Dal verbo latino lateo, nascondersi, celarsi, per danno lungolatente si intende un effetto dannoso che si può verificare a distanza di tempo, anche notevole, rispetto al momento in cui si è prodotto. Si ha danno lungolatente, secondo la giurisprudenza per esempio, con la trasfusione di sangue contagiato da epatite o HIV, l’assunzione di emoderivati infetti, uso di farmaci di cui non era stata dichiarata la pericolosità, vaccinazioni da cui derivi una grave patologia per il vaccinato, esposizione all’amianto, operazioni chirurgiche con effetti dannosi a lunga scadenza.

Dato caratterizzante del danno lungolatente è, dunque, che le patologie le quali danno evidenza al fatto illecito, si manifestano in tempi sfalsati rispetto al momento in cui viene commesso il fatto.

Di conseguenza può intercorrere un lasso di tempo anche molto lungo tra il fatto dannoso e la possibilità di azione risarcitoria; tale lasso di tempo si potrebbe prospettare, in tal senso, anche all’infinito. Ma tanto non è, in quanto subentra l’istituto della prescrizione che pone ragionevolmente dei limiti.

La prescrizione ha il suo fondamento nel diritto romano, nel quale aveva la stessa denominazione e rispondeva all’esigenza di rimuovere l’incertezza nei traffici e nei rapporti giuridici, conseguente al trascorrere del tempo, foriero di risvolti negativi.

La figura passò nel codice civile del 1865, insieme all’usucapione, nell’ambito delle trasformazioni giuridiche ad efficacia preclusiva e peculiarmente ambivalente, in quanto con l’usucapione si consolidava un possesso già in effetti esistente, mentre con la prescrizione si perdeva un diritto non ancora esercitato. L’origine comune dei due istituti è dovuta al fatto che a Roma, non potendosi applicare l’usucapione ai cittadini non italici, la prescrizione si applicava ai fondi posti fuori del suolo italico e consentiva a chi avesse posseduto una cosa per un certo periodo di tempo di poter difendere tale possesso nei confronti di una eventuale azione di rivendica.

Anche nella codificazione napoleonica del 1804 i due istituti erano assimilati, mentre nella codificazione vigente, art. 2934 cc. la prescrizione si è sostanzialmente evoluta dall’usucapione, configurandosi come termine oltre il quale non è più possibile far valere il proprio diritto al risarcimento del danno, da parte di chi assume di aver contratto una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo.

Esso pertanto, come riportato nella sentenza della Cassazione 28 gennaio 2004, n. 1547 (vedi Satta, Estinzione del processo e decadenza, in “Rivista di giurisprudenza, 1968), accompagna il diritto nel suo cammino, è qualcosa di esterno ad esso, come una minaccia, e ne danno conferma i termini solitamente lunghi, salvo speciali rapporti in cui la prescrizione acquista carattere presuntivo, avvicinandosi con ciò (senza naturalmente identificarsi) alla decadenza.

L’articolo di riferimento è il 2947 cc. che al comma 1 recita: il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.

L’articolo del codice civile è stato oggetto di varie letture e costituisce anche attualmente il punto di partenza per la discussione. Esso, considerato nella sua letterale rigidità, pone un termine chiaro e invalicabile per la cessazione del diritto al risarcimento, non esercitato dal suo titolare; tuttavia, considerato in relazione con quanto disposto dall’art. 2935 cc., che detta la regola generale in tema di prescrizione, si presta ad una diversa interpretazione. L’art. 2935 cc. così recita: La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Da esso si ricava che il termine di prescrizione decorre dal momento in cui si può esercitare il diritto di tutela, non da quello in cui il diritto risulta violato.

Trattandosi di danno lungolatente, i cui effetti si manifestano in un momento molto successivo alla sua causazione, si deduce che il termine fissato dall’art. 2947 cc. può farsi decorrere non dal momento in cui il fatto si è verificato o il danno è avvenuto, ma da quando il danneggiato, presa coscienza del nesso esistente tra danno presente e causa remota, chiede di potersi avvalere del suo diritto. Il termine di cinque anni risulta, pertanto, spostato in avanti, a seconda del giorno in cui viene stabilito che il soggetto possa in concreto esercitare il diritto.

Nella Sentenza della Corte di cassazione, 28 gennaio 2004, n.1547, viene aggiunto che per possibilità di esercitare il diritto si intende quella legale o giuridica, non potendosi considerare ostacoli i c.d. “impedimenti di fatto” e le difficoltà che potrebbero rendere laborioso in concreto l’esercizio del diritto.

Altra cosa è invece la sospensione, che, prevista per legge, rappresenta un impedimento che rende impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto.

I problemi che si pongono attengono, dunque, all’individuazione del dies a quo decorre la prescrizione nei danni lungolatenti.

