CANCELLAZIONE ED ESTINZIONE DELLE SOCIETÀ

ALLA LUCE DELLE TRE SENTENZE GEMELLE DEL 2010:

I MORTI POSSONO ANCORA RESUSCITARE

(SIA PURE SOLO PER CORRETTAMENTE MORIRE)? [1]

La cancellazione [2] della società dal Registro delle imprese rappresenta l’atto finale del procedimento di liquidazione, vale a dire quell’insieme di operazioni finalizzate a reperire le risorse necessarie a soddisfare i creditori sociali e a ripartire tra i soci il residuo attivo (dopo che ad essi siano stati restituiti gli eventuali finanziamenti postergati e rimborsati i conferimenti). Nonostante l’assenza di un termine ex lege, si ritiene che tale incombente vada adempiuto senza ritardo dai liquidatori (o, in caso di inerzia di questi ultimi, dall’organo di controllo interno e, secondo alcuni autori, anche dai soci e dal Notaio che abbia redatto il verbale dell’assemblea straordinaria nel corso del quale tutti i soci hanno approvato il bilancio finale).

L’individuazione del momento in cui la società si estingue definitivamente implica un bilanciamento tra un’ovvia esigenza di certezza giuridica e l’esigenza di tutela dei creditori sociali e, tra questi ultimi, di quelli ritardatari (trattasi, il più delle volte, del fisco e degli enti previdenziali) o sopravvenuti, costretti successivamente alla cancellazione ad agire nei confronti di una pluralità di soci, spesso di difficile reperimento, e per di più in concorso con i creditori particolari dei soci stessi.

Prima della riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative (d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) la materia era regolata dall’art. 2456 c.c. dettato per le sole società per azioni, ma destinato, attraverso la tecnica del rinvio, ad applicarsi anche alle altre società di capitali (art. 2464 c.c. per le società in accomandita per azioni e art. 2497 c.c. per le società a responsabilità limitata). In particolare, il legislatore del 1942, dopo aver previsto al primo comma dell’art. 2456 c.c., che, una volta approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal Registro delle imprese, al secondo comma dettava la previsione secondo cui “dopo la cancellazione della società i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi” (v. anche l’art. 2312 per le società in nome collettivo e l’art. 2324 c.c. per le società in accomandita semplice). Tale previsione si rendeva necessaria, in quanto nel codice di commercio del 1882 mancava una formalità che segnasse chiaramente il momento in cui la società veniva a estinguersi. Come si legge nella Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile, n. 997, “si è ritenuto indispensabile regolare la cancellazione della società dal registro delle imprese, traendo dalla pubblicità, che in tal modo viene data alla chiusura della liquidazione, la conseguenza che, dopo di essa, i creditori insoddisfatti possono far valere i loro crediti soltanto nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse, e nei confronti dei liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da colpa di essi”.

Sulla scorta di tale dettato legislativo, la dottrina maggioritaria riteneva che la cancellazione determinasse l’estinzione della società [3].

La giurisprudenza di legittimità, invece, era sostanzialmente unanime nel ritenere la cancellazione dal Registro delle imprese della iscrizione di una società commerciale (di persone o di capitali) necessaria, ma non sufficiente a determinarne l’estinzione. Il che equivaleva ad attribuire alla cancellazione la forza di mera pubblicità dichiarativa, che non produceva l’estinzione della società in difetto dell’esaurimento di tutti i rapporti giuridici - vuoi passivi, vuoi attivi, vuoi sostanziali, vuoi processuali - facenti capo ad essa.

Con la sentenza del 21 luglio 2000, n. 319, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo, perché in contrasto con l’art. 3 della Costituzione e con il principio di certezza dei rapporti giuridici, l’allora art. 10 l. fall. (oggi sostituito dall’art. 9 del d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, recante la Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), “nella parte in cui prevede[va] che il termine di un anno dalla cessazione dell’impresa, entro il quale può intervenire la dichiarazione di fallimento, decorra, per l’impresa collettiva, dalla liquidazione effettiva dei rapporti facenti capo alla società invece che dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese”. Tale interpretazione si imponeva alla luce dei principi enunciati dalla stessa Corte nella sentenza del 12 marzo 1999, n. 66, secondo cui al sistema normativo di riferimento doveva darsi un’interpretazione costituzionalmente orientata, fissando per ogni impresa una data certa quale dies a quo di decorrenza del termine annuale di cui all’allora art. 10 l. fall. per la dichiarazione di fallimento.

