Nell’ambito della chirurgia estetica la dottrina e la giurisprudenza prevalenti distinguono tre specifiche branche della chirurgia estetica, a secondo della finalità che le stesse si propongono ovvero: riparativa (quando vi è la necessità di ricostruire la somatica precedente alterata da un evento esterno, ad esempio a seguito di un sinistro), ricostruttiva (volta a correggere imperfezioni naturali, gravemente pregiudizievoli per la vita di relazione) e correttiva (che comprende tutti gli interventi ritenuti non necessari per la tutela della salute, apparentemente rivolti a correggere modeste imperfezioni e, pertanto volti semmai a conseguire una maggiore sicurezza nella vita di relazione). Di queste tre fattispecie, secondo una parte della dottrina, solo le prime due, avrebbero finalità terapeutiche e/o solidaristiche, mentre la terza ne sarebbe esclusa, in quanto queste operazioni, non sono ritenute necessarie per la tutela della salute, perchè finalizzate, come si è accennato, a correggere piccole imperfezioni fisiche, o a migliorare la forma fisica, e quindi andrebbero escluse dalla tutela prevista dall’art. 32 Cost. Alla luce di tale orientamento interpretativo ne consegue, a nostro parere che, se il fine estetico non rientra tra gli interessi costituzionalmente garantiti, non potrà trovare applicazione la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale e di conseguenza, neppure quello esistenziale, in quanto, salvo il caso in cui il chirurgo operi al di fuori di quanto concordato con il paziente, o con imperizia, è da escludersi: sia la presenza di un reato (ex art. 50 c.p.), sia la tutela di un interesse costituzionalmente garantito, perchè si ribadisce, l’intervento in questione non è compreso tra quelli considerati necessari per la tutela della salute. In sintesi, da quanto sopra esposto se ne deduce che, se l’intervento estetico correttivo viene praticato sulla base di un accordo verbale e/o scritto e avviene con il consenso volontario della paziente, nella fattispecie si applicherà esclusivamente il regolamento contrattuale voluto dalle parti, integrato semmai, per quanto non espressamente pattuito, dalla normativa inerente la responsabilità contrattuale e il contratto d’opera. Fattispecie quindi potenzialmente inquadrabile tra le obbligazioni di risultato, ma di conseguenza, non più soggetta alla disciplina inerente la responsabilità civile. Quindi ne consegue che, ove il Giudice qualifichi questo tipo di operazioni come obbligazioni di risultato (vedi articolo già pubblicato su questo sito dal titolo: “L’attività del chirurgo estetico: obbligazione di mezzi o di risultato?”), dovrà rigettare automaticamente le ragioni assunte dall’attore ove tardive, viceversa qualora consideri l’obbligazione, come di mezzi, sarà comunque il danneggiato a dover dimostrare l’eventuale responsabilità del libero professionista ex artt. 1176 e 1228 c.c.. La tesi in questione è avallata anche da una recente sentenza della Cassazione (Cass. civ., sent. n. 3284/08), che a riguardo ha così stabilito: “La serenità e la sicurezza non costituiscono, in se stesse considerate, diritti fondamentali di rango costituzionale inerenti alla persona, con la conseguenza che la loro lesione non consente il ricorso alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale.”. Infine a chiarire definitivamente la questione è intervenuta anche una sentenza della Cassazione a sezioni unite che sembra mettere una pietra tombale sulla questione (ma vedremo in un'altra articolo che in realtà la questione è ancora aperta): “Il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata danno esistenziale perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. È compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.” (Cassazione civile , sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, L.A. c. F.S. e altro in Guida al diritto 2008, 47 18). In altre parole sembra sparire la figura del danno esistenziale per essere inglobata nella fattispecie generica del danno non patrimoniale e si badi non solo nell’ambito della chirurgia estetica, ma in tutti i settori, ma vedremo in un altro articolo, che l’interpretazione datane dalla giurisprudenza successiva, sembra lasciare ancora aperti degli spiragli per questo tipo di danno.