Dislocandosi in tempi diversi il fatto illecito, il verificarsi del danno, la sua manifestazione, si deduce che la collocazione temporale del danno e della sua manifestazione agiscono in favore o disfavore del danneggiato. Una interpretazione restrittiva della norma, facente riferimento alla sola prescrizione breve ex art. 2947 cc., rischierebbe di lasciare il danneggiato senza tutela; d’altra parte uno spostamento eccessivamente in avanti del termine, rischierebbe di lasciare il danneggiato senza risarcimento, sine die.

Nel corso del tempo il riconoscimento di questo momento si è arricchito, nella giurisprudenza, di maggiori precisazioni.

Si è passati a valutare se il danneggiato, abbia avuto consapevolezza del danno nella sua interezza, se egli ne abbia avuto conoscenza completa, se abbia percepito il nesso tra illecito e danno, se ne abbia identificato il responsabile.

L’evoluzione si è orientata sempre di più verso una lettura combinata degli artt. 2935 cc. e 2947 cc e in genere le sentenze degli anni ’70 e ‘80, fanno riferimento al momento del verificarsi del danno, in quanto la lettera dell’articolo parla di verificazione e non di manifestazione del fatto antigiuridico.

D’altra parte il DPR del 29 dicembre 1973, n.1092, Approvazione del T.U. delle norma sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, fa decorrere il termine di decorrenza per l’inoltro della domanda di pensione privilegiata dalla data di cessazione dal servizio, e non dal momento della manifestazione della malattia. Il DPR è indicativo dell’interpretazione restrittiva e letterale di quegli anni.

All'interno della giurisprudenza della Corte di legittimità, sul punto della decorrenza della prescrizione nell'illecito, si è verificata dagli anni '70 in poi un'evoluzione giurisprudenziale, che ha portato ad approfondire e consolidare un'interpretazione congiunta degli articoli 2935 e 2947 cc, discostandosi in larga parte dallo schema codicistico del 1942. Alcune pronunce,infatti, hanno affermato che la prescrizione iniziava a decorrere dal momento del verificarsi della lesione, con ciò intendendosi non la sola condotta lesiva, ma la modificazione in peius nella sfera giuridica del terzo ovvero il danno.

Altre pronunce ponevano invece l'accento sul momento dell'esteriorizzazione della lesione, o analogamente indicavano l'inizio della decorrenza dal momento del verificarsi di effetti esteriorizzati e conoscibili (Cassazione, sentenze 1716/79 e 1442/83). Questo secondo orientamento si è successivamente consolidato nel senso di considerare la prescrizione decorrente dal momento della (oggettiva) percepibilità e riconoscibilità del fatto dannoso, da parte del danneggiato (Cassazione, sentenze 5412/83 e 3444/89). Qualora la percezione del danno non sia manifesta ed evidente, si afferma infatti che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito sorge non dal momento in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all'altrui diritto, bensì dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile.

Come ha rimarcato la dottrina, se nel codice del 1942 il sistema della prescrizione era formalmente sbilanciato a favore dei convenuti, la Suprema corte (Cassazione, sentenza 5913/00), consolidando una lettura congiunta dell'articolo 2947 cc con la clausola generale di cui all'articolo 2935 cc, ha ribaltato lo schema introdotto dal legislatore. Difatti, mediante questa lettura coordinata delle due norme, il termine di prescrizione del diritto, anche nell'illecito aquiliano, decorre non dal momento della violazione del diritto stesso, ma da quello in cui se ne può sperimentare la tutela. Se la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da illecito contrattuale trova la sua giustificazione nell'inerzia colpevole del creditore (ossia nello scollamento temporale tra la possibilità di esercizio della pretesa e la concreta condotta del creditore), anche in campo extracontrattuale il momento attuale da cui far decorrere la prescrizione si lega alla possibilità per il creditore di ottenere il risarcimento del danno, in relazione alla conoscenza o conoscibilità dell'esistenza del fatto dannoso.

La sentenza in commento, accedendo senz'altro a quest'ultimo indirizzo, ormai evidentemente irreversibile, condivide quell'orientamento dottrinario maggiormente garantista in favore del danneggiato da illecito lungolatente. In forza di questo indirizzo, il dies a quo è riferibile al momento in cui il danneggiato subisce gli effetti della condotta altrui, ovvero il danno, perché solo da quel momento il soggetto leso può decidere liberamente se agire o meno in via risarcitoria, secondo lo schema dell'articolo 2935 cc, con la conseguenza che in caso di danni c.d. lungolatenti il dies a quo non decorrere dal momento della causazione del danno ab origine, ma dal verificarsi degli affetti dannosi percepibili. Si sostiene,lungo questa linea di pensiero, che lo stesso istituto giuridico della prescrizione debba essere esaminato in modo sistematico, collegando l'articolo 2947 con gli articoli 2043 e 2935 cc; ne deriva che non solo il dies a quo deve essere individuato nel momento di verificazione del danno, ma il danneggiato deve essere messo in condizione di percepirne anche l'ingiustizia, il nesso eziologico, la riconducibilità alla responsabilità di un terzo. Solo quando sia in possesso di questa piena consapevolezza il danneggiato potrà decidere liberamente se intraprendere la via giudiziaria o meno, in pieno rispetto dell'art. 24 Costituzione.