Nel 2001, con la legge delega per la riforma del diritto societario del 3 ottobre 2001, n. 366, il legislatore prevedeva, all’art. 8, c. 1, lett. a), che la riforma della disciplina dello scioglimento e della liquidazione delle società di capitali e cooperative dovesse essere ispirata a “disciplinare gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, il regime della responsabilità per debiti non soddisfatti, e delle sopravvenienze attive e passive” e, all’art. 9, che la riforma in materia di cancellazione fosse ispirata a “semplificare e precisare il procedimento attraverso il quale è possibile, in presenza di determinate e concorrenti circostanze, cancellare le società di capitali dal registro delle imprese” e “prevedere forme di pubblicità della cancellazione dal registro delle imprese”.

Con la riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative (d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) entrata in vigore l’1 gennaio 2004, il legislatore ha dettato una disciplina unitaria dello scioglimento per tutte le società di capitali (società per azioni, società in accomandita per azioni e società a responsabilità limitata).

Il nuovo testo dell’art. 2495 c.c., sostitutivo del previgente art. 2456 c.c., è rimasto immutato nella previsione del primo comma, relativo alle condizioni e ai presupposti della cancellazione (costituiti dallo scioglimento della società e dalla procedura di liquidazione), mentre è stato modificato nel secondo comma, con l’inserimento dell’incipitferma restando l’estinzione della società dopo la cancellazione” [4]. Lo stesso contiene, inoltre, una nuova disposizione di carattere processuale, secondo cui “la domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società”. Tale ultima previsione, aggiunta per agevolare i creditori sociali non soddisfatti sottraendoli a laboriose ricerche, è stata fortemente criticata in dottrina, soprattutto in quanto “essa sembra muoversi nella direzione opposta rispetto alla norma che fa coincidere la totale dissoluzione dell’ente con la cancellazione” [5].

Fatta eccezione per la disposizione da ultimo citata, la dottrina maggioritaria [6] ha accolto con favore la novella, che sembra far proprio l’orientamento sulla natura costitutiva della cancellazione della società: la cancellazione produce l’effetto costitutivo dell’estinzione irreversibile della società in ogni caso, anche in presenza di debiti insoddisfatti o di rapporti non definiti di qualunque altro tipo. I creditori sociali insoddisfatti possono esperire soltanto le azioni contro i soci e contro il liquidatore di cui all’art. 2495, c. 2, c.c.

La giurisprudenza di legittimità, invece, si è sostanzialmente divisa. Una parte di essa, infatti, ha continuato a sostenere l’orientamento pre riforma, secondo cui “l’atto formale di cancellazione di una società dal registro delle imprese, così come il suo scioglimento, con l’instaurazione della fase di liquidazione, non determina l’estinzione della società ove non siano esauriti tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo a seguito della procedura di liquidazione, ovvero non siano definite tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi, e non determina, conseguentemente, in relazione a detti rapporti rimasti in sospeso e non definiti la perdita della legittimazione processuale della società e un mutamento nella rappresentanza sostanziale e processuale della stessa, che permane in capo ai medesimi organi che la rappresentavano prima della cancellazione” (sic, Cass., 15 gennaio 2007, n. 646 e Cass., 23 maggio 2006, n. 12114).

Altro indirizzo giurisprudenziale, invece, ha sostenuto che “a seguito della modifica apportata all’art. 2495 c.c., c. 2 … la cancellazione dal registro delle imprese produce l’effetto costitutivo dell’estinzione irreversibile della società, anche in presenza di rapporti non definiti ed anche se è intervenuta in epoca anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina, ed ha riguardato una società di persone con conseguente perdita della capacità processuale della società e passaggio della rappresentanza dagli organi che la rappresentavano prima della cancellazione” (sic, Cass., 15 ottobre 2008, n. 25192; Cass., 18 settembre 2007, n. 19347 e Cass., 28 agosto 2006, n. 18618).

