La Corte interviene ancora una volta sulle innovazioni dovute al decreto c.d. Balduzzi, sulla colpa medica. Nel caso concreto vi era stato un intervento di ernia discale recidivante, nel corso del quale venivano lese la vena e l'arteria iliaca. L'imputato, esecutore dell'atto chirurgico, disponeva il ricovero presso nosocomio attrezzato per un urgente intervento vascolare riparatorio, ma senza esito giacché, nonostante la tempestiva operazione in laparotomia, la paziente veniva meno a seguito della grave emorragia.

Il Tribunale affermava, quindi, la responsabilità in relazione alla condotta commissiva afferente all'erronea esecuzione dell'intervento di ernia discale, assumendo la violazione della regola precauzionale, enunciata in letteratura, di non agire in profondità superiore a 3 centimetri; e di non procedere ad una pulizia radicale del disco erniario, per evitare la complicanza connessa alla lesione dei vasi che corrono nella zona dell'intervento.

Valutazione condivisa dalla Corte d'appello per ciò che attiene al profilo di colpa commissiva. La stessa Corte riteneva che il sanitario fosse in colpa anche per non aver preventivato la complicanza e per non aver organizzato l'esecuzione dell'intervento in una clinica attrezzata per far fronte alla possibile lesione di vasi sanguigni.

La Corte si trova, quindi, a determinare se l'esecuzione dell'intervento possa ricadere o meno nella disposizione normativa detta; se, in definitiva, le linee guida dettate nel caso concreto sono state seguite o meno.

Si deve partire, quindi, dall'esame del valore delle linee guida, dirette a delineare lo scenario degli studi ed a fornire gli elementi di giudizio che consentano al giudice di comprendere se, ponderate le diverse rappresentazioni scientifiche del problema, vi sia conoscenza scientifica in grado di guidare affidabilmente l'indagine.

Ponendole nello schema generale della colpa penale, che vede nella concretizzazione dell'evento il rischio che la cautela intendeva evitare. In tal senso, la colpa del terapeuta ed in genere dell'esercente una professione di elevata qualificazione va parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell'intervento richiestogli ed al contesto in cui esso si è svolto, alle difficoltà con cui il professionista ha dovuto confrontarsi, alle contingenze del caso concreto.

Insomma, da una parte il giudice dovrà ricostruire l'insieme delle regole tecniche che dovevano essere applicate al caso concreto, e dirette ad impedire proprio l'evento lesivo realizzatosi; dall'altro, dovrà comunque calare tali regole nella particolare situazione diagnostica e contingente in cui il sanitario ha operato.

A questo quadro normativo, la legge , attualmente, aggiunge una particolare valorizzazione delle linee guida della scienza medica, ossia ai precetti ed alle norme di comportamento che la comunità scientifica ha rilevato applicabili al caso medico concretamente valutato. L'innovazione pare importante dal punto di vista della etero integrazione della fattispecie penale: la nozione di colpa deve essere riempita con il riferimento alle cautele, ai principi scientifici, alle esperienze maturate nel settore specifico in cui si è svolta la condotta umana oggetto di analisi nel processo.

Senza dimenticare l'analisi della causalità della regola violata, in specie attinente ad un determinato settore professionale della attività umana. Ed in specie se non si versa in caso di colpa specifica, ossia di regola cautelare introdotta da una normativa, anche inferiore alla legge, ma ben presente e conosciuta dal giudice.

Senza dimenticare , ancora, che anche la violazione della regola deve comunque condurre all'evento che la norma cautelare stessa intendeva evitare; norma cautelare che, quindi, non si obiettivizza in una generica causazione dell'evento, ma restringe il campo della imputazione a quegli accadimenti che la norma cautelare, nata dalla esperienza o dalla ricerca scientifica , è diretta da impedire: nell'evento, si afferma in breve ed efficacemente, si deve essere concretizzato il rischio che la cautela intendeva evitare.

La nozione di linee guida nasce proprio nel campo delle professioni tecniche, ove forte è la presenza della ricerca scientifica, il giudice è sollevato dalla ricerca della regola cautelare da applicare, potendo e dovendo riferirsi alla comunità scientifica al fine di riempire di significato oggettivo la regola cautelare generica che si vuole applicare al caso concreto. In altre parole: la ricerca della norma cautelare, non pre-determinata da fonti normative, è svolta dal giudice con l'ausilio immancabile della scienza del settore, con la conoscenza delle regole tecniche e di esperienza che l'attività umana ha creato e diffuso all'interno della categoria.

