Una recente sentenza del Tribunale di Prato, Sezione Unica Civile, del 01-02-2012, riconosce all’attore una particolare fattispecie di danno: il danno da “rovesciamento forzato dell'agenda” che è un nocumento di natura non patrimoniale, cagionato ad una madre per lo sconvolgimento della strutturazione e pianificazione della propria vita, conseguente alle gravi condizioni di salute di sua figlia provocate dalla negligenza della struttura sanitaria in cui la madre aveva espletato il parto.

               In sintesi, una partoriente aveva riferito ai sanitari dell’ospedale nel quale si ricoverava per partorire, di essere stata affetta da un’infezione da streptococco. Nelle immediatezze del parto, inoltre, la neonata, alla quale non erano stati effettuati accertamenti o trattamenti specifici, aveva appunto sviluppato una grave infezione streptococcica, con meningo-encefalite non letale, ma con gravi esiti di natura neurologica e psichica.

               Per tale motivo la vita della madre, dovendo adempiere ai non indifferenti obblighi di assistenza nei riguardi della figlia gravemente invalida, ha subìto un profondo mutamento, qualitativo e temporale, sia dal punto di vista lavorativo che nelle attività di relazione, caratterizzato da una condizione innegabile di disagio, che in ultima analisi viene a connotare un danno ingiusto giuridicamente rilevante.

               Il Giudice civile, nell’analisi del ricorso, ha sottolineato che è la struttura ospedaliera convenuta a dover dare la prova di aver eseguito tutte quelle attività di cura e di aver assunto tutte le informazioni necessarie a tutelare la salute della madre e del nascituro al momento del parto, nonché ad aver svolto tutte le prestazioni necessarie a scongiurare gli esiti della malattia contratta dalla neonata, così come si è effettivamente verificata.

                 Nel caso in esame infatti, essendo convenuta la struttura ospedaliera, la stessa risponde di tutte le prestazioni mediche effettuate dal proprio personale sia durante il parto, che nelle ore successive alla nascita della bambina ai sensi dell’art. 1228 c.c. (secondo il quale il debitore, che nell'adempimento di un’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro).

               Inoltre nella cartella ostetrica, redatta al momento del ricovero per il parto, non è stato indicato, come avrebbe dovuto, il dato relativo ai tamponi vaginali effettuati dalla madre, trattandosi di una circostanza che attesta sicuramente la negligenza del personale sanitario che ha redatto tale cartella in ordine all’omissione di un dato importante, che avrebbe potuto evitare l’infezione contratta poi dalla neonata, ed evoluta quindi in meningo-encefalite.

               Con riferimento alla bambina, la consulenza tecnica d’ufficio disposta dal Giudice ha accertato un’invalidità permanente pari al 100% come danno-conseguenza all’evento del danno costituito dalla meningite contratta in occasione della nascita, in quanto la bambina ha manifestato dopo l’infezione meningo-encefalitica un grave ritardo mentale, all’interno di un quadro motorio a tipo tetraparesi distonico-discinetica, con epilessia resistente ai farmaci, ed impedimento dell’autonomia negli atti quotidiani della vita (come spostarsi, lavarsi, vestirsi ed assumere il cibo). Tale quadro, ormai stabilizzato e privo di miglioramento neurologico, ha determinato nella piccola un’invalidità totale e permanente, che le impedirà di avere una vita affettiva e di relazione adeguata alla sua età.

              Pertanto il Giudice ha stabilito che debba essere risarcito il pregiudizio relativo alla lesione permanente dell’integrità psico-fisica pari al 100%, prendendo come base il punto d’invalidità che tenga conto non solo della lesione all’integrità psico-fisica, ma altresì del danno non patrimoniale, conseguente alla totale condizione di sofferenza in cui la bambina verserà per tutta la vita per il totale immobilismo cui è destinata, nonché all’impossibilità di avere la benché minima vita di relazione, dovendo ricorrere per il resto dei suoi giorni all’ausilio di terzi anche per l’espletamento delle più piccole ed elementari attività quotidiane. Altra voce del risarcimento riguarda le spese mediche sostenute, e quelle da sostenersi presumibilmente in futuro, liquidate in via equitativa.

             Infine, e questo è il punto di interesse maggiore, la sentenza in questione riporta testualmente:

“Con riferimento al danno subito dalla madre, la parte attrice ha denunziato un danno psichico, errando tuttavia, nella qualificazione del pregiudizio non patrimoniale di cui chiede il risarcimento. Il danno psicologico deve infatti essere inteso come lesione dell’integrità psichica suscettibile di accertamento medico-legale.