A far luce è intervenuto anche il Tribunale Milano, sez. X, 05 aprile 2008, n. 4475 che stabilisce che quanto all'esordio del termine prescrizionale è da ritenere che, in caso di danno lungolatente, per il quale cioè vi è coincidenza cronologica tra fatto illecito e verificarsi del danno stesso, sia da condividersi la prospettiva in cui da tempo si muove la più accorta giurisprudenza che, rivisitato in qualche modo l'istituto della prescrizione, propone una lettura combinata e ragionevole dell'art. 2947 comma 1 - che è ancora la prescrizione al " ... giorno in cui il fatto si è verificato ... " - e dell'art. 2935 c.c. che, in via generale, aggancia la decorrenza al " ... giorno in cui il diritto può essere fatto valere ... ". Tale lettura rappresenta un tentativo di bilanciamento fra le opposte esigenze della certezza dei rapporti giuridici - a base della prescrizione - e quella di consentire la tutela risarcitoria a chi, non per sua colpa, non abbia consapevolezza di aver subito una lesione giuridicamente rilevante, riconducibile alla condotta di soggetti determinati.

Appare utile menzionare anche la sentenza della Cassazione civile, sez. III, 02 febbraio 2007, n. 2305, in base alla quale in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno lungolatente, l'azione risarcitoria da intesa anticoncorrenziale, proposta ai sensi del comma 2 dell'art. 33 L. 10 ottobre 1990, n. 287, si prescrive, in base al combinato disposto degli art. 2935 e 2947 c.c., in cinque anni dal giorno in cui chi assume di aver subito il danno abbia avuto, usando l'ordinaria diligenza, ragionevole ed adeguata conoscenza del danno e della sua ingiustizia, mentre resta a carico di chi eccepisce la prescrizione l'onere di provarne la decorrenza, e il relativo accertamento compete al giudice del merito ed è incensurabile in cassazione, se sufficientemente e coerentemente motivato. (Nella specie, concernente il danno arrecato dalla compagnia assicurativa al proprio assicurato per la r.c.a., in relazione ad intese anticoncorrenziali sanzionate dall'Autorità Garante, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva individuato il momento di decorrenza della prescrizione con il sopravvenire della definitività della sanzione in sede giudiziaria amministrativa).

In realtà appare evidente come non ci sia una normativa precisa riferita al danno lungolatente e che di volta in volta bisogna stabilire il dies a quo decorre la prescrizione. Dalla disamina degli orientamenti sia della dottrina che della giurisprudenza, appare, quindi, condivisibile il timore esternato da quanti segnalano il rischio di un deficit di tutela in capo al danneggiato, per effetto di un regime giuridico evanescente, affidato all’interpretazione del giudice in punto di esordio della prescrizione. L’epifania del danno, quale momento cui coincide il decorso del tempo agli effetti estintivi di cui all’art. 2934 c.c., resta affidata ad un complesso dialogo processuale tra parte danneggiata e giudice, in cui avranno rilevante interesse le difese del danneggiante e i mezzi istruttori. Il baricentro dell’istituto si sposta così dal piano legale a quello giudiziale, con l’evidente rischio che la questione scivoli nell’ombra dell’incertezza. Secondo alcuni studiosi sarebbe opportuno un intervento legislativo con il quale la lungolatenza venga tipizzata come causa di sospensione della prescrizione. La novella dovrebbe avere una certa flessibilità, ma al contempo una sua tipicità, introducendo un onere (uno sforzo di diligenza) in capo al danneggiato, cui ricollegare una inerzia non giustificabile e, dunque, idonea a far decorrere la prescrizione. La giurisprudenza maggioritaria ha suggerito al legislatore una idea di costruzione della norma che qui di seguito si riporta: “la prescrizione rimane sospesa dal giorno in cui il fatto si è verificato ai sensi dell’art. 2947 comma 1 c.c., quando il momento dell’inflizione del danno ad opera del danneggiante ed il momento della sua percezione da parte del danneggiato non coincidono, ma tra loro si verifica uno stacco temporale. In questo caso, il diritto si prescrive, comunque in dieci anni, se il danneggiato non ha fatto ricorso ad accertamenti medico-legali,sanitari o altri equivalenti, pur dinnanzi al fondato timore di aver subito il danno. In una formulazione del genere verrebbe imposto uno specifico dovere al danneggiato: quello di attivarsi per salvaguardare la propria situazione giuridica soggettiva, onde non tramutare la sospensione in un effetto sospensivo sine die. Allo stesso tempo, verrebbe introdotta una sorta di tutela anche per il danneggiante: questi può sempre dimostrare l’intervenuta percezione del danno da parte del soggetto leso, con conseguente ripristino del decorso temporale estintivo”. (vedi a riguardo: Tribunale Milano, sez. X, 05 aprile 2008, n. 4475, in Giustizia a Milano 2008, 5 35). Ci si chiede infine se il termine di prescrizione decennale debba decorrere dall’evento o dalla percezione del danno, a far chiarezza in argomento è intervenuta una sentenza della Cassazione civile , sez. II, 28 gennaio 2004, n. 1547 che ha postulato i seguenti principi:

