Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 19193 pubblicata il 28 settembre 2015, affronta due questioni rilevanti in tema di cessione della partecipazione sociale, ovvero quella delle garanzie connesse alla vendita e quella della validità della clausola di rinuncia all’azione sociale di responsabilità nei confronti del socio uscente, ex amministratore.
 
Il caso: con atto del 14.10.2011 i signori M.P e M.M.G cedevano alla A.G. S. S.r.l. le partecipazioni dagli stessi detenute nella DKB C. S.p.A.: il prezzo pattuito per la vendita veniva pagato, in parte, alla stipula dell’atto di cessione e, per il resto, l’accordo prevedeva pagamenti rateali.
 
Contestualmente alla stipula, il sig. A.G., amministratore unico della A.G. S. S.r.l. rilasciava a favore dei venditori una fideiussione a prima richiesta a garanzia del pagamento del saldo prezzo da parte della società da lui rappresentata.
 
L’acquirente non provvedeva al pagamento del saldo prezzo sicché, dichiarato decaduto dal beneficio del termine, i venditori M.P. e M.M.G. chiedevano ed ottenevano dal Tribunale l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti della debitrice principale e del garante.
 
Decreto avverso il quale la A.G. S. S.r.l. e il sig. A.G. in proprio proponevano opposizione.
 
Tre erano le doglianze sollevate dagli opponenti:
 
  1. la nullità del contratto di cessione delle partecipazioni, essendosi i venditori rifiutati di rilasciare le garanzie in ordine al patrimonio sociale della DBK C. S.p.A..;
  2. la nullità della clausola di rinuncia all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, contenuta nel contratto di cessione delle partecipazioni;  
  3. la risolubilità del contratto per difetto delle qualità promesse e per inadempimento, con conseguente insussistenza anche dell’obbligazione del fideiussore.
 
Il Tribunale di Roma, con la sentenza che si annota, ha rigettato sotto tutti i profili le domande degli acquirenti / opponenti.
 
In merito alla prima delle contestazioni spiegate dagli opponenti, il Tribunale di Roma ha ricordato come costituisca oramai consolidato orientamento giurisprudenziale che la consistenza patrimoniale della società, nell’ambito della cessione di quote od azioni di quest’ultima, rileva solo in presenza di una specifica garanzia assunta dal cedente.
 
Infatti la cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali o di persone ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta.
 
Pertanto le carenze e i vizi relativi alla consistenza e alle caratteristiche dei beni ricompresi nel patrimonio sociale possono giustificare la risoluzione del contratto di cessione delle partecipazioni sociali solo nel caso in cui siano state fornite dal cedente specifiche garanzie contrattuali.
 
Per tali ragioni, mancando, nel contratto oggetto di esame del Tribunale, qualsiasi riferimento a garanzie specifiche assunte dai venditori ed, anzi, prevedendo esso l’espressa esclusione di qualsivoglia garanzia, il Tribunale ha ritenuto non fondata la domanda di nullità del contratto di cessione delle partecipazioni, nonché quella di risoluzione del contratto per difetto delle qualità promesse, non ravvisandosi alcuna difformità, se rapportata alla sola consistenza della partecipazione ceduta.
 
Il Tribunale di Roma si è altresì addentrato nell’esame della seconda delle doglianze sollevate dall’acquirente, relativa alla presunta nullità del contratto per esservi stata inclusa una clausola di rinuncia all’azione di responsabilità in favore del socio uscente ed ex amministratore.
 
Nello specifico la clausola contestata prevedeva che “l’acquirente assume l’obbligo di non esercitare e, comunque, garantisce di non deliberare o far deliberare dalla società qualsiasi azione di responsabilità nei confronti del dott. M.P. per la carica di amministratore della società dallo stesso ricoperta”.
 
Ricostruito il quadro giurisprudenziale e dottrinale che, in genere, ammette la validità dei patti parasociali aventi ad oggetto l’impegno assunto dai soci ad orientare le decisioni assembleari (detti anche sindacati di voto), pur col limite del rispetto delle norme imperative e il divieto di assumere decisioni che contrastino con gli interessi della società, il Tribunale di Roma ha ritenuto lecita la suddetta clausola in quanto relativa a diritti disponibili della società, ovvero ad azioni di responsabilità che la società avrebbe già potuto deliberare e quindi rinunciare, essendo il socio/amministratore M.P. dimissionario.
 
Diversamente, ove fosse stata prevista la rinuncia preventiva all’azione di responsabilità, riferita a comportamenti futuri dell’amministratore ancora in carica, la clausola sarebbe stata nulla per contrasto con i principi dettati dagli artt. 2392 e 2393 c.c., ritenute norme imperative.
 
