L'autrice si propone di affrontare la vexata quaestio della natura giuridica dei contratti di appalto per la realizzazione dei lavori di urbanizzazione a scomputo.

Al fine di inquadrare compiutamente la tematica, ovvero per risalire alla natura giuridica dei contratti di appalto per la realizzazione delle opere di urbanizzazione (ed alla disciplina conseguentemente applicabile), è utile procedere ad una breve ricognizione della normativa succedutasi fino ad oggi in tema di opere di urbanizzazione, dando conto anche delle ragioni che hanno portato all’attuale formulazione del Codice degli appalti.

L’origine della questione che ci occupa va ricondotta alla c.d. “ legge - ponte” (legge n. 765 del 1967), che all'art. 8 sanciva (per la prima volta nel nostro ordinamento) l’obbligo, a carico dell’attuatore, di cedere gratuitamente le aree destinate alle opere di urbanizzazione con previsione, altresì, dell’onere di farsi carico della realizzazione delle stesse, secondo i termini e le garanzie stabilite dalla relativa convenzione. Con la richiamata previsione normativa veniva, così, fissato il principio secondo cui il compito ed il costo dell’apprestamento delle infrastrutture dell’intervento lottizzatorio spetta ai soggetti attuatori ai quali, appunto, compete “l’assunzione degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relativa alla lottizzazione o di quelle opere necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi”. Per cogliere lo spirito dell’intervento legislativo, risultano particolarmente significative le disposizioni finalizzate a garantire l’effettiva realizzazione delle opere di urbanizzazione relative all’intervento lottizzatorio (ad esempio la previsione di termini massimi per il completamento delle opere o ancora la previsione secondo cui “il rilascio delle licenze edilizie nell’ambito dei singoli lotti è subordinato all’impegno della contemporanea esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria relativa ai lotti stessi”). A livello di interventi diretti, poi, con l’art. 31 della l. n. 1150/1942, come modificato dalla citata l. n. 765/1967, si introduceva la regola secondo cui il rilascio della concessione edilizia deve essere subordinato alla presenza dell’urbanizzazione primaria o, comunque, all’impegno del proprietario a realizzarla contemporaneamente all’intervento costruttivo. A chiusura del sistema prospettato, l’art. 11 della legge Bucalossi (legge n. 10 del 1977) sanciva che i proprietari che hanno assunto gli impegni urbanizzativi diretti sono sgravati dall’obbligo di corrispondere la relativa quota di contributo (obbligo esteso, dalla predetta legge n. 10/1977, ad ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale). Sotto tale profilo, quindi, la normativa “prevede che il richiedente la concessione edilizia scomputi dagli oneri di urbanizzazione il valore delle opere (di urbanizzazione) realizzate in proprio, affinché la quota di detti oneri, dovuti in sede di rilascio di concessione, non dia luogo ad una duplicazione di prestazioni” (così Consiglio di Stato, sez. V, 10/06/1998, n. 807). Tutta la materia delle opere di urbanizzazione, nella sua valenza edilizia ed, in particolare, della disciplina degli interventi diretti, è stata, poi, assorbita dal T.U. delle norme in materia edilizia, approvato con d.p.r. n. 380/2001. L’art. 16 del richiamato testo normativo ha, infatti, confermato la possibilità per il privato di obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con relativo scomputo.

Il panorama normativo sin qui delineato ha subito un sostanziale stravolgimento negli ultimi anni in conseguenza di una ormai nota pronuncia della Corte di Giustizia della Comunità Europea: stravolgimento che, probabilmente, senza considerare compiutamente la ratio della normativa su cui interveniva, ha, in parte, tradito lo spirito e le ragioni poste alla base della “ legge - ponte”. Ci si riferisce, in particolare, alla sentenza n. 399 del 12/7/2001 con cui la Corte di Giustizia, esprimendosi sul caso “Bicocca” di Milano, ha affermato l’assoggettamento alla Direttiva del Consiglio n. 93/37/Cee (in tema di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori) della realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione, a scomputo totale o parziale del contributo dovuto, da parte del privato titolare di una concessione edilizia o di un piano di lottizzazione. La pronuncia in questione ha avuto notevoli ripercussioni sul panorama dell’urbanistica convenzionata inducendo il legislatore italiano a tentare una completa ridisciplina della materia mediante l’emanazione del richiamato d. lgs. n. 163/06 (c.d. “Codice degli appalti”).

