“Il processo, proprio perché tale, ha sempre una sua intrinseca contraddittorietà; fondamentalmente è una discussione, ed in questo termine – discussione – è implicita l’idea della contraddizione che mette in luce la vocazione dialettica del processo, come dicono i moderni processualisti: raggiungere e cogliere il vero mediante la discussione è il fine del processo, e la sentenza del giudice sarà tanto più sicura, quanto più efficace si sarà manifestato il contraddittorio”[1].

Le chiare parole dell’insigne Prof. Villeggiante, Avvocato del Tribunale Apostolico della Rota Romana, ci introducono nel delicato meccanismo del diritto processuale di difesa delle parti e più in particolare del convenuto in una causa di nullità matrimoniale.

E’ di tutta evidenza che il tema ha una portata vastissima che non può essere sintetizzato in poche pagine ma che ci consente, comunque, di poter delineare in maniera sufficientemente organica i diritti di cui gode la parte convenuta nel processo matrimoniale.

Preliminarmente occorre sottolineare come il processo di nullità matrimoniale può essere adito da chiunque abbia contratto un matrimonio puramente religioso o anche concordatario, presso la competente Autorità Giudiziaria, che nel caso di specie è da individuarsi presso i Tribunali Ecclesiastici Regionali o interdiocesani per il primo grado, nei Tribunali d’Appello di secondo grado e, da ultimo, nel Tribunale Apostolico della Rota Romana, competente come Tribunale di appello in seconda istanza per le cause già decise da qualsiasi tribunale in primo grado esistente nella Chiesa, come tribunale di appello in terza ed ulteriore istanza e, infine, come tribunale di prima istanza (ed in quest’ultimo caso con una competenza ordinaria ed una delegata dal Sommo Pontefice).

Il processo matrimoniale di nullità tende alla declaratoria di nullità del matrimonio-sacramento e la sua fondamentale esigenza corrisponde alla salus animarumquae in Ecclesia semper suprema lex esse debet” (can.1752 CIC)[2], atteso che il vincolo sacramentale non può essere sciolto da alcuno (“quod Deus coniunxit homo non separet” – Mt.19,6), ma esiste la possibilità di verificare se in concreto quel singolo patto matrimoniale tra l’uomo e la donna sia stato illecitamente contratto.

Ecco perché la terminologia canonistica estremamente chiara al riguardo indica il processo di nullità matrimoniale e non di annullamento, proprio perché la Chiesa può eventualmente verificare se il vincolo matrimoniale non sia mai sorto per qualche ragione ma non può mai annullare alcunché.

Dopo questa doverosa introduzione e per tornare al tema di quest’articolo, precisiamo che per comodità espositiva cercheremo di evidenziare lo ius defensionis della parte convenuta, procedendo cronologicamente durante tutte le fasi del processo canonico.

Foro competente

Il canone 1673 CIC stabilisce per le cause matrimoniali che il Foro competente, ad eccezione delle cause riservate alla Sede Apostolica, può essere a) il Tribunale del luogo ove è stato celebrato il matrimonio, b) il Tribunale del luogo ove la parte convenuta ha il suo domicilio o quasi-domicilio canonico, c) il Tribunale del luogo ove ha il domicilio canonico la parte attrice purché entrambe le parti appartengano alla stessa Conferenza Episcopale, sia sentita la parte convenuta dal Vicario Giudiziale del luogo di domicilio e vi sia il consenso formale del Vicario, d) il Tribunale del luogo dove si trovi la maggior parte delle prove purché il Vicario Giudiziale del luogo di domicilio della parte convenuta la ascolti in merito a sue eventuali eccezioni (che però non sono vincolanti) e acconsenta (questo parere è invece vincolante per la deroga di competenza del primo numero).

Normalmente il processo di nullità viene introdotto presso il Tribunale competente in ragione del contratto ossia quello del luogo dove il matrimonio è stato celebrato.