A dirimere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte con tre sentenze gemelle del 22 febbraio 2010, le n. 4060, n. 4061 e n. 4062, che hanno individuato una soluzione unitaria al problema degli effetti dell’iscrizione della cancellazione di tutti i tipi di società. Infatti, con riferimento alle società di capitali e cooperative, hanno affermato che l’art. 2495, c. 2, c.c., come modificato dalla riforma del 2003, “è norma innovativa e ultrattiva, che, in attuazione della legge di delega, disciplina gli effetti delle cancellazioni delle iscrizioni di società di capitali e cooperative intervenute anche precedentemente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2004), prevedendo a tale data la loro estinzione in conseguenza dell’indicata pubblicità e quella contestuale alle iscrizioni delle stesse cancellazioni per l’avvenire e riconoscendo, come in passato, le azioni dei creditori sociali nei confronti dei soci, dopo l’entrata in vigore della norma, con le novità previste agli effetti processuali per le notifiche intraannuali di dette citazioni, in applicazione degli artt. 10 e 11 preleggi e dell’art. 73 Cost., u.c. Il citato articolo, incidendo nel sistema, impone una modifica del diverso e unanime pregresso orientamento della giurisprudenza di legittimità fondato sulla natura all’epoca non costitutiva della iscrizione della cancellazione che invece dall’1 gennaio 2004 estingue le società di capitali”. Raggiunta tale soluzione per le società di capitali e le cooperative, con riferimento alle società di persone le Sezioni Unite hanno stabilito che, “dalla stessa data …, esclusa l’efficacia costitutiva della cancellazione iscritta nel registro, impossibile in difetto di analoga efficacia per legge della loro iscrizione, per ragioni logiche e di sistema, può affermarsi la efficacia dichiarativa della pubblicità della cessazione dell’attività dell’impresa collettiva, opponibile dall’1 gennaio 2004 ai creditori che agiscano contro i soci, ai sensi degli artt. 2312 e 2324 c.c. norme in base alle quali si giunge ad una presunzione del venir meno della capacità e legittimazione di esse, operante negli stessi limiti temporali indicati, anche se perdurino rapporti o azioni in cui le stesse società sono parti, in attuazione di una lettura costituzionalmente orientata delle norme relative a tale tipo di società, da leggere in parallelo ai nuovi effetti costitutivi della cancellazione delle società di capitali per la novella”.

Alla luce dei principi sopra enunciati dalla Suprema Corte si può ritenere dato ormai acquisito che la cancellazione determini l’estinzione della società sicuramente irreversibile tanto nel caso di sopravvivenze quanto nel caso di eventuali sopravvenienze passive [7], stante l’esistenza di una regola espressa che stabilisce che i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci nonché verso i liquidatori.

Diverso è il caso delle sopravvivenze (e delle eventuali sopravvenienze) attive (e dei processi in corso). Infatti, nonostante la legge delega 366/2001 avesse previsto, come si è già avuto modo di osservare, che la riforma avrebbe dovuto disciplinare “il regime della responsabilità per debiti non soddisfatti, e delle sopravvenienze attive e passive” (art. 8, c. 1, lett. a), il legislatore delegato ha sul punto taciuto.

Secondo la dottrina prevalente, l’unica soluzione percorribile è quella di ritenere che gli elementi dell’attivo patrimoniale dimenticati o scoperti successivamente “spettino pro quota ai singoli soci secondo le norme sulla comunione ed in proporzione alla quota di riparto attribuita a ciascun socio” [8] e che la cancellazione, ai fini dei rapporti processuali in corso, “sia da equiparare alla morte della persona fisica”, con la conseguenza che tutti i processi di cognizione si dovrebbero interrompere nei modi e per gli effetti degli artt. 299 ss. c.p.c. [9].