In sostanza, in virtù delle norme introdotte dal citato Codice (ed, in particolare, del combinato disposto di cui agli artt. 32, comma primo lett. g), art. 122, comma ottavo e 253 comma ottavo), le opere di urbanizzazione primaria a scomputo ovvero quelle previste in un piano di lottizzazione convenzionata venivano escluse dalla applicazione del Codice se di importo inferiore alla soglia comunitaria e purché correlate ad un singolo intervento edilizio; quelle di urbanizzazione secondaria venivano sempre assoggettate al Codice, salvo vi fossero impegni assunti dai privati in epoca anteriore alla entrata in vigore del Codice stesso. Con tale previsione, dunque, il legislatore italiano aveva ritenuto di adeguarsi alla richiamata sentenza della Corte di Giustizia assoggettando al rispetto delle particolari procedure di evidenza pubblica previste dalla lett. g) del citato art. 32 l’esecuzione di opere di urbanizzazione primaria sopra soglia nonché l’esecuzione delle opere di urbanizzazione secondaria sia sopra che sotto soglia. Successivamente, intervenivano il primo ed il secondo correttivo al richiamato d. lgs. n. 163/06 (disposti rispettivamente con il d. lgs. n. 6 del 26/1/2007 e, poi, con il d. lgs. n. 113 del 31/7/2007) fino ad arrivare, anche sulla scorta della sentenza della Corte di Giustizia del 21/2/2008 (Causa n. C412/04), al terzo correttivo contenuto nel d. lgs. n. 152/08. Con l’ultima novella, in particolare, il legislatore italiano, nella preoccupazione di adeguarsi una volta per tutte ai rilievi di matrice europea, ha provveduto ad uniformare l'intera disciplina, senza più distinguere tra le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, e, statuendo, nello specifico, l'assoggettamento alle procedure dell'evidenza pubblica di tutti i contratti di realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo. Alla luce del terzo correttivo, si può quindi affermare che, per quanto concerne le opere di urbanizzazione a scomputo il regime risulta attualmente il seguente: il privato titolare del piano di lottizzazione (ovvero titolare del permesso di costruire) agisce quale stazione appaltante poiché rientra fra gli “altri soggetti aggiudicatori” in quanto soggetto privato tenuto all’osservanza del Codice (ex art. 3, comma 31 – definizioni).