In questa prima ipotesi nessuna difficoltà si pone per la parte convenuta la quale, quando sarà citata dal Tribunale presso cui è stata incardinata la causa, potrà, come vedremo, esercitare tutti i mezzi difensivi a propria disposizione. Lo stesso dicasi per il Tribunale competente in ragione del domicilio del convenuto essendo tale scelta, per quanto possibile, favorevole allo stesso.

Nel caso invece in cui l’attore introduca il libello con cui chiede la nullità matrimoniale chiedendo la deroga della competenza a motivo del proprio domicilio oppure a motivo della maggior parte delle prove e quindi per ragioni di economia processuale, la parte convenuta ha il diritto di essere ascoltata dal Vicario Giudiziale del proprio domicilio. Tale ascolto è obbligatorio ma non vincolante per il Vicario che, in ultima istanza, è l’unico che deve esprimere il proprio consenso alla deroga. Ad ogni modo, in questi casi, la parte convenuta ha facoltà di eccepire la richiesta dell’attore “adducendo le ragioni e i titoli giuridici che stanno alla base dell’opposizione”[3].

Libello introduttivo

L’atto introduttivo del giudizio di nullità matrimoniale è il libello che, similmente ad un atto di citazione, deve contenere alcuni elementi necessari alla sua ammissione in giudizio e che, in difetto, ne determinano invece la reiezione[4].

Il canone 1504 al n.1 stabilisce che: “Libellus, quo lis introducitur, debet: 1. exprimere coram quo iudice causa introducatur, quid petatur et a quo petatur”. Dovrà poi secondo il n.2 dello stesso canone: “indicare quo iure innitatur actore er generatim saltem quibus factis et probationibus ad evincenda ea quae asseruntur”.

Esso deve quindi contenere un elemento soggettivo (quis petit, cioè l’indicazione precisa della persona che chiede l’inizio della causa; a quo petatur, cioè l’indicazione precisa della parte convenuta; coram quo, ossia il giudice a cui si rivolge l’attore ai fini della verifica della competenza per la causa concreta), un elemento oggettivo (ossia il petitum, che nel caso specifico delle cause di nullità matrimoniale dovrà essere la richiesta di dichiarazione di nullità del vincolo) e, infine, un elemento giuridico (di diritto o di fatto su cui basa la propria richiesta l’attore)[5].

La citazione

Una volta che il libello sia stato ammesso con relativo decreto di ammissione, sia stato costituito il collegio (una terna di giudici con un Preside del collegio, un giudice Ponente o Istruttore ed un terzo giudice) e sia stata fissata apposita udienza per la Contestazione della Lite e la Concordanza del Dubbio, dovrà essere notificato alla parte convenuta[6].

L’apposita citazione, con accluso il libello presentato dall’attore, dovrà contenere l’invito per la parte convenuta a comparire presso la sede del Tribunale in una certa data onde determinare i dubbi di causa oppure l’invito a rispondere per iscritto a quanto chiesto dall’attore, nonché la precisazione che, qualora la parte convenuta non invii alcuna memoria scritta o non si presenti per l’udienza fissata, si avrà per contestata la lite e si procederà a determinare i dubbi di causa.

Più precisamente la citazione può definirsi come: “l’atto giudiziale mediante il quale il convenuto, a richiesta dell’attore e per autorità del giudice stesso, viene chiamato per la prima volta in giudizio, affinché dopo averlo notificato legittimamente, si renda presente nel processo”[7].

“La mancanza o la nullità della citazione, non sanata, provoca la nullità degli atti del processo (can.1511), sentenza inclusa (can. 1622 nn.5-6 in relazione al can. 1611), ma non gli atti della causa (deposizioni giudiziali, perizie, ecc.)”[8].

La mancanza o la nullità della citazione può però essere sanata o ex iure qualora la parte interessata (spesso la parte convenuta) non eccepisca il difetto entro tre mesi dalla notifica della sentenza[9] oppure ex facto se la parte convenuta compaia comunque in giudizio realizzando una formale costituzione in giudizio.

