutico invasivo o rischioso deve essere accompagnato da apposito “consenso informato” del paziente. Inoltre nella cartella clinica vanno allegate/trascritte tutte le risposte degli accertamenti specialistici che sono stati effettuati durante la degenza, ivi compresa la copia del referto dell’Autorità giudiziaria redatto in Pronto Soccorso e l’eventuale referto di riscontro autoptico in caso di decesso.

Alla compilazione della cartella clinica concorrono tutti coloro che la parte di competenza e funzione, hanno contatti con il paziente. Tali soggetti sono individuati da alcune norme quali ad esempio i D.P.R. 128/69 e 129/69, o l’art. 24 del D.M. 5/8/77 che individuano rispettivamente nel Primario, nel Direttore della clinica universitaria o medico operante presso case di cure private, i responsabili: “della regolare compilazione della cartella, dei registri nosologici e della loro conservazione”, anche se resta sottinteso che la compilazione viene materialmente svolta dai collaboratori medici e dagli specializzandi, equiparati nella sostanza al personale medico di reparto ai sensi del D.L. 257/91 e dal personale infermieristico ai sensi della Legge 42/99.

La completezza del documento deve riguardare ogni sua parte, senza arbitrarie omissioni. Infatti nel corso di indagine in tema di responsabilità professionali, ogni annotazione od omissione assume importanza sia come elemento costitutivo della colpa sia della formulazione di un giudizio complessivo sulla qualità dell’assistenza sanitaria prestata.

La corte di Cassazione sancisce come ogni atto, esperito sul paziente, sia esso diagnostico o terapeutico debba essere trascritto nella cartella clinica contestualmente alla sua esecuzione: ”La cartella clinica adempie alla funzione di diario del decorso della malattia e di altri fattori clinici rilevanti per cui gli eventi devono essere annotati in modo contestuale al loro verificarsi. In questo modo la cartella clinica acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla disponibilità dal suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata con la conseguenza ulteriore che all’infuori di errori materiali, le modifiche e le aggiunte integrano un falso punibile, anche se il soggetto abbia agito per ristabilire la verità, perché violano le garanzie di certezza accordate agli atti pubblici”; dal ciò discendono altri due caratteri propri della cartella clinica e cioè quello della immodificabilità e della irretrattabilità. Infine i dati contenuti nelle cartelle cliniche non possono essere alterati, ma è ammessa una loro rettifica o integrazione: ad esempio l’inserimento di annotazioni sulle risultanze di accertamenti successivamente effettuati presso altri organismi sanitari accreditati. I principali requisiti sostanziali della cartella clinica sono rappresentati dalla veridicità, completezza, precisione e chiarezza.

 

In dottrina essa è definita come atto certificativo – dichiarazione di scienza e verità da parte del medico, non idonea a costituire nuove situazioni giuridiche.

Essa rappresenta il mezzo più fedele in grado di documentare l’intero decorso clinico del degente, delle decisioni assunte, degli interventi effettuati e quindi del comportamento della struttura dell’ospedale. Essa costituisce, inoltre, un veicolo di comunicazione importante verso l’esterno (medici di base e Asl e assicurazioni) ed uno strumento scientifico e didattico per lo studio e la formazione professionale oltre che un importante fonte documentale per le ricerche di carattere storico.

Secondo, la giurisprudenza maggioritaria la cartella clinica costituisce: “un atto pubblico di fede privilegiata” ossia un atto redatto dal medico – pubblico ufficiale se compie attività di assistenza sanitaria (ASL ed Ospedali) – nell’esercizio di una potestà di certificazione ed attestazione conferita dalla legge ed in conformità ai singoli regolamenti interni. Il contenuto di essa è confutabile solo con la prova contraria di eguale importanza.