Dalle richiamate disposizioni normative, emerge che l’attuale quadro normativo di riferimento per la materia dei contratti di appalti pubblici trova la sua genesi nella citata sentenza della Corte di Giustizia Europea del 21/7/01 (causa C-399/98). Sentenza con cui (come anticipato) i giudici comunitari hanno ritenuto doversi applicare la direttiva del Consiglio n. 93/37/Cee (in tema di procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori) anche alla realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo dovuto per il rilascio della concessione. Per meglio comprendere la portata di tale dictum, assume particolare rilievo l'iter logico-argomentativo attraverso cui la Corte di Giustizia è arrivata ad affermare che la realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo è da ricondursi al genus dell' “appalto pubblico di lavori”. Tale conclusione muove dalla constatazione della ricorrenza di tutti gli elementi caratterizzanti l'istituto dell'appalto pubblico di lavori alla stregua alla disciplina comunitaria (disciplina ora recepita, in modo più o meno fedele, dal Codice degli appalti). Detti elementi consistono: 1. nel riconoscimento della natura di "amministrazione aggiudicatrice" in capo all'Ente che abbia approvato il programma di lavori in cui sono previste le opere a scomputo; 2. nella riconducibilità delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria alla categoria delle opere pubbliche in senso stretto, stante la loro idoneità funzionale a soddisfare le esigenze della collettività ed il pieno controllo dell’amministrazione competente sulla realizzazione delle opere medesime (all’uopo i giudici sottolineavano tra l’altro come non rilevasse ad escludere la necessità dell’evidenza pubblica la circostanza che l’opera fosse inizialmente privata, sul presupposto della "intrinseca finalità pubblicistica"); 3. nel carattere contrattuale del rapporto fra l’amministrazione e il privato lottizzante (difatti la convenzione di lottizzazione, sottoscritta tra le parti, stabilisce diritti ed obblighi reciproci, ivi compresa l’esatta individuazione delle opere di urbanizzazione che il privato è tenuto a realizzare, nonché le relative condizioni di esecuzione); 4. nella natura onerosa di tale contratto (sul presupposto che la P.A., accettando la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione, rinuncia a pretendere il pagamento dell’importo dovuto a titolo di contributo, ai sensi dell’art. 3 della l. n. 10/1977, e per converso, il titolare del permesso di costruire, attraverso la realizzazione diretta delle opere, estingue un debito di pari valore). Orbene la Corte di Giustizia ha ritenuto che la sussistenza di tutti i richiamati requisiti caratterizzanti un appalto pubblico di lavori, impone la necessaria applicazione delle procedure ad evidenza pubblica. 

Da ciò la previsione dell’art. 2, comma 5 della legge n. 109 del 1994 (c.d. legge Merloni), sostituita dall’art. 32, primo comma, lettera g), del d.lgs. 163 del 2006, di recente novellata dall’art. 2, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 113 del 2007 che ha riportato nell’ambito dell’evidenza pubblica (e delle sue regole) la realizzazione delle opere pubbliche di urbanizzazione che, attraverso convenzioni accessive ai piani urbanistici attuativi di iniziativa privata, finivano con l’essere realizzate direttamente dal privato, con elusione delle regole dei contratti pubblici. I richiamati art. 32, comma 1, lett. g) e 122, comma 8, del Codice dei contratti, come riformulati a seguito delle modifiche apportate dagli interventi correttivi del 2007 e del 2008, assoggettano dunque a procedure di evidenza pubblica (procedure aperte e ristrette ex art. 55 nel caso di contratti “soprasoglia”; procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara ex art. 57, comma 6, nel caso di contratti “sottosoglia”) l’affidamento delle opere di urbanizzazione, anche ove assunte da soggetti privati titolari del permesso di costruire, annoverando in tal modo le opere di urbanizzazione tra i lavori pubblici soggetti alla disciplina concorrenziale, a prescindere dalla natura pubblica o privata del soggetto che se ne fa carico. L’introduzione dei richiamati obblighi di evidenza pubblica, con lo scopo di conformare il nostro ordinamento alla disciplina concorrenziale comunitaria, si giustifica in virtù del fatto che (come chiarito dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee, nella citata sentenza -richiamata anche dalla Consulta nella sent. n. 129/2006) qualora il privato titolare del permesso di costruire realizzi direttamente le opere di urbanizzazione primaria e secondaria a scomputo totale o parziale degli oneri da corrispondere alla pubblica amministrazione, a titolo di contributo alle spese sostenute dalla collettività per la trasformazione del territorio, egli diviene a tutti gli effetti organo indiretto della P.A. e pertanto deve uniformarsi alle norme in tema di appalti di opere pubbliche in ossequio ai principi dell’evidenza pubblica.

Difatti anche in caso di assunzione diretta delle opere di urbanizzazione da parte di soggetti privati, i relativi oneri economici (attraverso il meccanismo dello “scomputo”), finiscono col ricadere (sia pure di riflesso) sull’Amministrazione pubblica, con conseguente riconoscibilità di una stazione appaltante pubblica agli effetti della normativa e dell’interpretazione comunitaria in materia di contratti pubblici.