L’Udienza per la Contestazione della Lite  e la Concordanza del Dubbio

Da quanto abbiamo detto finora, la parte convenuta una volta che sia stata regolarmente citata (con l’avvenuta notifica del libello attoreo e con il decreto di citazione) per l’Udienza di Contestazione della Lite e la Concordanza del Dubbio, potrà finalmente scegliere il proprio atteggiamento processuale.

Potrà, infatti, una volta stabilito se opporsi o appoggiare la richiesta attorea, disinteressarsi del processo, nominare un proprio avvocato difensore, chiedere un avvocato d’ufficio[10] o intervenire per difendersi da sola nel processo oralmente o per iscritto (questa ipotesi è contemplata dal can. 1481 §1 CIC ma resta a discrezione del Vicario Giudiziale che, qualora lo ritenga opportuno, la inviterà a nominare un proprio difensore o provvederà ad assegnargliene uno d’ufficio)[11].

Essa “deve chiedere espressamente di essere ammessa a difendersi da sola; lo stare in giudizio personalmente è infatti cosa ben diversa dal mero rispondere alla citazione o dal venire in tribunale a deporre; implica un qualcosa in più. Poiché questo diritto non è assoluto e, come si è detto, deve cedere il passo ad esigenze pubblicistiche, è evidente che il Tribunale non è obbligato ad accettare l’autodifesa della parte”[12].

Durante l’Udienza per la Contestazione della Lite e la Concordanza del Dubbio la parte convenuta ha, per la prima volta, la possibilità di poter dialogare nel processo.

Potrà pertanto addurre tutte quelle eccezioni che ritiene pertinenti con il proprio diritto difensivo, produrre una memoria di replica al libello dell’attore, opporsi alla definizione del thema decidendum in relazione ai capi di nullità accusati, chiedere l’aggiunta di nuovi capi o la modifica di quelli richiesti.

E’ pertanto importante che la parte convenuta, regolarmente citata, intervenga all’udienza per la Concordanza del dubbio, in quanto una volta contestata la lite il Preside del Collegio, alla presenza delle Parti intervenute, ivi compresa la figura del Difensore del Vincolo deputato a difendere il vincolo matrimoniale, determinerà definitivamente la formula del dubbio e cioè, in pratica, la materia del contendere[13].

L’assenza ingiustificata della parte convenuta regolarmente citata e a cui è stato regolarmente notificato il decreto di ammissione del libello (con l’eventuale stesso atto introduttivo del giudizio), determinerà la definitiva formulazione del dubbio di causa con la necessità per le parti, ove intendano durante la fase istruttoria o successivamente modificare i capi di nullità concordati, di chiedere necessariamente una nuova udienza per la concordanza del dubbio[14].

E’ chiaro altresì che il dubbio di causa sarà in ogni modo concordato anche qualora la parte convenuta sia presente, dopo aver ascoltato le ragioni dalla stessa addotte personalmente o tramite il proprio avvocato, fermo restando che, in ogni caso, le parti hanno la possibilità di impugnare il decreto di Concordanza del Dubbio nel termine di 10 giorni utili dalla notifica dello stesso.

E’ altresì ovvio che in caso di assenza (giustificata o meno) della parte convenuta all’udienza suindicata, la stessa dovrà ricevere tramite apposita notifica il decreto di Concordanza del Dubbio con l’avvertenza che ha facoltà di impugnarne il contenuto entro il termine previsto per legge (10 giorni utili dall’avvenuta notifica) e che, in difetto, si procederà ad istruire la causa con la formula concordata.

La fase istruttoria

Costituitasi regolarmente la relazione giuridica processuale ha inizio la fase probatoria di raccolte delle prove.

“Come principio generale si afferma (can. 1527 §1) che possono essere addotte prove <<cuiuslibet generis>> purché utili a definire la causa e lecite”[15].

Quanto a questa fase processuale è utile distinguere tre posizioni distinte: quella del convenuto difeso da un avvocato, quella del convenuto che si difende da solo e quella (che sarà però trattata a parte) dell’assenza dal processo del convenuto.