L’articolo 2699 c.c. definisce l’atto pubblico come il “documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato”. In sede di Cassazione Penale (sez. V° 21.1.1981, in Cass. pen. 1982, 726), viene affermato che “ha natura di atto pubblico la cartella clinica redatta dal medico dipendente di una clinica convenzionata con il Ministero della Sanità.” Lo stesso concetto viene ribadito nel caso di medici dipendente da casa di cura convenzionata (Cass. Pen. 27.05.1992 e Cass. Pen. sez. unite 11.07.92), anche se operante in libera professione presso case di cure convenzionate.

 

Per l’insieme di questi elementi la cartella clinica riveste un notevole ruolo documentale a cui possiamo attribuire due distinte finalità:

A) Sanitaria: in quanto la cartella clinica rappresenta una raccolta di notizie riguardanti il paziente nei riferimenti anamnestici, obiettivi, terapeutici e dietetici, raccolte dai medici curanti e destinate soprattutto alla diagnosi ed alla cura; subordinatamente allo studio, alla ricerca scientifica ed all’insegnamento.

B) Giuridica: in quanto la cartella clinica costituisce un atto pubblico di fede privilegiata poiché proviene da un pubblico ufficiale o da un pubblico dipendente incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni; trattasi di un documento originale che costituisce la fonte prima ed autonoma di quanto in essa contenuta; I fatti e le attestazioni di scienza che in essa figurano hanno rilevanza giuridica perché produttivi del diritto del paziente di essere assistito e dello Stato di assisterlo.

 

Dal primo gennaio 2006 il D. Lgs del 7 marzo 2005 n. 82 – Codice dell’Amministrazione Digitale, definisce al punto p) il “documento informatico” come la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. La cartella clinica quindi può nascere o essere trasformata in documento informatico, nel rispetto di quanto contenuto nel predetto decreto legislativo e sempre con salvaguardia della privacy delle persone.

Secondo La Circolare Ministeriale n. 61 del 19/12/1986: “Le cartelle cliniche, unitamente ai referti vanno conservate illimitatamente poiché rappresentano un atto ufficiale indispensabile a garantire certezza del diritto, oltre a costituire preziosa fonte documentale per le ricerche di carattere storico sanitario.” Le radiografie e altra documentazione diagnostica vanno conservate per 20 anni.

 

Un’altra possibile ipotesi di reato legato alla compilazione delle cartelle cliniche potrebbe riferirsi alla fattispecie della omissione di atti di ufficio di cui all’art. 328 del c.p. :”il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che indebitamente rifiuta, omette o ritarda un atto dell’ufficio o del servizio è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a lire 2 milioni”. In ambito civilistico una regolare compilazione della cartella clinica da cui sia derivato un danno ingiusto si sostanzia nell’obbligo di risarcimento ai sensi dell’art 2043 c.c.(risarcimento per fatto illecito). La responsabilità civile riguarda non solo il primario ma chiunque abbia contribuito alla compilazione della cartella clinica.

Inoltre sia dal punto di vista civile che penale, la cartella clinica è dotata di una speciale efficacia probatoria, ex art 2700 c.c.; dunque il giudice deve ritenere vere in ambito processuale, le circostanze attestate nell’atto pubblico (cartella clinica) dal pubblico ufficiale (medico) e non può basare la propria decisione su una versione dei fatti in contrasto con quella documentata dell’atto predetto. In sede civile, perché tale forma probatoria possa essere contrastata, occorre che la parte privata intenti la “querela di falso”, ossia un particolare procedimento penale al fine di accertare la falsità del documento.

Secondo una delle poche pronunce in materia quanto riportato nelle certificazioni di ordine sanitario fa fede fino a querela di falso solo per quello che ”il sanitario, pubblico ufficiale, attesta di aver compiuto o di essere avvenuto in sua presenza”, mentre ciò che non attiene ai fatti, per esempio la formulazione di giudizi diagnostici, non rientra nella tutela dell’efficacia probatoria dell’atto pubblico.