Tuttavia, ragionare nei termini sopra prospettati e accogliere la soluzione esposta non solo pone degli evidenti problemi pratici di non facile soluzione derivanti dal conseguente venire meno di ogni potere di rappresentanza della società estinta in capo ai liquidatori (si pensi alla titolarità del “dovere” di prestare l’assenso alla cancellazione di un’ipoteca a suo tempo iscritta in favore della società a garanzia di un credito sociale soddisfatto), in merito alla gestione dei beni (si pensi, in particolare, alle sopravvivenze attive costituite da beni immobili o da beni mobili registrati) e alla sistemazione dei rapporti non definiti (si pensi alle sopravvivenze processuali e, in particolare modo, alle cause passive), ma soprattutto rende ancora più gravosa la posizione dei creditori sociali ritardatari o sopravvenuti, costretti successivamente alla cancellazione ad agire nei confronti di una pluralità di soci, spesso di difficile reperimento, e per di più in concorso con i creditori particolari dei soci stessi. Si è allora fatta strada la suggestiva teoria elaborata da un illustre Autore [10] che, per superare tali difficoltà, ha efficacemente dimostrato che “l’unica via concretamente percorribile sia quella della c.d. «cancellazione della cancellazione» della società, vale a dire quella dell’esercizio, da parte del Giudice del Registro delle imprese, dei poteri di cui all’art. 2191c.c.”. La tesi muove dall’assunto che “la legge non dice in alcun modo che la cancellazione ha un effetto irreversibile, ma semplicemente che la società cancellata dal registro è estinta e che l’estinzione resta ferma anche se al momento dell’estinzione vi sono creditori insoddisfatti” e non teme smentita laddove dimostra che il concetto di estinzione della società non è legislativamente definito e, in ogni caso, non è assimilabile alla morte della persona fisica, che ha quale effetto l’apertura della successione. La cancellazione della cancellazione della società opera secondo il meccanismo di cui all’art. 2191 c.c., per il quale, “se un’iscrizione è avvenuta senza che esistano le condizioni richieste dalla legge, il giudice del registro, sentito l’interessato, ne ordina con decreto la cancellazione”. Pertanto, il Giudice del Registro, eventualmente sollecitato da chi sia mosso da un interesse meritevole di protezione (quali il liquidatore, i soci della società estinta, i creditori sociali e financo le controparti processuali), può ordinare la cancellazione della cancellazione della società, in quanto la cancellazione è avvenuta senza che sia stata compiuta in senso sostanziale e definitivo la liquidazione dell’attivo.

La menzionata tesi ha trovato accoglimento da parte della più sensibile giurisprudenza di merito.

Il Tribunale di Como, con decreto del 24 aprile 2007, emanato su ricorso dell’ex liquidatore, ha ordinato la cancellazione della cancellazione di una società a responsabilità limitata dal Registro delle imprese risultata poi essere proprietaria di alcuni terreni, nonché titolare di alcuni rapporti processuali ancora pendenti [11]. Il ragionamento fatto proprio dal Giudice prende le mosse proprio dalle difficoltà operative conseguenti all’accoglimento della sopra esposta tesi maggioritaria e la soluzione adottata si basa sulla considerazione che “la cancellazione e quindi l’estinzione della società presuppone che, ai sensi dell’art. 2492, c. 1, c.c., sia stata «compiuta la liquidazione»: qualora si scopra l’insussistenza di tale presupposto sostanziale, la cancellazione è stata effettuata non validamente ed è consentito porre riparo a tale situazione non altrimenti rimediabile”.

Nello stesso senso il Tribunale di Napoli, in data 26 aprile 2010 [12], ha ritenuto che la legittimazione ad agire in via esecutiva per il recupero di crediti sopravvenuti a favore della disciolta e cancellata società di persone non spettasse ai soci in proprio, bensì ancora alla società (previa cancellazione ex art. 2391 c.c. dell’iscrizione della cancellazione dal Registro delle imprese). In particolare, “ben può dirsi che la liquidazione non sia completata (e che quindi non si possa cancellare legittimamente la società) fino a che vi siano sopravvivenze attive, note o ignote che esse siano. Quando vi siano tali sopravvivenze o sopravvenienze attive, la cancellazione della società potrebbe dunque essere cancellata d’ufficio, col meccanismo dell’art. 2391 cit., onde consentire il completamento delle operazioni di liquidazione … Né va trascurato che, specie laddove vi siano soci limitatamente responsabili, l’ammissibilità di una cancellazione senza previa liquidazione dei beni sociali potrebbe compromettere l’efficacia della tutela dei creditori sociali”. Secondo il Tribunale, poi, il ragionamento varrebbe a maggior ragione per le società di persone, dal momento che “la pubblicità costitutiva è estranea alle società di persone, in quanto, come è noto, anche prima dell’iscrizione la società è irregolare, ma non inesistente”.