Se la parte convenuta è regolarmente rappresentata da un avvocato non si pone alcun problema particolare e la stessa potrà esercitare a mezzo del proprio Patrono ogni azione e/o eccezione inerente al suo diritto, fino a revocare il mandato al proprio legale (can. 1486 §1 CIC[16]), affiancarlo con altri avvocati (can. 1482 §3 CIC) e, per quanto concerne il Collegio, ricusarne i membri nei casi espressamente previsti dal diritto (cann. 1448-1451 CIC).

Maggiore attenzione deve porsi qualora la parte convenuta abbia deciso di difendersi da sola (can. 1481 §1 CIC), visto che in questo caso, pur avendo gli stessi diritti di colui che è assistito tecnicamente da un avvocato, se vorrà intervenire nel processo potrà farlo ma, comunque, fino ad un certo punto, atteso che la difesa tecnica, pur ammissibile da un punto di vista teorico, è sconsigliabile in quanto è preferibile ricorrere all’ausilio di un avvocato, magari nominato dal giudice su sollecitazione della parte, onde non vedere pregiudicati i propri diritti e, in ogni caso, soggetta alla prudenziale valutazione del giudice.

Preliminarmente la parte convenuta ha il diritto di proporre tutte le azioni e/o eccezioni inerenti il proprio diritto compresa la ricusazione dei giudici, di essere interrogata[17], di produrre documenti che siano utili e leciti per la causa, di presentare una propria lista testimoniale (il cui numero deve essere congruo e può essere ridotto ex officio dal giudice – cfr. can.1553 CIC), di rinunciare all’escussione di testi propri[18], di opporsi all’ammissione di un mezzo istruttorio presentato dalla parte avversa, di chiedere di essere interrogata in rogatoria (questa possibilità è naturalmente estesa anche ai testimoni), di chiedere che venga disposta perizia da parte del Tribunale così come, qualora sia parte da periziarsi, di nominare un perito di parte.

Avrà poi il diritto di ricevere copia del Decreto di Pubblicazione degli Atti con il quale si concede alle parti un termine per produrre eventuali nuovi mezzi istruttori[19], con l’annessa facoltà di poter appunto chiedere l’ammissione di nuovi mezzi istruttori (documentali, testimoniali, periziali) soggetta alla valutazione discrezionale del giudice che li ammetterà quando lo ritenga necessario. Anche le nuove prove dovranno poi essere pubblicate e notificate alle parti.

Di seguito avrà il diritto di ricevere il Decreto di Conclusione in Causa con il quale si fissa un termine per le parti per poter presentare le proprie difese scritte, con il precipuo effetto di escludere la possibilità di richiedere l’ammissione di nuovi mezzi istruttori[20].

Ovviamente la parte convenuta potrà presentare le proprie memorie difensive[21] (anche se per non pregiudicare il proprio diritto difensivo il giudice potrà nominargli apposito avvocato esperto della difesa tecnica[22]), con la possibilità teorica dello scambio vicendevole delle difese tra le altre parti del processo, ivi incluse le Animadversiones del Difensore del Vincolo[23].

Avrà infine il diritto alla notifica della sentenza definitiva[24] del giudizio a cui segue il diritto di impugnazione con i mezzi previsti per legge (appello, querela di nullità, restituito in integrum).

La dichiarazione di assenza

Qualora il convenuto non sia comparso all’udienza di Contestazione della Lite e per la Concordanza del Dubbio, né si sia presentato alle udienze istruttorie previste dal Giudice Ponente, disinteressandosi così del processo, sempre senza alcuna giustificazione, il Giudice Ponente stesso ne dichiarerà con apposito decreto l’assenza dal processo.

Questo istituto ha la valenza della dichiarazione di contumacia nel processo civile ed esplica diversi effetti nel prosieguo del processo di nullità matrimoniale.