In effetti una rinuncia preventiva ad esercitare il proprio voto con riguardo all’amministratore in carica appare idonea a snaturare completamente il modello di gestione di cui agli artt. 2392 e 2393 c.c. Per come correttamente evidenziato in dottrina, tali norme, infatti, non hanno solo la funzione di garantire una ragione risarcitoria nei confronti degli amministratori alla società danneggiata dalla loro negligente gestione, ma hanno anche, e preliminarmente, la funzione di scongiurare una gestione negligente. In questa ottica può dirsi che le norme in esame tutelano anche gli interessi di terzi i quali possono contare su un meccanismo che, ex ante, scoraggia gli amministratori dal gestire in modo negligente la società, perché impone loro per la durata dell’incarico di rispettare, pena la responsabilità, gli obblighi di gestire con la diligenza richiesta in ragione della natura dell’incarico e delle loro specifiche competenze”.
 
Al contrario, nei casi in cui l’accordo che imponga ai soci di non votare in assemblea la responsabilità degli amministratori uscenti sia pattuito alla conclusione del mandato gestorio, non è riscontrabile il medesimo disvalore dell’ipotesi in precedenza esaminata”.
 
Infatti, “deve osservarsi come la valutazione successiva dell’opportunità di far valere o meno la responsabilità dell’amministratore uscente è del tutto legittima se effettuata dall’assemblea, alla quale tale valutazione è espressamente rimessa, sia pure con uno speciale meccanismo di voto a garanzia delle minoranze. Ma, allora, lo stesso può dirsi dell’analoga valutazione che i soci facciano, al termine del mandato gestorio, al di fuori e prima dell’assemblea, al fine di orientare il voto di quest’ultima sull’opportunità di far valere o meno la responsabilità dell’amministratore uscente. Non si tratterebbe di un accordo preventivo di esonero di responsabilità per dolo o colpa grave dell’amministratore, ma piuttosto dell’accordo tra i soci di orientare la decisione della società a rinunciare al proprio (eventuale) credito risarcitorio verso l’amministratore al termine del mandato e avendone potuto constatare gli esiti. E’ stato, quindi, correttamente osservato che la natura successiva dell’accordo, che intervenga a conclusione dell’incarico gestorio, esclude che la pattuizione parasociale sia censurabile sotto il profilo della violazione della funzione deterrente delle norme sulla responsabilità degli amministratori. In tal caso, infatti, gli amministratori hanno assunto il proprio incarico e lo hanno svolto sotto la “minaccia” della proponibilità delle azioni di responsabilità e solo a conclusione del medesimo ottengono dai soci (entranti) la promessa di non votare tale azione o comunque di rinunziarvi. Né, d’altra parte, si profila un contrasto con l’art. 1229 c.c., che permette al creditore di non far valere il proprio diritto al risarcimento del danno anche se il debitore abbia agito con dolo o colpa grave”.
 
In altri termini, se è vero che i soci in assemblea possono validamente deliberare la rinuncia all’azione di responsabilità, avuto riguardo a fatti specifici già compiuti dagli amministratori e per questo già fonte di ipotetica responsabilità, analogamente e con la stessa validità, i soci possono impegnarsi a non votare in assemblea l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore uscente.
 
In chiusura il Tribunale ha ricordato che quand’anche la citata clausola fosse stata dichiarata nulla, la nullità non avrebbe potuto travolgere l’intero contratto come richiesto dagli opponenti, non avendo la parte provato che senza quella parte affetta da nullità il contratto non sarebbe stato concluso ai sensi dell’art. 1419 c.c..
 
*
In conclusione la sentenza fornisce importanti spunti di riflessione e costituisce un invito a prestare particolare attenzione nell’assistenza ai clienti che vogliano cedere o acquistare una partecipazione sociale.
 
Le garanzie previste dal codice civile in tema di vendita sono infatti operanti, ma riguardano la sola partecipazione ceduta (bene immediato) e non la situazione patrimoniale della società le cui partecipazioni sono oggetto di contratto (bene mediato). 
 
Pertanto, ove si voglia garantire il cliente dal rischio che la situazione economica della società non sia così solida come immaginato o dall’ipotesi che si verifichino sopravvenienze passive, minusvalenze o insussistenze dell’attivo, è indispensabile inserire in contratto apposite clausole che prevedano meccanismi di risoluzione / riduzione del prezzo ancorati ad una verifica successiva della solidità finanziaria della società.
 
