Il caso è frequente. L'anziano, ammalato di Alzheimer, fugge dalla struttura di accoglienza (casa di cura o centro anziani o centro diurno di accoglienza); la struttura si accorge in ritardo della fuga, scattano le ricerche, l'anziano viene ritrovato ferito o addirittura senza vita. Nessuno sa cosa è successo (l’anziano non è in grado di riferire); si può solo supporre che l’incidente sia frutto di una caduta o di un investimento stradale, dovuto allo stato di incapacità dello stesso ammalato.
La famiglia del danneggiato cerca tutela legale: nel caso di semplice ferimento, per il risarcimento del danno biologico inferto al soggetto; nel caso invece di decesso, per il risarcimento del danno da evento letale.
Nella riflessione che segue tralasciamo la questione del danno risarcibile, concentrandosi invece nell'individuazione delle responsabilità.
In prima battuta, sembrerà banale, ma non è sempre detto che vi sia una responsabilità di chicchessia. La responsabilità è infatti sempre collegata a un criterio di colpa, nelle diverse forme di negligenza, imprudenza o imperizia. E’ chiaro che nella gran parte dei casi, se c'è fuga, c'è qualcuno che ha omesso i controlli: si dice infatti che la colpa è presunta. Ma non c'è un automatismo ineludibile. Infatti il legale rappresentante della struttura può dimostrare in giudizio di aver adottato tutte le misure concrete atte ad evitare l'evento, avendo adempiuto tutte le prescrizioni tecniche adatte alla situazione, avendo correttamente istruito il personale, predisposto un'organizzazione valida e un piano dei turni senza smagliature, ed essendosi assicurato che gli accessi della struttura siano apribili (in uscita) solo dal personale. In questo caso si dirà che la fuga è dovuta non a disattenzione umana, ma a caso fortuito (per es. l’ammalato psichico, normalmente privo di iniziative autonome, ha efficacemente progettato e portato ad effetto una fuga altrimenti imprevedibile).
Se invece la fuga è ricollegabile a un fatto umano colpevole, si pone il problema della responsabilità civile (sia essa di natura contrattuale o extracontrattuale, cosa che esula dalla presente riflessione). Per i parenti potrebbe essere assai arduo stabilire una riconducibilità colposa in capo a un determinato soggetto (il colpevole potrebbe essere uno degli operatori sanitari, per incautela e distrazione, ma anche il dirigente che ha formato un piano dei turni lacunoso). Pertanto ai parenti della vittima viene certamente in aiuto, come in qualsiasi altro caso di responsabilità vicaria, l'art. 2049 cc, che responsabilizza il datore di lavoro (ente giuridico) per il fatto illecito (comportamento colposo) di tutti i dipendenti, a prescindere dall’individuazione di una persona precisa riconoscibile come responsabile.
Ma non sempre questa strategia facilitante risulta percorribile. In un caso che ha recentemente occupato lo scrivente, non fu ritenuto opportuno agire contro la struttura in quanto posta in liquidazione amministrativa e priva di copertura assicurativa. Si ritenne utile agire in giudizio direttamente contro il direttore, poiché nel caso specifico si poteva dimostrare che il direttore stesso aveva gestito l'organizzazione dell'azienda in una modalità tale da facilitare gli eventi indesiderati (come la fuga di un ammalato di Alzheimer).
