La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1343 del 20.01.2011, ha precisato che non può essere delibata  la sentenza di annullamento del matrimonio ecclesiastico, quando la convivenza si è protratta per un periodo di tempo considerevole (nella fattispecie oggetto della sentenza, per più di 20 anni).


La sentenza è assolutamente rilevante perchè finalmente i Giudici di legittimità hanno preso posizione sul punto (notevole, infatti, è stata la risonanza su tutti i mass-media).


Agli ermellini è stato posto il seguente quesito: “Può essere riconosciuta nello Stato italiano la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio quando i coniugi abbiano convissuto come tali per oltre un anno, nella fattispecie per vent’anni, e se detta sentenza produce effetti contrari all’ordine pubblico, per contrasto con gli articoli 123 del codice civile (simulazione del matrimonio) e 29 della Costituzione (tutela della famiglia)?“.

La risposta è stata negativa.


Gli ermellini hanno precisato che nell’ipotesi in cui si è in presenza di un rapporto matrimoniale che si è protratto nel tempo, è contrario al principio di ordine pubblico rimettere il medesimo in discussione fondandosi su riserve mentali o vizi del consenso verificatisi al momento del “si” sull’altare.

Si segnala che il Tribunale Ecclesiastico regionale della Liguria (su ricorso di Tizio per vizi del consenso e riserve mentali – in merito alla volontà della coniuge Caia di non avere figli -, a suo dire non manifestatigli dalla coniuge
Caia all’epoca in cui avevano contratto matrimonio ecclesiastico) aveva dichiarato nullo il matrimonio tra Tizio e Caia; la decisione era stata confermata dal Tribunale ecclesiastico della Sacra Rota Romana, e dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.

Tizio, pertanto, ha fatto richiesta di riconoscimento agli affetti civili della sentenza di annullamento del matrimonio dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia, che ha rigettato la domanda. I Giudici di merito hanno precisato, infatti, che negli atti del procedimento dinanzi al Tribunale Ecclesiastico non risulta che Caia avesse manifestato a Tizio, prima del matrimonio, la volontà di non avere figli, e che tale intenzione non era neppure riconoscibile; di conseguenza, la sentenza del Tribunale ecclesiastico è in contrasto con l’ordine pubblico.


La Suprema Corte ha richiamato la sentenza n. 19809 del 18.07.2008 (resa a Sezioni Unite), nella quale è stato affermato il seguente principio di diritto: “L’ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese “favor” per la validità del matrimonio quale fonte del rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di rilievo e tutela costituzionali, con la conseguenza che i motivi per i quali esso si contrae, che, in quanto attinenti alla coscienza, sono rilevanti per l’ordinamento canonico, non hanno di regola significato per l’annullamento in sede civile”.

Nella sentenza appena citata si legge, altresì, che il “matrimonio-rapporto” nell’ordine pubblico italiano ha una incidenza rilevante (per i principi che si rinvengono nella riforma del diritto di famiglia e nella Costituzione); di conseguenza, non si può annullare il matrimonio allorquando la convivenza e già iniziata, e ancora di più se si è protratta per un certo tempo.


Perchè?
Nella sentenza n. 19809/2008 la Suprema Corte precisa che “riferita a date situazioni invalidanti dell’atto matrimonio, la successiva prolungata convivenza è considerata espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito e con questa volontà è incompatibile il successivo esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge”.

I Giudici di legittimità, nella sentenza che qui si annota, hanno confermato questa impostazione, accogliendo il ricorso e cassando la sentenza della Corte d’Appello di Venezia.


Roma, 21.01.2011                                              Avv. Daniela Conte