Analogamente appare opportuno valutare attentamente se sia, o meno, conveniente inserire clausole di rinuncia all’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori uscenti.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 19193 pubblicata il 28 settembre 2015, affronta due questioni rilevanti in tema di cessione della partecipazione sociale, ovvero quella delle garanzie connesse alla vendita e quella della validità della clausola di rinuncia all’azione sociale di responsabilità nei confronti del socio uscente, ex amministratore.
 
Il caso: con atto del 14.10.2011 i signori M.P e M.M.G cedevano alla A.G. S. S.r.l. le partecipazioni dagli stessi detenute nella DKB C. S.p.A.: il prezzo pattuito per la vendita veniva pagato, in parte, alla stipula dell’atto di cessione e, per il resto, l’accordo prevedeva pagamenti rateali.
 
Contestualmente alla stipula, il sig. A.G., amministratore unico della A.G. S. S.r.l. rilasciava a favore dei venditori una fideiussione a prima richiesta a garanzia del pagamento del saldo prezzo da parte della società da lui rappresentata.
 
L’acquirente non provvedeva al pagamento del saldo prezzo sicché, dichiarato decaduto dal beneficio del termine, i venditori M.P. e M.M.G. chiedevano ed ottenevano dal Tribunale l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti della debitrice principale e del garante.
 
Decreto avverso il quale la A.G. S. S.r.l. e il sig. A.G. in proprio proponevano opposizione.
 
Tre erano le doglianze sollevate dagli opponenti:
 
  1. la nullità del contratto di cessione delle partecipazioni, essendosi i venditori rifiutati di rilasciare le garanzie in ordine al patrimonio sociale della DBK C. S.p.A..;
  2. la nullità della clausola di rinuncia all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, contenuta nel contratto di cessione delle partecipazioni;
  3. la risolubilità del contratto per difetto delle qualità promesse e per inadempimento, con conseguente insussistenza anche dell’obbligazione del fideiussore.
 
Il Tribunale di Roma, con la sentenza che si annota, ha rigettato sotto tutti i profili le domande degli acquirenti / opponenti.
 
In merito alla prima delle contestazioni spiegate dagli opponenti, il Tribunale di Roma ha ricordato come costituisca oramai consolidato orientamento giurisprudenziale che la consistenza patrimoniale della società, nell’ambito della cessione di quote od azioni di quest’ultima, rileva solo in presenza di una specifica garanzia assunta dal cedente.
 
Infatti la cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali o di persone ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta.
 
Pertanto le carenze e i vizi relativi alla consistenza e alle caratteristiche dei beni ricompresi nel patrimonio sociale possono giustificare la risoluzione del contratto di cessione delle partecipazioni sociali solo nel caso in cui siano state fornite dal cedente specifiche garanzie contrattuali.
 
Per tali ragioni, mancando, nel contratto oggetto di esame del Tribunale, qualsiasi riferimento a garanzie specifiche assunte dai venditori ed, anzi, prevedendo esso l’espressa esclusione di qualsivoglia garanzia, il Tribunale ha ritenuto non fondata la domanda di nullità del contratto di cessione delle partecipazioni, nonché quella di risoluzione del contratto per difetto delle qualità promesse, non ravvisandosi alcuna difformità, se rapportata alla sola consistenza della partecipazione ceduta.
 
Il Tribunale di Roma si è altresì addentrato nell’esame della seconda delle doglianze sollevate dall’acquirente, relativa alla presunta nullità del contratto per esservi stata inclusa una clausola di rinuncia all’azione di responsabilità in favore del socio uscente ed ex amministratore.
 
Nello specifico la clausola contestata prevedeva che “l’acquirente assume l’obbligo di non esercitare e, comunque, garantisce di non deliberare o far deliberare dalla società qualsiasi azione di responsabilità nei confronti del dott. M.P. per la carica di amministratore della società dallo stesso ricoperta”.
 
Ricostruito il quadro giurisprudenziale e dottrinale che, in genere, ammette la validità dei patti parasociali aventi ad oggetto l’impegno assunto dai soci ad orientare le decisioni assembleari (detti anche sindacati di voto), pur col limite del rispetto delle norme imperative e il divieto di assumere decisioni che contrastino con gli interessi della società, il Tribunale di Roma ha ritenuto lecita la suddetta clausola in quanto relativa a diritti disponibili della società, ovvero ad azioni di responsabilità che la società avrebbe già potuto deliberare e quindi rinunciare, essendo il socio/amministratore M.P. dimissionario.
 
Diversamente, ove fosse stata prevista la rinuncia preventiva all’azione di responsabilità, riferita a comportamenti futuri dell’amministratore ancora in carica, la clausola sarebbe stata nulla per contrasto con i principi dettati dagli artt. 2392 e 2393 c.c., ritenute norme imperative.
 