A) Le domande di risarcimento del danno da responsabilità aquiliana e da responsabilità contrattuale si fondano su elementi di fatto diversi sia sotto il profilo oggettivo sia sotto quello soggettivo in relazione non solo all'accertamento della responsabilità, ma anche alla determinazione dei danni. Incorre, pertanto, in vizio di ultrapetizione il giudice d'appello che, in mancanza di gravame sul punto, operi d'ufficio la riqualificazione in termini contrattuali di una domanda risarcitoria spiegata in via extracontrattuale al fine di ritenere applicabile al caso il termine ordinario della prescrizione.

B) Alla responsabilità contrattuale del medico per il danno alla persona, causato da imperizia nell'esecuzione di un'operazione chirurgica, si applica l'ordinario termine di prescrizione decennale, con decorrenza dal momento del verificarsi del fatto lesivo, e non da quello della manifestazione esteriore della lesione.

C) Posto che la domanda di risarcimento del danno per responsabilità del medico nell'esercizio della propria attività professionale ha sempre natura contrattuale, ne consegue che il termine prescrizionale applicabile è quello ordinario desumibile dal combinato disposto degli art. 2935 e 2946 c.c., per il quale la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e si compie nel termine di dieci anni da esso e non, invece, quello desumibile dal combinato disposto degli art. 2935 e 2947 c.c. (nella specie, la particolare competenza professionale del paziente danneggiato - di professione medico chirurgo - nell'ambito di un'azione risarcitoria fondata sul difetto di informazione lo ha indotto a ritenere che l'attore fosse in grado di rappresentarsi i rischi dell'intervento e fosse pertanto tenuto ad attivarsi diligentemente dopo l'intervento subito, effettuando gli accertamenti sulla possibile insorgenza del danno alla sua capacità di procreare, onde acquisire la consapevolezza del danno risentito utile a renderlo edotto della possibilità di far valere il proprio diritto risarcitorio nei confronti degli autori dell'intervento)”.

Tutto chiaro quindi, in materia contrattuale sembrerebbe che il termine decennale decorra dall’evento o non dalla percezione del danno, ma se si va a leggere la motivazione si desume che volutamente venga lasciata una porta aperta ai danni lungo latenti anche in materia contrattuale:

Con riferimento alla decisione in esame, una volta incanalata la questione nell’orbita della responsabilità contrattuale e fugando qualsiasi ulteriore incertezza in merito ad una eventuale ipotesi di responsabilità aquiliana, è possibile giungere alle conclusioni che seguono relativamente alla portata dell’art. 2935 c.c. con riferimento al momento da cui inizia a decorrere la prescrizione.

Nel percorrere l’iter giudiziario al quale è stato sottoposto il caso in esame, è possibile formulare due diversi criteri per l’individuazione del momento da cui inizia a decorrere la prescrizione: da un lato il momento in cui si verifica il fatto lesivo, dall’altro il momento in cui si ha la manifestazione esteriore della lesione.

Se si ritiene che la prescrizione sia un istituto di carattere generale diretto ad assicurare la certezza dei diritti, si comprenderà il motivo per cui è di fondamentale importanza rinvenire con certezza il momento da cui inizia a decorrere. Invero, la ragione della prescrizione non è tanto quella della certezza dei rapporti giuridici, quanto quella dell’opportunità dell’adeguamento della situazione di diritto alla situazione di fatto.

Sicuramente l’individuazione del momento iniziale nella lesione è di immediata percezione e lascia meno margini di dubbi, ma non si possono tralasciare tutte quelle fattispecie in cui la manifestazione esteriore della lesione è successiva all’evento dannoso. Nel caso in cui ciò si dovesse verificare, la decorrenza della prescrizione è naturalmente postergata a quel momento di conoscenza della lesione. Purché ciò, in sede di eventuale contenzioso, venga debitamente provato”.