Nel caso specifico, infatti, il direttore dichiarò ante causam di non avere il potere di trattenere l’anziano infermo, il quale quindi - a suo dire - poteva uscire a suo piacimento dalla struttura, con l’erronea motivazione, da una parte, che il soggetto non era interdetto, e dall’altra, che i parenti non avevano autorizzato l’uso della contenzione meccanica, ovvero, secondo la modulistica della struttura, cinture di forza. Persuaso di questi fattori limitanti, il direttore aveva istruito il personale operativo a non opporsi, nemmeno mediante l’uso di una “” (trattenimento fisico senza mezzi meccanici, fino all’eventuale arrivo di medico o fino a diverse soluzioni). Queste istruzioni sono fallaci e gravemente lesive del superiore interesse all’integrità fisica del soggetto incapace di intendere e di volere (quale è da considerare la persona ammalata di Alzheimer o di demenza senile). Infatti, l’assenza di un certificato di interdizione non solleva l’affidatario da responsabilità qualora egli sia in grado di accorgersi dello stato di incapacità; dall’altro lato, la mancata autorizzazione all’uso di mezzi di contenimento meccanico non comporta ipso facto autorizzazione a porre l’incapace in una situazione di pericolo, qual è l’allontanamento dalla struttura senza accompagnatori. Sono quindi istruzioni, quelle del direttore, sciagurate e idonee, nella situazione concreta, a determinare la situazione di pericolo indesiderata (allontanamento autonomo del soggetto dalla struttura di accoglienza).Esse contraddicono platealmente l’obbligo, incombente su chiunque accetti spontaneamente di farsi carico di persone incapaci, di proteggere l’incolumità fisica dell’affidato. L’obbligo è “in re ipsa” sol che la persona affidataria accetti l’affidamento nella consapevolezza dello stato di minorità psichica del soggetto affidato, quindi responsabilizza non solo i responsabili di ospedali, case di cura o case di assistenza, e loro subordinati specificamente incaricati, ma persino coloro che, anche privi di qualifica professionale e anche a titolo gratuito, accettino spontaneamente di farsi carico di tali persone (discorso diverso è eventualmente la graduazione della colpa, a seconda della professionalità dell’affidatario, perché quanto maggiore è la professionalità legittimamente attendibile rispetto al ruolo rivestito, tanto più pregnante è l’obbligo di custodia.
I riferimenti normativi sono gli artt. 2043, 2047, 2048, 2049 c.c., in combinato disposto con l’art.1218 c.c. (cd. responsabilità da “contatto sociale qualificato”).
Nel caso trattato, la generica responsabilità contrattuale ex art.1321 c.c. fu rifiutata dal Giudice d’appello (Corte App. Bologna RG 97/20) in quanto si ritenne che il contratto avvenuto fra la struttura e i parenti (agenti in giudizio jure successionis), cd. “contratto di cura e custodia”, non potesse vincolare il direttore in persona propria, giacchè la firma da lui posta in calce al contratto di cura, era “in nome e per conto” della struttura (soc. cooperativa).
A parere di chi scrive la responsabilità “da contatto sociale qualificato” (normalmente richiamata in relazione al medico che erra la terapia o la diagnosi, il quale non è “contraente” del paziente) è estendibile anche alla figura apicale dell'organizzazione (per esempio il direttore), quando sia dimostrato che tale soggetto abbia emanato istruzioni errate, come detto sopra, idonee a determinare la situazione pericolosa da cui scaturì l'evento dannoso. Infatti, il soggetto che può rispondere in persona propria ex articoli 2047 e 2048 e 2043 c.c., non è soltanto il mero esecutore, per esempio l'oss che per distrazione ha lasciato scappare l'ammalato, ma anche chiunque, nella catena di comando, abbia permesso, eventualmente in concorso con altri addetti o dirigenti, lo sviluppo della situazione pericolosa. Per esempio il direttore che componga un piano dei turni caotico e incomprensibile; che non si preoccupi di predisporre le misure di sicurezza dovute per legge o quelle rese necessarie dalla situazione contingente; che consenta una compagine interna gravemente carente per scarsità di operatori o per mancata verifica dell'idoneità professionale degli stessi: in tutti questi casi può dirsi che l'evento lesivo (non solo la fuga dell'ammalato di Alzheimer ma anche l'aggressione dello psicopatico a carico di altri pazienti, la caduta accidentale dovuta a un’ “insidia” conosciuta o conoscibile) è causalmente dipendente da un concorso di fattori fra cui, inevitabilmente, anche il comportamento colposo di chi aveva l'obbligo di predisporre tutti i mezzi necessari alla sicurezza delle persone ospitate.
Pertanto, non è ben comprensibile il responso del cit. Giudice d’Appello, il quale ha negato la responsabilità del direttore della struttura di accoglienza sulla semplice base del fatto che non aveva alcun rapporto contrattuale con i parenti della vittima. Attendiamo un auspicabile nuovo corso da parte della Suprema Corte.
 
avv.Enrico Gorini