La legge attribuisce al primario la responsabilità della regolare compilazione della cartella clinica, ma questa è più propriamente una sorta di corresponsabilità in quanto l’obbligo giuridico del primario è quello di vigilare che la compilazione delle cartelle sia sostanzialmente e formalmente regolare. Per questo a carico del primario si può ipotizzare una responsabilità indiretta per “culpa in vigilando”, con l’obbligo al risarcimento del danno nel caso in cui dall’irregolare compilazione della cartella ne siano derivate delle conseguenze dannose/ nocive al paziente.

 

Un modo per ridurre le falsificazioni delle cartelle cliniche potrebbe essere quello di stabilire che il documento di natura cartacea, almeno per il diario clinico, sia redatto su modelli prestampati già con numeri progressivi, in modo che ogni struttura abbia a disposizione un certo numero di modelli. Sarebbe anche consigliabile l’uso di un modello unico o di modelli di larga diffusione, sia cartacei che informatici, per rendere più agili i trattamenti dei dati delle varie sezioni della cartella e per la collocazione ordinata dei documenti annessi.

Ad oggi non è prevista dalla legge l’obbligo di redigere un indice alla chiusura della cartella né la figura di un responsabile unico dell’attività documentale. Se la cartella clinica venisse disciplinata in maniera organica, sarebbe, comunque, opportuno individuare la figura di un responsabile dell’attività documentale, con compiti più penetranti di quelli oggi svolti dal responsabile della struttura complessa (ex primario).

Bisognerebbe, infatti, affidare per una migliore certezza e conservazione dei dati contenuti nella cartella ad una figura professionale specifica il compito e la responsabilità di controllare, in modo costante, la completezza dei dati acquisiti in essa.

La cartella clinica può ricevere, dunque, la qualificazione di documento complesso, che rientra tra i documenti con valenza medico-legale (documenti sanitari con caratteri di ufficialità) nei quali vengono “attestati fatti clinici dei quali l’atto è destinato a provare la verità” ed espresse valutazioni terapeutiche e diagnostiche.

La cartella clinica può essere rilasciata al diretto interessato, al tutore o a chi esercita la patria potestà in caso di minore o incapace, a persona fornita di delega (ivi compreso il medico curante), all’ Autorità giudiziaria, agli enti previdenziali (INAIL, INPS, ecc.), al S.S.N., agli eredi legittimi, con riserva per determinate notizie, ai medici a scopo scientifico-statistico, purché sia mantenuto l’anonimato. Non può essere invece rilasciata a terzi se non muniti di delega (compresi il coniuge o i parenti stretti), al medico curante senza la autorizzazione del paziente, ai patronati, ai Ministeri e all’Autorità di PS solo le notizie a seguito di precisi quesiti di ordine sanitario.

Da ultimo va ricordato che gli accordi collettivi di categoria prevedono, tra i compiti del medico convenzionato col S.S.N., la tenuta e l’aggiornamento della scheda sanitaria come previsto dalla legge 833/78 all’articolo 48.

Non sono da sottovalutare oggi, per quanto detto, gli aspetti economici connessi alla problematica della compilazione della cartella clinica, la quale assurgendo ad atto ufficiale, unisce tali aspetti a quelli clinici, amministrativi, medico-legali, di informazione tra i vari operatori o di elementi per rilievi statistici e scientifici.

Il vecchio sistema della cartella con la storia clinica divisa per dati anamnestici familiari, fisiologici, della patologia remota e della storia clinica recente nonché dai rilievi clinici scaturiti dalla visita sembra, quindi, ormai superato. Ci sono, infatti, molte personalizzazioni nella compilazione della cartella clinica e ciò è dovuto ai diversi obiettivi individuali o di reparto oltre che di area, che non garantiscono più né il paziente né gli operatori della sanità. 

Siamo, quindi, in attesa di una compiuta legislazione a riguardo che garantisca la certezza del diritto in ogni fase della formazione della cartella clinica, nella sua conservazione e nel momento del rilascio di essa e delle sanzioni da comminare a chi perde le cartelle cliniche.