In effetti a seguito dello scomputo l’assunzione delle opere di urbanizzazione da parte del privato titolare del permesso di costruire (in luogo dell’Amministrazione che sarebbe altrimenti tenuta alla realizzazione di tali opere), si traduce in una corrispondente decurtazione del relativo contributo (dovuto dal privato nei confronti dell’Amministrazione medesima) e, conseguentemente, la realizzazione delle opere di urbanizzazione, anche quando assunte dal privato, si traduce sempre in un a carico anche delle finanze pubbliche.

In considerazione di tale meccanismo, l’assunzione delle opere di urbanizzazione da parte di privati a scomputo del contributo da essi dovuto per il permesso di costruire è stata annoverata, prima nell’interpretazione comunitaria e poi nella legislazione nazionale (per l’appunto con i richiamati art. 32, comma 1 lett. g), e 122, comma 8, Codice dei contratti), tra i lavori pubblici, come tali soggetti agli obblighi di evidenza pubblica.

Rebus sic stanti bus:  ancorchè il rapporto instauratosi tra la stazione appaltante e la società appaltatrice abbia ad oggetto la commissione di opere aventi natura “intrinsecamente pubblica” (essendo ritenute tali le opere di urbanizzazione, secondo il citato dictum della Corte di Giustizia), esso non può essere ricondotto de plano alla disciplina dettata in tema di opere pubbliche.

L’applicabilità della normativa in tema di opere pubbliche è limitata ai fini e agli effetti legalmente previsti (ovvero è limitata all’assoggettamento delle relative procedure di affidamento alle regole dell’evidenza pubblica, secondo i moduli previsti –da ultimo- dal terzo correttivo del Codice degli Appati), e non incide sulla natura dell’accordo stipulato tra il titolare del permesso (oggi “stazione appaltante”) e l’impresa appaltatrice: tale accordo rimane di matrice privatistica e, come tale, risulta regolato dal diritto comune e dall’Autonomia Negoziale delle parti.

In particolare: dubbia applicabilità ai contratti di appalto delle opere di urbanizzazione a scomputo, delle disposizioni eccezionali introdotte dal DL 162/2008, per fronteggiare gli aumenti repentini dei prezzi di alcuni materiali da costruzione verificatisi nel 2008. Il DL 162/2008 a sua volta deroga a quanto previsto, sul punto, dal Dlgs 163 del 2006 e succ. mod. ed integrazioni, quale lex generalis regolante la materia dei contratti di appalti di lavori pubblici. In sostanza la normativa eccezionale de quo prevede che: relativamente alle variazioni percentuali dei materiali da costruzione rilevate con decreto del Ministero delle Infrastrutture, si faccia luogo a "compensazioni" in aumento o in diminuzione nei limiti indicati nello stesso decreto ai commi 8, 9 e 10; per le variazioni in aumento la normativa prevede che l'appaltatore presenti alla stazione appaltante l'istanza di compensazione entro trenta giorni dalla pubblicazione in G.U. del decreto summenzionato (NB la normativa si applica solo ai soli appaltatori e non ai subappaltatori; il rapporto tra appaltatore e subappaltatore resta regolato dalle nome di diritto comune, salve diverse pattuizioni nel contratto di subappalto).
Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, e stante la natura "provatistica" dei contratti in questione, deve ritenersi l'inapplicabilità della disciplina contenuta nel DL 162/2008.

 Concludendo: ferma restando l’applicazione, per quanto concerne le modalità di affidamento, delle regole dell’evidenza pubblica di cui al Codice degli Appalti, il contratto avente ad oggetto la commissione dei lavori di urbanizzazione ha la natura di accordo privato, riconducibile al diritto comune ed alle regole dell’autonomia negoziale.
Avv. Fabiana Fucci