Il canone 1592 §1 CIC stabilisce che: “Se la parte convenuta citata non si presentò in giudizio né scuso idoneamente la sua assenza, o non rispose a norma del can.1507, §1, il giudice la dichiari assente dal giudizio e decida la causa, osservato quanto è prescritto, proceda a sentenza definitiva e alla sua esecuzione”. Normalmente il decreto di assenza viene emanato solo dopo che la parte convenuta si sia disinteressata del processo non rispondendo senza alcuna giustificazione alle successive citazioni del giudice per interrogarla[25].

In realtà si deve precisare che tale questione viene trattata meno drasticamente che nel codice del 1917. Infatti: “Ha influito anche in questo aspetto, la nuova impostazione più pastorale del Codice. E’ scomparso il termine contumacia (cfr. cann.1842-1851 del CIC ’17), che interpretava aprioristicamente l’assenza del convenuto come disobbedienza al giudice … mentre viene espressa dalla nuova norma una certa presunzione in favore della bontà delle persone … Si deve comunque precisare che anche l’attuale normativa dell’absentia partis conventae, legittimamente citata (e forse nuovamente citata) e mai comparsa in giudizio, si deve considerare, come già la contumacia, come una sorta di fictio iuris … che permetta all’attore e al giudice di proseguire nel giudizio”[26].

Pertanto, affinché tecnicamente possa essere emesso decreto di assenza occorre che consti: “a. il fatto dell’assenza; b. la sua volontarietà; c. la pendenza della lite”[27].

Per altro autore occorre: “la legittimità della notifica della prima citazione  (c.1592 §2), che non sia stata impedita (c.1510), e nel caso non ci sia questa certezza morale il giudice dovrà rinnovare la citazione. In questo senso dovrà essere certo che il convenuto non abbia addotto alcuna scusa idonea, e per far ciò è utile la seconda citazione”[28].

“L’effetto principale della dichiarazione di assenza risiede nel fatto di esonerare il tribunale dal dovere di notificare al convenuto gli atti processuali, eccetto la sentenza (c.1593 §3) … Questo effetto distingue l’assenza del convenuto da un’altra posizione processuale somigliante, quella cioè di “rimettersi alla giustizia del tribunale”. In quest’ultimo caso si dovranno notificare al convenuto alcuni altri atti processuali, e non solo la sentenza”[29].

Inoltre il convenuto dichiarato assente “potrà essere obbligato a pagare le spese prodotte a causa della sua assenza (c.1595)”[30].

In ogni caso, come rileva l’insigne Mons. Pinto: “Mi sembra che in assenza del convenuto, il giudice debba ancor più attenersi all’osservanza scrupolosa delle norme di procedura perché sia assicurata la giustizia e l’equità della sentenza. Deve perciò rendersi ben certo che la parte, specialmente se convenuta, abbia effettivamente rinunciato a essere presente al giudizio”[31].

Naturalmente la parte convenuta che sia stata dichiarata assente dal processo, avendo il diritto di ricevere la sentenza definitiva del giudizio[32], avrà la facoltà di impugnarne il contenuto mediante l’appello o altro mezzo di impugnazione previsto dalla legge canonica[33].

Qualora poi il convenuto: “dimostrasse di essere mancato per legittimo impedimento, che non poté farlo presente prima, potrebbe proporre la querela di nullità, che avrebbe l’effetto di riportare il tutto al punto di partenza”[34].

La comparizione tardiva

Secondo quanto prevede il canone 1593 §1 CIC[35] la parte convenuta, che fino ad allora non era mai intervenuta nel processo, può presentarsi in giudizio o prima della pubblicazione del decreto di conclusione in causa oppure anche successivamente.

Nella prima ipotesi la parte convenuta ha il diritto di esibire prove e documenti o addurre le proprie conclusioni proprio perché la fase istruttoria non è stata ancora formalmente chiusa. Al giudice spetterà il compito di vigilare che gli interventi della parte assente siano in mala fede o destinati a provocare inutili lungaggini.

Diversa è l’ipotesi della parte convenuta che si presenti dopo la conclusione della causa visto che in questo caso “potrà presentare le sue conclusioni e prove, ma ai sensi del can.1600 (pericolo di ritardi ad arte o di subornazione)”[36].

