Il recesso, previsto genericamente nell’ambito delle disposizioni generali del contratto dall’art. 1373 c.c., è considerato dalla dottrina  e dalla giurisprudenza  dominante come un diritto soggettivo potestativo che attribuisce ad uno od a tutti i contraenti il potere di sciogliere unilateralmente il vincolo contrattuale in forza di una manifestazione di volontà del contraente stesso  ed in deroga al principio stabilito dall’art. 1372, 1° comma, codice civile.
Sempre secondo il dettato di detta norma, si può affermare che il diritto di recesso può essere conferito ad una o a tutte le parti in base ad un loro precedente accordo (clausola o patto di recesso),  oppure dalla legge (diritto legale di recesso).
Il codice, oltre a prevedere una norma sul recesso di carattere generale in materia di contratto, provvede poi a disciplinare l’istituto con riferimento a diverse ipotesi particolari: per quanto riguarda le società di persone, la disposizione che regola il recesso in tale ambito è l’art. 2285 c.c.
Detta disposizione statuisce che: ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci.
Può inoltre recedere nei casi previsti nel contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa.
Nei casi previsti nel primo comma il recesso deve essere comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi.
Le ipotesi previste dal 1° comma e dall’ultima parte del 2° comma della disposizione de quo, costituiscono delle ipotesi di recesso legale, cioè uno di quei casi contemplati dal codice, in cui il legislatore ha ritenuto opportuno, date determinate circostanze, di derogare al principio di indissolubilità del contratto e offrire per legge al contraente la possibilità di recedere.
Più precisamente, nel caso delle società di persone, è stata prevista la possibilità legale di recedere “liberamente” (c.d. recesso ad nutum) se la società è a tempo indeterminato o è contratta per tutta la vita di uno dei soci , oppure, nel caso in cui la società abbia una durata determinata solo se sussiste una giusta causa  (ad es. discordia fra i soci che ne renda impossibile la collaborazione, disordine nell’amministrazione della società, ecc.).
Si osserva che la giusta causa di recesso può riscontrarsi anche in casi non integranti un inadempimento, ad esempio quando nel contratto sociale, modificabile a maggioranza, siano state modificate le condizioni di rischio economico, sulla base delle quali il socio aveva aderito alla società.
Più in generale, come affermato dalla giurisprudenza della cassazione (riportata in nota 13), la dottrina ha precisato che la giusta causa consiste in un’obiettiva degenerazione del rapporto fiduciario che deve intercorrere tra un socio e gli altri.   
Il recesso può poi essere previsto dai soci, per mezzo dell’inserimento di un’apposita clausola nel contratto sociale, con la quale è possibile pure regolare le modalità ed il termine per il suo esercizio.  
Se con il contratto sociale i soci possono prevedere altre ipotesi di recesso rispetto a quelle contemplate dalla legge, non si può invece negare al socio il diritto di recedere nelle ipotesi legislativamente previste: in altri termini è nullo, perché contrario a norma imperativa, l’accordo con il quale il socio rinuncia preventivamente al diritto di recesso nei casi previsti dal 1° comma e dal 2° comma ultima parte dell’art. 2285 c.c.     
L’art. 2307 c.c., situato nel capo che disciplina la s.n.c ed applicabile grazie al rinvio effettuato dall’art. 2315 c.c. anche alla s.a.s., prevede un’ulteriore e specifica causa legale di recesso riferita a detti tipi sociali per l’ipotesi della proroga tacita della società, da effettuarsi secondo le modalità previste nell’art. 2285.
Considerando il recesso come atto unilaterale di volontà, saranno applicabili ad esso tutte le disposizioni generali in tema di dichiarazioni di volontà e, in particolare, quelle riguardanti l’annullabilità  per vizi del consenso.
Nell’ipotesi prevista dal 1° comma dell’art. 2285 la dichiarazione unilaterale di recesso  va comunicata a tutti gli altri soci (quindi non basterebbe per l’efficacia del recesso una dichiarazione comunicata solo ad alcuni soci anche se amministratori, Cass. n. 65/1965) con un preavviso di almeno tre mesi.  
La tesi dominante, favorevole alla natura recettizia del recesso, trova un’attenuazione in talune pronuncie giuresprudenzial, ove si afferma, ad esempio, che il recesso può risultare anche da un comportamento concludente e precisamente da fatti incompatibili con la volontà di restare in società, purchè, in tal caso, la volontà appaia in modo univoco avere per oggetto il recesso e non possa apparire anche rivolta a determinare lo scioglimento della società (Cass. n. 2899 del 1963; v. anche Trib. Torino 9 febbraio 1978, che pur affermando il carattere recettizio del recesso, ritiene ammissibile che esso venga posto in essere anche per comportamento concludente) .
Tale tesi è, secondo il punto di vista di chi scrive e della dottrina maggioritaria, inconciliabile con il dettato normativo, che richiede espressamente la presenza di una “comunicazione”  del recesso agli altri soci addirittura con un preavviso di almeno tre mesi; sembra difficile poter sostenere che un comportamento concludente possa esser ricondotto, se non forzatamente, alla “comunicazione” richiesta dalla norma.
Per quanto riguarda le modalità di attuazione del recesso per giusta causa, anche in questo caso, siamo di fronte ad un negozio unilaterale recettizio, la cui perfezione e la cui idoneità a produrre effetti si verifica con la conoscenza di esso da parte degli altri soci;  tuttavia in questo caso, per ovvie ragioni, non è possibile un preavviso e quindi, il recesso avrà effetto immediato e la sentenza che accerterà l’esistenza della giusta causa avrà efficacia dichiarativa con effetti ex tunc.
Nell’ipotesi di concorso di cause di scioglimento (più precisamente recesso ed esclusione), si ritiene applicabile il criterio della prevenzione:  la conseguenza dell’applicazione di detto principio è che l’operatività della dichiarazione di recesso è impedita dalla dichiarazione di scioglimento, o di esclusione, intervenuta prima del momento in cui il recesso acquista efficacia .
Infine, va chiarito che la dichiarazione di recesso, quando non risulti accompagnata da un’ulteriore chiara affermazione di disponibilità allo scioglimento della società per mutuo consenso, non può determinare detto scioglimento ove venga a concorrere con una manifestazione di volontà in tal senso espressa dagli altri soci.
Infatti, nel contratto di società, diversamente da quel che accade per i contratti commutativi, non può reputarsi sottesa alla dichiarazione di recesso una proposta di scioglimento. Pertanto, nell’ipotesi in cui un socio abbia manifestato la volontà di recedere e  gli altri soci dichiarino di voler addivenire allo scioglimento della società, affinché si possa procedere allo scioglimento, è necessario un’ulteriore manifestazione di volontà del recedente in adesione a tale proposta dei soci.  

Avv. Antonello Tamborrino
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