È, poi, autorevolmente intervenuto sul tema il Giudice del Registro delle imprese del Tribunale di Milano, in persona del Presidente della Sezione Ottava Civile dott.ssa Elena Riva Crugnola, il quale ha disposto, con provvedimento del 26 maggio 2010 [13], la cancellazione della cancellazione di una società a responsabilità limitata in una fattispecie in cui, a seguito di cancellazione avvenuta ex officio ai sensi dell’art. 2490, c. 6, c.c., la liquidatrice aveva prodotto documentazione attestante la permanente sussistenza di cespite ancora intestato alla società. Il ragionamento in diritto del Giudice del Registro si è basato sulle seguenti considerazioni: “laddove gli interessati dimostrino che la liquidazione non è nella realtà terminata, può provvedersi ex art. 2391 c.c. alla cancellazione della cancellazione della srl … e a tale ricostruzione non pare ostare la ormai consolidata interpretazione del novellato art. 2495 c.c. di cui da ultimo Cass. SU 22.2.2010 n. 4062, trattandosi di interpretazione la quale – nell’affermare che la nuova norma ricollega all’iscrizione presso il registro delle imprese della cancellazione della società l’effetto costitutivo dell’estinzione della società stessa – non comporta di per sé l’inapplicabilità dell’art. 2191 c.c. per i casi nei quali la cancellazione della società sia stata iscritta non sussistendone le condizioni di legge”.

Infine, è recentissimo un provvedimento del Giudice del Registro delle imprese del Tribunale di Padova, il quale in data 20 febbraio 2011 [14] ha disposto la cancellazione dell’iscrizione della cancellazione di una società a responsabilità limitata avvenuta, su richiesta del liquidatore ai sensi dell’art. 2495, c. 1, c.c., in una fattispecie in cui il liquidatore ha prodotto documentazione attestante la proprietà della società di beni immobili preesistenti. Anche in questo caso il ragionamento si è basato sulla circostanza che “tale conclusione non contrast[a] con l’interpretazione data all’art. 2495, nuovo testo, c.c. dalla ben nota sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 4062/10, dal momento che tale decisione, nell’affermare che l’iscrizione nel registro delle imprese della cancellazione della società comporti l’estinzione della società stessa, non preclude, ad avviso del giudicante, l’applicabilità dell’art. 2191 c.c. per i casi in cui, come quello in esame, la cancellazione sia avvenuta in mancanza dei necessari presupposti”, non potendo la liquidazione dirsi completata al momento della cancellazione in presenza di attivo patrimoniale da liquidare.
Nicola Battistini
Studio Levi – Battistini

Avvocati in Milano

[1] La terminologia trae spunto da G. Niccolini, Sub Art. 2495, in Società di capitali, Volume Terzo, Artt. 2449-2510, Commentario a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, p. 1840.

[2] È stato attentamente osservato che i termini “cancellazione” e “cancellazione della cancellazione” della società sono atecnici, dovendosi parlare più correttamente di “iscrizione della cancellazione” e di “cancellazione dell’iscrizione” stessa: sic, P. D’Alessandro, Cancellazione della società e sopravvivenze attive: opportunità e legittimità della riapertura della liquidazione, in Soc., 2008, pp. 891 ss.

[3] La dottrina più autorevole evidenziava che “la norma dell’art. 2456 per le società di capitali presenta a sua volta un ovvio parallelismo con quella sancita dall’art. 2331 in sede di costituzione, ciò che torna a metterne in rilievo la portata”: sic, T. Ascarelli, Liquidazione e personalità della società per azioni, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1952, I, pp. 244 ss.