In particolare: “nelle cause di interesse privato l’assente potrà presentare prove solo se l’altra parte acconsente; nelle altre cause non è necessario tale consenso, ma si deve ascoltare comunque l’altra parte ed evitare il rischio di frodi; le prove presentate dalla parte assente dovranno essere accettate sempre che ci sia timore di emanare una sentenza ingiusta se non si ammettono le prove nuove”[37].

Conclusioni

In base a quanto abbiamo finora esposto appare evidente che il processo canonico: “risponde alle esigenze comuni di ogni processo e fondamentalmente concretizza il diritto oggettivo per il soddisfacimento di diritti e interessi legittimi mediante uno strumento pubblico che garantisca la preminenza della sicurezza della giustizia nelle situazioni conflittuali che si producono in seno alla società”[38] ma, altresì, esso deve rispondere ad un’altrettanto fondamentale esigenza che è quella di realizzare la missio divina della salus animarum “che trasmette allo svolgimento processuale alcune particolarità che provengono da specifiche finalità meta-processuali”[39].

Ecco perché, come giustamente osserva il Bertolino, il processo canonico deve “saper armonizzare in se stesso, in puntuale equilibrio, istanze tecniche e prospettive meta-giuridiche, esigenze formali e finalità meta-processuali”[40].

D’altra parte in esso deve essere sempre presente l’attenzione pastorale rivolta a coloro che versano in situazioni matrimoniali irregolari[41], visto che, come afferma il Concilio Vaticano II nella Costituzione Pastorale Gaudium et Spes: “la salvezza della persona e della società umana e cristiana è strettamente connessa con una felice situazione della comunità coniugale e familiare”[42].

E questo proprio perché: “mentre la unilaterale operosità giuridica nasconde sempre in sé il pericolo di un esagerato formalismo e attaccamento alla lettera, la cura delle anime garantisce un contrappeso, mantenendo desta nella coscienza la massima: <<Leges propter homines, et non homines propter leges>>”[43].

Pertanto, al sacrosanto diritto della parte che promuove la causa dinanzi al Tribunale Ecclesiastico per sottoporre al vaglio del giudizio della Chiesa la validità o meno del proprio matrimonio-sacramento, si deve necessariamente contrapporre il sacrosanto diritto della parte convenuta di poter ricevere giustizia. Una giustizia che dovrà quindi essere amministrata certamente secondo i principi giuridici previsti dalle norme canoniche ma anche e soprattutto sotto la lente salvifica della carità visto che come affermava Kelsen: “il precetto della carità può essere considerato come una delle numerose norme di giustizia”.


Note



[1] VILLEGGIANTE S., Il diritto di difesa delle parti nel processo matrimoniale canonico, Roma, 1984, p. 7

[2] Codex Iuris Canonici

[3] ARROBA CONDE M. J., Diritto processuale canonico, Roma, 1996, p.115.

[4] Contro la reiezione del libello la parte attrice potrà alternativamente presentare o un ricorso dinanzi al Collegio oppure un emendamento qualora il difetto eccepito possa essere, appunto, emendato (cfr. can. 1505 §3 e §4 CIC).

[5] Ovviamente il libello dovrà essere datato e sottoscritto dall’attore, nonché corredato dal mandato autenticato al proprio avvocato oltre ai documenti di rito previsti per legge.