La parte attrice, in realtà, in punto di allegazione, indica una diversa tipologia di danno non patrimoniale, in cui la sofferenza (peraltro considerevole) è emblematica non già di una compromissione dello stato di salute, quanto del disagio conseguente alle condizioni della figlia ed alla necessità di riorganizzare la propria vita, in relazione al fatto che la bambina è destinata ad una perenne condizione di immobilità assoluta che richiede un’assistenza continua.

Si tratta di un pregiudizio non patrimoniale che assume, nondimeno, piena dignità risarcitoria in considerazione del totale sconvolgimento allegato dalla madre in ordine all’organizzazione della propria vita in relazione alle gravi condizioni di salute della figlia.

Il pregiudizio subito dalla madre, in particolare, trova il proprio humus in quel tipico fenomeno di propagazione intersoggettiva dell’illecito, posto che l’evento di danno - costituito dalla meningite che ha colpito la figlia e dai postumi invalidanti che ne sono derivati - ha determinato un totale sconvolgimento delle abitudini quotidiane, nonché una serie di disagi riconnessi sia allo stato di salute della figlia sia alla necessità di provvedere alla sua assistenza, anche mediante viaggi per andare presso strutture specializzate. Tutto ciò ha pertanto determinato un totale rovesciamento della quotidianità della madre, che discende dal rapporto parentale ed affettivo con la figlia e con il disagio e la sofferenza nel vedere la bambina in condizioni di infermità assoluta, ma che non si ferma e non può essere circoscritto a tale rapporto, andando ad incidere su tutti gli aspetti della vita globalmente intesa della madre, come è attestato dalla drastica riduzione dell’attività lavorativa, fattore di particolare gravità, anche alla luce dell’importanza fondamentale che il lavoro assume, non solo in una prospettiva economica, ma anche in punto di identità sociale dell’individuo.

In sostanza, dall’inadempimento della prestazione contrattuale relativa agli obblighi di protezione nei confronti della bambina, scaturisce altresì la lesione di un interesse giuridicamente rilevante, quale è quello della madre che si trova in una condizione di vita connotata da un disagio psicologico perenne, ancorché lo stesso non abbia dato luogo ad una vera e propria malattia psichica.
Con riferimento alla liquidazione del danno si rileva che le tabelle milanesi non contengono una liquidazione per tale tipologia di danno patrimoniale, ma prendono in considerazione solamente il caso della morte del prossimo congiunto (indicando una somma compresa tra € 154.350,00 e quella di € 308.700,00). Nondimeno, malgrado l’evento morte non sia paragonabile a quello della permanenza in vita, seppure con un coefficiente di invalidità pari al 100%, tuttavia l’irreversibilità delle condizioni di salute della bambina, il fatto che tale infermità sia presente sin dalla nascita e che la madre abbia da allora subito uno sconvolgimento totale della propria vita, anche in punto di vista dell’affettività del rapporto con la figlia, che se non compromessa, risulta sicuramente lesa per effetto delle sue gravi condizioni di salute, tali da non consentire il pieno dispiegarsi, in tutte le sue componenti, della relazione tra la madre e la figlia, impongono una liquidazione equitativa del danno per un ammontare pari ad €.200.000,00 ....”.

            Le riflessioni che scaturiscono dalla lettura della sentenza possono essere di molteplice natura:

            Esiste un danno cosiddetto da “rovesciamento forzato dell’agenda”, che può essere riconosciuto in quei casi in cui l’evento illecito o comunque l’inadempimento di un obbligo, comporti per l’interessato un totale sconvolgimento delle abitudini di vita e di lavoro, nonché una serie di disagi con totale rovesciamento della quotidianità, e che va ad incidere su tutti gli aspetti della vita globalmente intesa, come ad esempio la drastica riduzione dell’attività lavorativa, fattore di particolare gravità, non solo in una prospettiva economica, ma anche ai fini del’identità sociale dell’individuo.

Nel caso esaminato l’inadempimento di una prestazione contrattuale in ambito sanitario nei confronti di una bambina, ha fatto scaturire altresì la lesione di un interesse giuridicamente rilevante, quale è quello della madre che si trova in una condizione di vita connotata da un disagio psicologico perenne, ancorché lo stesso non abbia dato luogo ad una vera e propria malattia psichica.

Tale danno da “rovesciamento forzato dell’agenda” è liquidabile dal Giudice in maniera equitativa (cioè secondo equità, rimessa alla prudente discrezionalità del Giudice), e non con riferimento tabellare.