Esclusione del socio:

a) di diritto

L’esclusione può essere determinata, o da una decisione degli altri soci (esclusione facoltativa: art. 2286 c.c.), o dalla legge (esclusione di diritto: art. 2288 c.c.).
Bisogna precisare, che anche per l’esclusione c.d. facoltativa, i soci non sono liberi di escludere il socio dalla società del tutto liberamente perché le cause che permettono agli altri soci di deliberare in tal senso sono predeterminate dalla legge.  
In sostanza la differenza tra esclusione facoltativa ed esclusione di diritto è la seguente: per l’operatività dell’esclusione prevista dall’art. 2286, è necessaria, oltre alla presenza delle cause giustificative previste dalla norma, una decisione degli atri soci, diversamente l’esclusione di diritto opera automaticamente.
L’esclusione è istituto di carattere speciale e sostituisce nelle società di persone la risoluzione per l’inadempimento , le cui norme sono pertanto inapplicabili alla fattispecie in esame ; l’esclusione presenta però un campo di applicazione più vasto di quello della risoluzione, essendovi ricompresse anche ipotesi in cui l’inadempimento del socio dipende da cause non imputabili allo stesso .
Dunque, se con il recesso la singola partecipazione sociale è sciolta per volontà del socio recedente, l’esclusione – sia facoltativa che di diritto – determina lo scioglimento del vincolo sociale contro la volontà del socio estromesso.
Fondamento dell’istituto, in tutti i casi previsti, è il verificarsi di un fatto nell’economia di un socio che renda incompatibile la sua permanenza nella società: in alcuni casi la valutazione dell’incompatibilità è fatta direttamente dalla legge, in altri è rimessa agli altri soci.
L’esclusione opera di diritto se il socio è dichiarato fallito , oppure, nel caso in cui il creditore particolare del socio abbia ottenuto la liquidazione della quota ai sensi dell’art. 2270 c.c.
Alcuni autori e ed alcune sentenze  ritiengono applicabile l’esclusione di diritto del socio fallito anche alla s.n.c. ed alla s.a.s; secondo altra opinione invece, l’esclusione di diritto in caso di fallimento sarebbe inapplicabile alla s.n.c. ed alla s.a.s., in quanto per tali società non è prevista, a favore dei creditori particolari del socio, la facoltà di chiedere la liquidazione della sua quota ; vi è poi qualcuno che ritiene inapplicabile detta ipotesi solo agli accomandanti.
La ratio dell’esclusione automatica è ovvia: il fallimento di un socio ha inevitabili ripercussioni dannose sul gruppo dei soci  e sulla prosecuzione dell’attività comune , mentre poi, per quanto riguarda la seconda ipotesi contemplata, se dalla società è tolta la quota di un socio, con ciò stesso cessa il fondamento perché costui continui a farne parte .
Per quanto riguarda poi la possibilità di derogare con il contratto di società all’esclusione di diritto, alcuni si pronunciano favorevolmente, mentre altri ritengono  che dette norme abbiano carattere cogente e siano quindi inderogabili .
Dovendo necessariamente prendere posizione sul punto, riteniamo, aderendo alla tesi che vuole l’esclusione di diritto fondata sulla tutela degli altri soci, che con il contratto sociale, i soci possano derogare a dette norme.

b) facoltativa


I fatti che danno diritto ai soci di deliberare l’esclusione possono raggrupparsi in tre categorie:

1)    gravi inadempienze alle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale;
2)    l’impossibilità per il socio di eseguire il conferimento promesso;
3)    i mutamenti nello stato personale del socio.