[6] Secondo il can.1508 §2 CIC il giudice per cause gravi (come ad esempio per non creare gravi problemi in famiglia con la divulgazione del libello) può disporre che il libello sia reso noto alla parte convenuta dopo che questa abbia deposto in giudizio ma in tale caso nella citazione occorre comunque indicare la richiesta attorea e il motivo giuridico su cui essa si fonda. “Poiché dalla mancata notifica del libello deriva la nullità del decreto di citazione quanto meno per violazione del diritto di difesa (cfr. can.1620 n.7), la decisione di privare la parte convenuta del diritto riconosciutogli va formalizzata in un decreto” – cfr. MATTIOLI L., La fase introduttoria del processo e la non comparsa della parte convenuta, in Il processo matrimoniale canonico, Città del Vaticano, 1988, p.219. Pertanto proprio l’udienza per la Contestazione della Lite e la Concordanza del Dubbio diventa, dunque, il momento ideale per rendere noto alla parte convenuta il contenuto del libello affinché possa prendere posizione. Ed “è proprio la necessità di questa presenza delle parti davanti al giudice e della reciproca e totale conoscenza delle rispettive attività ciò che costituisce l’essenza del principio del contraddittorio senza l’osservanza del quale non potrebbe sussistere un vero giudizio, ma soltanto una simulazione di esso” – cfr. BUSCAGLIA G., Le cause matrimoniali, in AA. VV., Il matrimonio canonico in Italia, Brescia, 1984, p.209, nota 31.

[7] WERNZ-VIDAL, Ius canonicum VI, Roma, 1927, p.326.

[8] GULLO C., Prassi processuale nelle cause canoniche di nullità matrimoniale, Roma, 2001, p.96.

[9] Il termine di tre mesi deve intendersi nel senso di termini utili secondo quanto ha stabilito la sentenza del Tribunale Apostolico della Rota Romana, coram Bruno del 21.06.1985 n.6.

[10] Cfr. can.1649 §1 n.3 laddove oltre alla concessione del patrono ex officio e al gratuito patrocinio, può concedersi anche il semigratuito patrocinio, ossia una riduzione delle spese processuali.

[11] Va da sé che qualora la parte convenuta non abbia la capacità processuale, in quanto ad es. non in grado di intendere e di volere e quindi incapace di agire in giudizio, il Vicario Giudiziale, nell’ammettere il libello attoreo e citare la parte convenuta per l’Udienza di Contestazione della Lite, dovrà ammettere il Curatore o il Tutore dell’incapace già presente in ambito civile oppure, costituire un tutore o curatore “ad casum” cfr. ARROBA CONDE M. J., Diritto processuale canonico, cit., p.223-224.

[12] GULLO C., Il diritto di difesa nelle varie fasi del processo matrimoniale, in Monitor Ecclesiasticus, 113 (1988), Roma, p.35-36. 

[13] “Il giudice dovrà anche stabilire l’ordine con cui saranno esaminati i diversi oggetti del contendere, determinando l’eventuale cumulo in modo compatibile o subordinato” cfr. LLOBELL J., L’introduzione della causa, in AA. VV., I Giudizi nella Chiesa. Il Processo Contenzioso e il Processo Matrimoniale, Milano, 1998, p.72.

[14] “Una volta stabiliti i termini della controversia, essi non possono validamente essere mutati <<nisi novo decreto, ex gravi causa, ad instantiam partis et auditis reliquis partibus earumque rationibus perpensis>> (can.1514)” cfr. POMPEDDA M. F., Studi di diritto processuale canonico, Milano, 1995, p.65.

[15] POMPEDDA M. F., Studi di diritto processuale, cit., p.66.

[16] Nel caso di revoca del mandato procuratorio dopo la contestazione della lite essa deve essere portata a conoscenza del giudice e della parte avversa.

[17] Ma non potrà assistere all’interrogatorio della parte attrice né di alcun teste, facoltà invece ammessa per l’avvocato, qualora la parte convenuta avesse costituito un proprio difensore.

[18] In caso di rinuncia all’escussione di un teste in ogni caso la parte avversa può insistere perché il teste sia interrogato dal giudice (can.1551 CIC).

[19] “Ora che la mancanza di pubblicazione degli atti, di norma, si risolvesse … in difetto di diritto di difesa, pare ovvio; in tal caso, ove questa situazione si verifichi oggi anche in un qualche processo canonico concreto (can.1599), questo difetto, più che autonomo motivo di nullità della sentenza, è da considerare come una delle molte ipotesi riconducibili al can. 1620, n.7” – cfr. GULLO C., Prassi processuale, cit., p.181-182. E per la giurisprudenza rotale a titolo esemplificativo possono confrontarsi le sentenza citate dall’Autore suindicato nello stesso testo alla nota 5, p.181, tra cui coram Davino del 19.10.1989; coram Burke del 16.11.1989; coram Davino del 14.12.1989 e coram Faltin del 27.06.1991.

