La Terza Sezione della Cassazione ripercorre tutti i principi elaborati e le problematiche emerse in materia di responsabilità medica. La “fitta” pronuncia in commento, infatti, muove da un caso di danni lamentati in conseguenza della perdita totale ed irreversibile del visus all'occhio destro e della forte miopia all'occhio sinistro subita dal figlio del ricorrente, a causa di fibroplasia retro lenticolare, asseritamente insorta per essere stato il medesimo, nato pretermine, lasciato per 45 giorni in incubatrice senza assistenza e senza il necessario controllo della concentrazione di ossigeno. Difficile, dunque, ricostruirne sinteticamente i tratti salienti.
Punto di partenza è la diligenza professionale, qualificata dalla specifica attività esercitata ex artt. 1176, 2 co., c.c. e 2236 c.c., nel cui ambito va distinta – osserva il Collegio - una diligenza professionale generica e una diligenza variamente qualificata, giacché chi assume un'obbligazione nella qualità di specialista, o un'obbligazione che presuppone una tale qualità, è tenuto alla perizia che è normale della categoria (Cass., 13/4/2007, n.8826).
La condotta del medico specialista, a fortiori se tra i migliori del settore, va esaminata non già con minore, ma, al contrario semmai, con maggior rigore ai fini della responsabilità professionale, dovendo aversi riguardo alla peculiare specializzazione e alla necessità di adeguare la condotta alla natura e al livello di pericolosità della prestazione (con riferimento al medico sportivo, Cass., 8/1/2003, n. 85), implicante scrupolosa attenzione e adeguata preparazione professionale (Cass., 13/1/2005, n. 583).
La Corte passa poi in rassegna la peculiare ipotesi della responsabilità del medico c.d. "strutturato", giungendo ad enucleare la distinzione, ormai cara a dottrina e giurisprudenza, tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Essa – incalza - non può valere come criterio di distribuzione dell'onere della prova, bensì solamente ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa riferibile al sanitario.
Proprio nel caso in cui l'intervento implica cioè la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, richiede notevole abilità, e la soluzione di problemi tecnici nuovi o di speciale complessità, con largo margine di rischio in presenza di ipotesi non ancora adeguatamente studiate o sperimentate, ovvero oggetto di sistemi diagnostici, terapeutici e di tecnica chirurgica diversi ed incompatibili tra loro.
Si deve concludere, allora, che in ogni caso di "insuccesso" incombe al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione.
Anche sotto tale aspetto, il Collegio si uniforma alla giurisprudenza ormai maggioritaria: in linea generale, il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è al debitore convenuto che incombe di dare la prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento.
Analogo principio è stato posto con riguardo all'inesatto adempimento, rilevandosi che al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando sul debitore l'onere di dimostrare di avere esattamente adempiuto.
Applicando tale principio all'onere della prova nelle cause di responsabilità professionale del medico si è affermato che il paziente che agisce in giudizio deve, anche quando deduce l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria, provare il contratto e allegare l'inadempimento del sanitario, restando a carico del debitore (medico-struttura sanitaria) l'onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente, e che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa a sé non imputabile, in quanto determinato da impedimento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta (per il riferimento all'evento imprevisto ed imprevedibile, Cass., 21/7/2011, n. 15993; Cass., 7/6/2011, n. 12274. E già Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 11/11/2005, n. 22894).
Deve, dunque, concludersi che il danneggiato è tenuto a provare il contratto e ad allegare la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza. Mentre al debitore, presunta la colpa, incombe l'onere di provare che l'inesattezza della prestazione dipende da causa a lui non imputabile, e cioè la prova del fatto impeditivo (Cass., 2875/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488).
E laddove tale prova non riesca a dare, secondo la regola generale ex artt. 1218 e 2697 e. e. il medesimo rimane soccombente.