Di qui il passo è breve: grande importanza deve essere attribuita alle linee guida , ossia alla cultura scientifica , condensata negli scritti autorevoli della dottrina. Ecco che il consulente del giudice non è mai chiamato ad esprimere un personale convincimento, ma ad individuare ,a delineare lo scenario degli studi ed a fornire gli elementi di giudizio che consentano al giudice di comprendere se, ponderate le diverse rappresentazioni scientifiche del problema, vi sia conoscenza scientifica in grado di guidare affidabilmente l'indagine .

La Corte nega comunque, che le linee guida possano rappresentare standard legali precostituiti di colpa, si da fondare regole di condotta specifiche, data la loro eterogeneità, mutevolezza, finalità, ecc. , rilevando innanzitutto il grado di indipendenza di chi ha formato lo studio e l'istituzione scientifica da cui provengono, che condensano la condivisione dei risultati della ricerca. Vuol dire la Corte, che le linee guida mantengono un grado di astrattezza che impone al medico, al professionista, l'adattamento dal caso concreto, che può risultare mutevole ed abbisognevole di aggiunte: un professionista che segua le linee guida non per questo è automaticamente immune da colpa. Ma se le segue, sarà imputabile solo per colpa grave.

Questo è il punto essenziale della sentenza.

Ossia: se il sanitario segue le linee guida ma commetta un errore, oppure se le segue e decide di discostarsi per le peculiarità del caso concreto (rectius, dimostri di conoscerle e consapevolmente e motivatamente di discostarsene) risponderà solo di colpa grave.

Le linee guida portano a ridurre la responsabilità del medico che le ha seguite attentamente, al solo profilo della colpa grave, ossia della colpa macroscopica, ingiustificabile da qualunque punto di vista, in relazione alla causa dell'evento, al rischio che si è concretizzato.

Tanto più ci si discosta dalle linee guida immotivatamente, tanto più sarà ravvisabile la colpa grave.

Se sono seguite le linee guida, è da escludere un profilo di colpa se non nel caso di mancato adeguamento al caso concreto dell'approccio terapeutico (rectius, quando le linee guida sono richiamate in modo erroneo); o, anche, quando (ma forse è la stessa cosa), il medico non si accorga della palese necessità di discostarsi dalle linee guida proposte in astratto, ma non utili al caso concreto.

Ed al tal punto ci si discosta necessariamente dalle regole cautelari scritte, per individuare il comportamento che avrebbe tenuto, nelle medesime situazioni, il "medico esperto", che esamina lo stesso caso: poteva accorgersi tale figura astratta di medico modello della necessità di non seguire o di adeguare l'intervento alla peculiarità della malattia affrontata?

Probabilmente, anche in tal caso, si richiameranno altri protocolli di intervento (possiamo immaginare casi eccezionali ove le linee guida non sono mai state dettata, mai un approccio medico considerato) ma in tal caso sarà difficile enucleare un profilo di colpa. Proprio basandosi sulla figura del professionista medio.

Ed infatti, come afferma la Corte, tanto più il caso è di complicata soluzione, tanto meno sarà figurabile un profilo di colpa , come detto.

In definitiva, dopo l'esame detto, permane il dubbio che l'intervento normativo sia effettivo, come la Corte si sforza a proporre, o sia una mera riproposizione di posizioni già acquisite, come il Procuratore generale nota nella sua requisitoria.

Ed infatti: se il medico si attiene alle linee guida redatte e consolidate nella comunità scientifica (e , naturalmente si adegua correttamente ad esse) è sempre da escludere, nei fatti, l'eventualità di una colpa lieve: o l'intervento medico va bene, oppure, se un danno si produce, l'errore difficilmente potrà essere determinato da colpa lieve.

L'adesione alle prassi mediche accreditate nella comunità scientifica rende l'evento infausto non più prevedibile, e, quindi, non evitabile neppure con una diligenza normale o con una minima attenzione (proprio perché l'attenzione dovuta è stata tutta "consumata" nella applicazione dei protocolli medici dovuti nel caso concreto). Mentre, se i protocolli detti non sono seguiti, l'evento infausto è del tutto prevedibile ex ante, proprio perché le cure dovevano essere impostate in modo diverso da quello effettivamente svolto.

Ed anche il voler guardare alla concretezza del caso, come delineato dalla Corte, la norma non appare aver rivoluzionato nulla: se il caso concreto impone di adattare le linee guida dettate dalla comunità scientifica, se l'urgenza del caso non permette, in concreto di seguirle tutte ed alla perfezione, si tratta pur sempre di una esclusione dal punto di vista oggettivo (della regola cautelare applicabile) o dal punto di vista soggettivo (la esigibilità del comportamento dovuto) che comportano la esclusione del profilo colposo. Senza che sia necessario scomodare categorie generali di colpa lieve o grave.. (dal sito www.personaedanno.it)