[20] Con le eccezioni di cui al canone 1600 CIC.

[21] Fatta salva la conoscibilità degli atti processuali, le parti, a differenza dei Patroni, non hanno diritto a riceverne copia, infatti: “nel caso abbiano deciso di difendersi da sole, non solo non hanno diritto, ma addirittura non possono ricevere copia degli atti” – cfr. GULLO C., La pubblicazione degli atti e la discussione della causa (cann. 1598-1606; can.1682 §2), in AA. VV., Il processo matrimoniale canonico, Città del Vaticano, 1988, p.292. La parte (convenuta per quel che ci riguarda) potrà comunque sempre prendere visione degli atti processuali presso la cancelleria del Tribunale.

[22] Cfr. DI GRAZIA S., Problemi sull’assistenza tecnica nel processo matrimoniale, in Monitor Ecclesiasticus, 113 (1988), Roma, p.51-61, soprattutto ad es. nei casi di incapacità.

[23] Quanto alle memorie difensive ricordiamo comunque che le parti possono sempre “rinunziare ad esse od anche decadere dal proprio diritto ove non osservassero i termini stabiliti dal giudice” – cfr. POMPEDDA M. F., Studi di diritto processuale, cit., p.103-104.

[24] E’ prassi del Tribunale notificare l’avviso di deposito della sentenza con facoltà delle parti di recarsi presso la cancelleria per prenderne visione e ordinarne copia.

[25] E’ prassi comune nei Tribunale Ecclesiastici arrivare a citare la parte per l’interrogatorio anche 3-4 volte per accertarsi della volontà chiara e manifesta di disinteressarsi al processo.

[26] PINTO P. V., I processi nel codice di diritto canonico, Città del Vaticano, 1993, p.357-358 in nota n.517. Cfr. anche O’CONNELL W., Processo contenzioso, in AA. VV., Il Nuovo Codice di Diritto Canonico, Roma, 1983, p.478-479.

[27] GULLO C., Prassi processuale, cit., p.97.

[28] ARROBA CONDE M. J., Diritto processuale canonico, cit., p.357.

[29] ARROBA CONDE M. J., Diritto processuale canonico, cit., p.358. Come ad es. la formula del dubbio e le eventuali nuove petizioni dell’attore.

[30] ARROBA CONDE M. J., Diritto processuale canonico, cit., p.358.

[31] PINTO P. V., I processi, cit., p.358.

[32] Vedi nota 24.

[33] Nella discussione del Gruppo dei processi, prevalse l’opinione di non concedere la restituito in integrum, sembrando esagerato.

[34] PINTO P. V., I processi, cit., p.359.

[35] “Qualora successivamente la parte convenuta si presenti in giudizio o risponda prima della definizione della causa, può addurre conclusioni e prove, fermo restando il prescritto del can. 1600; eviti però il giudice che il giudizio si protragga ad arte, con ritardi troppo lunghi e non necessari”.

[36] PINTO P. V., I processi, cit., p.359.

[37] ARROBA CONDE M. J., Diritto processuale canonico, cit., p.359.

[38] LOPEZ ALARCON, Diritto processuale canonico, in Corso di diritto canonico, II, Brescia, 1986, p.210.

[39] LOPEZ ALARCON, Diritto processuale, cit., p.210.

[40] BERTOLINO R., Il notorio nell’ordinamento giuridico della Chiesa, Torino, 1965, p.11.

[41] Cfr. DI GRAZIA S., Problemi sull’assistenza tecnica, cit., p.52.

[42] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, n.47. Sull’argomento cfr. anche POMPEDDA M. F., Studi di diritto processuale, cit., p.121-152.

[43] PIO XII, Allocutio Tertia, in Textus et documenta, Pontificia Universitas Gregoriana, Roma, 1944, p.54