In effetti una rinuncia preventiva ad esercitare il proprio voto con riguardo all’amministratore in carica appare idonea a snaturare completamente il modello di gestione di cui agli artt. 2392 e 2393 c.c. Per come correttamente evidenziato in dottrina, tali norme, infatti, non hanno solo la funzione di garantire una ragione risarcitoria nei confronti degli amministratori alla società danneggiata dalla loro negligente gestione, ma hanno anche, e preliminarmente, la funzione di scongiurare una gestione negligente. In questa ottica può dirsi che le norme in esame tutelano anche gli interessi di terzi i quali possono contare su un meccanismo che, ex ante, scoraggia gli amministratori dal gestire in modo negligente la società, perché impone loro per la durata dell’incarico di rispettare, pena la responsabilità, gli obblighi di gestire con la diligenza richiesta in ragione della natura dell’incarico e delle loro specifiche competenze”.
 
Al contrario, nei casi in cui l’accordo che imponga ai soci di non votare in assemblea la responsabilità degli amministratori uscenti sia pattuito alla conclusione del mandato gestorio, non è riscontrabile il medesimo disvalore dell’ipotesi in precedenza esaminata”.
 
Infatti, “deve osservarsi come la valutazione successiva dell’opportunità di far valere o meno la responsabilità dell’amministratore uscente è del tutto legittima se effettuata dall’assemblea, alla quale tale valutazione è espressamente rimessa, sia pure con uno speciale meccanismo di voto a garanzia delle minoranze. Ma, allora, lo stesso può dirsi dell’analoga valutazione che i soci facciano, al termine del mandato gestorio, al di fuori e prima dell’assemblea, al fine di orientare il voto di quest’ultima sull’opportunità di far valere o meno la responsabilità dell’amministratore uscente. Non si tratterebbe di un accordo preventivo di esonero di responsabilità per dolo o colpa grave dell’amministratore, ma piuttosto dell’accordo tra i soci di orientare la decisione della società a rinunciare al proprio (eventuale) credito risarcitorio verso l’amministratore al termine del mandato e avendone potuto constatare gli esiti. E’ stato, quindi, correttamente osservato che la natura successiva dell’accordo, che intervenga a conclusione dell’incarico gestorio, esclude che la pattuizione parasociale sia censurabile sotto il profilo della violazione della funzione deterrente delle norme sulla responsabilità degli amministratori. In tal caso, infatti, gli amministratori hanno assunto il proprio incarico e lo hanno svolto sotto la “minaccia” della proponibilità delle azioni di responsabilità e solo a conclusione del medesimo ottengono dai soci (entranti) la promessa di non votare tale azione o comunque di rinunziarvi. Né, d’altra parte, si profila un contrasto con l’art. 1229 c.c., che permette al creditore di non far valere il proprio diritto al risarcimento del danno anche se il debitore abbia agito con dolo o colpa grave”.
 
In altri termini, se è vero che i soci in assemblea possono validamente deliberare la rinuncia all’azione di responsabilità, avuto riguardo a fatti specifici già compiuti dagli amministratori e per questo già fonte di ipotetica responsabilità, analogamente e con la stessa validità, i soci possono impegnarsi a non votare in assemblea l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore uscente.
 
In chiusura il Tribunale ha ricordato che quand’anche la citata clausola fosse stata dichiarata nulla, la nullità non avrebbe potuto travolgere l’intero contratto come richiesto dagli opponenti, non avendo la parte provato che senza quella parte affetta da nullità il contratto non sarebbe stato concluso ai sensi dell’art. 1419 c.c..
 
*
In conclusione la sentenza fornisce importanti spunti di riflessione e costituisce un invito a prestare particolare attenzione nell’assistenza ai clienti che vogliano cedere o acquistare una partecipazione sociale.
 
Le garanzie previste dal codice civile in tema di vendita sono infatti operanti, ma riguardano la sola partecipazione ceduta (bene immediato) e non la situazione patrimoniale della società le cui partecipazioni sono oggetto di contratto (bene mediato). 
 
Pertanto, ove si voglia garantire il cliente dal rischio che la situazione economica della società non sia così solida come immaginato o dall’ipotesi che si verifichino sopravvenienze passive, minusvalenze o insussistenze dell’attivo, è indispensabile inserire in contratto apposite clausole che prevedano meccanismi di risoluzione / riduzione del prezzo ancorati ad una verifica successiva della solidità finanziaria della società.
 
Analogamente appare opportuno valutare attentamente se sia, o meno, conveniente inserire clausole di rinuncia all’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori uscenti.