[4] Val la pena osservare che il testo dell’art. 2304, c. 2, c.c., contenuto nel Progetto di riforma della disciplina delle società di persone (così detto Progetto Rovelli) prevede che “dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti soltanto nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi”.

[5] Sic, M. Aiello, La liquidazione delle società di capitali, in Aa. Vv., Le operazioni societarie straordinarie, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, Padova, 2011, pp. 211 ss.

[6] Si deve dare conto di un’illustre posizione, sia pure minoritaria, secondo cui, anche dopo la riforma del 2003, la cancellazione della società potrebbe essere, ove disposta indebitamente perché effettuata pur in presenza di ineliminate passività conosciute o conoscibili dai liquidatori, a sua volta cancellata, sì da riaprire la liquidazione per definire quelle posizioni debitorie: sic, F. Di Sabato, Diritto delle società2, Milano, 2005, 557; Id., Istituzioni di diritto commerciale2, Milano, 2004, 357. L’Autore sottolinea che tale soluzione avrebbe il pregio di ricondurre “a termini omogenei il problema delle c.d. sopravvenienze passive nelle società di persone e in quelle di capitali”.

[7] Nonostante dottrina e giurisprudenza tendano a fare coincidere i termini “sopravvivenza” e “sopravvenienza”, gli stessi hanno un significato ben diverso, posto che le sopravvivenze passive (o attive) sono i debiti (o i crediti) che preesistevano alla cancellazione e non furono soddisfatti, mentre le sopravvenienze passive (o attive) sono i debiti (o i crediti) sorti dopo la cancellazione: v., per tutti, R. Costi, Le sopravvenienze passive dopo la liquidazione delle società per azioni, in Riv. dir. civ., 1964, I, p. 258.

[8] Sic, M. Vaira, Sub Artt. 2492-2496, in Artt. 2484-2548 c.c., in Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2004, pp. 2144 ss. Nello stesso senso, v., per tutti, M. Porzio, La cancellazione, ne Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Vol. 4, Torino, 2007, pp. 79 ss.; G. Niccolini, op. cit., pp. 1839 ss.; M. Speranzin, L’estinzione delle società di capitali in seguito all’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, in Riv. soc., 2004, p. 514 ss. Secondo quest’ultimo Autore, “l’unico strumento per evitare che venga meno, in seguito all’iscrizione della cancellazione, il vincolo sul patrimonio (precedentemente) sociale, sembra poter essere dato dal ricorso del creditore ad un’azione analoga a quella di separazione dei beni di cui agli artt. 512 e ss. c.c., che abbia l’effetto di attribuire al creditore sociale il soddisfacimento sulla quota ricevuta dal socio dalla liquidazione con preferenza sui creditori personali del socio stesso”. Inoltre, sempre secondo quest’ultimo Autore, “la tutela (indiretta) dei creditori sociali nella fattispecie dell’estinzione della società è attribuita, oltre che dal procedimento di liquidazione, dal controllo svolto da parte del registro delle imprese al momento dell’iscrizione della cancellazione” ed è anche “garantita dall’eventuale esame successivo compiuto dal giudice del registro delle imprese, che può disporre la cancellazione d’ufficio (art. 2191 c.c.) della iscrizione (in questo caso: della cancellazione), anche sulla base di un’eventuale richiesta in questo senso del liquidatore. La cancellazione d’ufficio può essere infatti ordinata nel caso in cui l’iscrizione (della cancellazione della società) sia avvenuta in assenza delle condizioni richieste dalla legge”.

[9] V., per tutti, M. Porzio, op. cit., pp. 79 ss.

[10] Sic, M.S. Spolidoro, Seppellimento prematuro. La cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese ed il problema delle sopravvenienze attive, in Riv. soc., 2007, p. 823 ss.

[11] Il testo è pubblicato in Soc., 2008, pp. 88 ss.

[12] Reperibile su Internet all’indirizzo www.ilcaso.it.

[13] Reperibile su Internet all’indirizzo www.ilcaso.it.

[14] Reperibile su Internet all’indirizzo www.ilcaso.it.