Questi fatti possono incidere sul regolare svolgimento del rapporto sociale, e quindi rendere ingiustificata o dannosa l’ulteriore permanenza del socio in società (quindi il fondamento della disposizione è il medesimo dell’esclusione di diritto, con la differenza, come detto, che in questi casi il legislatore ritiene opportuno far scegliere agli altri soci sull’opportunità dell’esclusione) .
Le gravi inadempienze, in linea di massima, non sono solo quelle che impediscono il raggiungimento dello scopo sociale, ma, anche quelle che abbiano inciso negativamente sulla situazione della società rendendone meno agevole il perseguimento dei fini.  
Senza ambizione di completezza e volendo stilare una casistica, costituiscono gravi inadempienze ai fini dell’esclusione: l’aver assunto obbligazioni in nome e per conto della società senza averne i poteri ; la mancata esecuzione del conferimento; l’aver svolto concorrenza sleale nei confronti della società ; l’appropriazione da parte del socio amministratore degli utili della società ;  la condotta del socio consistente nell’omissione di ogni collaborazione nella conclusione dell’esercizio sociale ; il conferimento da parte di un socio di un mandato generale senza obbligo di rendiconto (che sostanzialmente realizza, in via indiretta, una cessione di quota) ad una persona che svolga identica attività  (e perciò potenzialmente in concorrenza);
il comportamento del socio superstite, il quale, anziché proseguire l’attività sociale con gli eredi del socio defunto, subentrati nel rapporto in base ad una clausola di continuazione della società con gli eredi, abbia chiesto la liquidazione della società ed abbia rifiutato immotivatamente di consentire al rappresentante comune degli eredi di prendere parte alle attività sociali.
Le inadempienze relative all’attività di amministratore, poi, di per sé non costituiscono causa di esclusione, ma rendono possibile solo la revoca del mandato ad amministrare, a meno che esse costituiscano anche inadempienze delle obbligazioni gravanti sui soci ; tuttavia, è stato ritenuto che l’appropriazione degli utili da parte del socio amministratore costituisca violazione sia degli obblighi di amministratore che di socio e renda, quindi, possibile l’esclusione .
L’inidoneità del socio a compiere l’opera conferita, essendo espressamente contemplata dal 2° comma dell’art. 2286, agisce quale causa di esclusione a prescindere dalla colposità dell’inadempimento, che invece, caratterizza l’ipotesi di esclusione per gravi inadempienze del 1° comma dell’art. de quo indicato.
Infine, è controverso se il contratto sociale possa prevedere un’esclusione rimessa ad una mera valutazione discrezionale degli altri soci circa l’opportunità dell’esclusione stessa; in merito, in dottrina , prevale tuttavia l’opinione negativa.
Per quanto riguarda l’impossibilità di eseguire il conferimento, come già visto parlando della grave inadempienza, bisogna innanzitutto dire che non si è di fronte ad un’inadempienza in senso tecnico perché manca l’elemento della colpa.
Bisogna aggiungere che, l’impossibilità deve riguardare il conferimento nella sua interezza: se avesse ad oggetto solo una parte di esso, a meno che non sia quella prevalente, il socio non potrebbe infatti essere escluso, ma potrebbe solo veder proporzionalmente ridotta la sua partecipazione agli utili.
I mutamenti nello stato personale del socio che giustificano la sua esclusione sono: l’interdizione, l’inabilitazione e la condanna ad una pena che importa l’interdizione anche temporanea dai pubblici uffici.
La ragione per la quale tutte queste ipotesi non danno luogo all’esclusione di diritto, è rinvenibile nell’interesse che la società potrebbe avere, anziché ad escludere il socio, ad ottenere l’esecuzione coatta del conferimento inadempiuto (oltre ad i danni); a chiedere il risarcimento per le violazioni commesse dal socio; nel consentire a costui di fare un altro conferimento al posto di quello divenuto impossibile;  a fare a meno della collaborazione personale dell’incapace, o comunque a ritenere non rilevante ai fini dell’attività sociale il mutamento del suo stato personale.
Se in tutti questi casi l’esclusione avvenisse di diritto, si costringerebbe la società a fare a meno di un conferimento, procedendo eventualmente alla liquidazione della quota, contro il suo tornaconto;  in breve anziché fare il suo vantaggio le si recherebbe un danno.  
È importante evidenziare che la mancata esclusione di un socio nei casi previsti, può, secondo le circostanze, apprezzarsi come giusta causa di recesso per gli altri.
Come già detto in tema di recesso, anche per l’esclusione si applica il principio secondo il quale, in caso di coesistenza di più cause di esclusione, opererà quella che è stata esercitata per prima: conseguentemente, l’esclusione sarà impossibile quando la società risulti essere disciolta,  od il rapporto sociale nei confronti del socio si sia estinto per recesso legittimamente esercitato.  
Il procedimento  per l’esclusione, disciplinato dall’Art. 2287 c.c., prevede al suo 1° comma che l’esclusione deve essere deliberata dalla maggioranza  dei soci, non computandosi nel numero di questi il socio da escludere ed ha effetto decorsi trenta giorni dalla data della comunicazione  al socio escluso.
Ai sensi del 2° comma di detto articolo, entro il termine  di trenta giorni, il socio escluso potrà fare opposizione  davanti al tribunale, il quale potrà sospendere l’esclusione.
Il termine di trenta giorni non si applica quando la società, anziché ricorrere al procedimento previsto dal 1° comma, chieda una pronuncia giudiziale di esclusione: in  questo caso al termine predetto si sostituisce quello processuale stabilito per le deduzioni del convenuto.   
Infine, al 3° comma, è sancito che nel caso in cui la società si compone di due soli soci, l’esclusione di uno di essi sarà pronunciata dal tribunale su domanda dell’altro.

Avv. Antonello Tamborrino

Riproduzione riservata.