Nonostante la globalizzazione e l’integrazione europea capita, a volte, di pensare che la sovranità dello Stato italiano escluda a priori l’applicazione in territorio nazionale di sentenze emesse da tribunali stranieri.
 
Ma come sarebbe possibile, ad esempio, per un imprenditore italiano che operi in Tunisia, recuperare in Italia un credito riconosciuto da una Corte tunisina? Oppure per due ex-coniugi tunisini residenti in Italia, per due connazionali (che abbiano optato per la giurisdizione tunisina) o, ancora, per due ex-coniugi di nazionalità differente far riconoscere in Italia la sentenza di divorzio? O, sempre in materia di persone fisiche, sarebbe concepibile l’applicazione, in territorio nazionale, di una decisione straniera sul cambiamento di nome? E ancora, nell’ambito della proprietà intellettuale, la sentenza che tuteli il diritto d’autore dell’impresa italiana che vedesse contraffatti i propri prodotti all’estero?
 
In origine, ovvero fino all’entrata in vigore della Legge n. 218 del 31 maggio 1995 (il c.d. Codice di Diritto Internazionale Privato Italiano), era impossibile che una sentenza straniera potesse regolare rapporti giuridici in Italia, posto che non fosse intervenuto una sorta di avallo da parte dell’Ordinamento giudiziario del nostro Paese. Questo nulla osta erareso da una sentenza di delibazione della Corte d’Appello, la quale verificava che i presupposti di tale sentenza fossero coerenti con i principi giuridici vigenti e, soprattutto, con l’ordine pubblico interno.
 
Parallelamente alla Legge 218/1995, quindi, è stato recepito anche il principio dell’automatica efficacia in Italia dei provvedimenti giudiziari stranieri. Il suddetto principio ha reso finalmente possibile il riconoscimento automatico di quelle decisioni che possiedono i requisiti per poter divenire parte integrante della regolamentazione della vita di cittadini e di stranieri che hanno optato per l’Italia come sede dei propri interessi. È infatti giocoforza che in un’ottica moderna non si possa, né si debba, vivere all’ombra di pregiudizi particolaristici, che confinerebbero il Paese che li adotta in una posizione tanto isolata quanto anacronistica.
 
Ora si può, dunque, procedere alla trascrizione in Italia della sentenza straniera in seguito alla valutazione dei suoi requisiti basilari, delle condizioni sostanziali di compatibilità con la Legge 218/1995 e, più in generale, con l’Ordinamento italiano.
 
La trascrizione, comunque, è necessaria presso il Comune italiano competente a riceverla, ad opera del diretto interessato, oppure presso il Consolato italiano nella cui circoscrizione è stata emessa la sentenza; e ciò, chiaramente, dopo la sua legalizzazione e traduzione giurata in lingua italiana.
 
Perquanto riguarda, invece, l’attuazione di tali sentenze, oppure quando sia necessario procedere ad esecuzione forzata conseguentemente alle stesse, chiunque vi abbia interesse può chiedere alla Corte d’Appello del luogo di attuazione l’accertamento dei requisiti del riconoscimento.
È altresì necessario notare, sempre ai fini dell’attuazione della decisione giudiziale, che la sentenza straniera costituisce titolo esecutivo.
 
In particolare, riguardo alle sentenze di divorzio bisogna distinguere tra quelle emesse in un Paese dell’Unione Europea,  oppure in un Paese extracomunitario. Per la trascrizione delle prime si deve far riferimento al Regolamento CE 2201/2003 del 27 novembre 2003, che prevede la possibilità, da parte dell’Autorità competente dello Stato membro in cui è stato pronunciata la sentenza di rilasciare, su richiesta dell’interessato, un certificato utilizzando un modello standard, che non dev’essere né legalizzato né tradotto. Per ciò che concerne le seconde, invece, si dovrà far riferimento alla disciplina generale ex lege 218/1995, senza trascurare la traduzione giurata e la legalizzazione della sentenza.
 
In quest’ultima fattispecie, un ruolo estremamente importante è attribuito all’Ufficiale dello Stato Civile italiano, che ha la competenza per procedere alla trascrizione della sentenza, una volta verificate le condizioni già precedentemente descritte.
 
Per ottenere il riconoscimento di queste sentenze, tuttavia, è necessario produrre ed esibire vari documenti ed è inoltre necessario che da questi ultimi risultino chiaramente i requisiti di uniformità con l’Ordinamento italiano e cioè in primisl’istanza di trasmissione della sentenza sotto forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio, nella quale si dichiara, appunto, che la decisione straniera sia conforme ai requisiti di cui all’art. 64 della L. 218/1995 (conoscibilità della sentenza da parte del destinatario, regolare costituzione delle parti in giudizio, rispetto del diritto al contraddittorio, idoneità al giudicato secondo la legge del luogo dov’è stata emessa tale sentenza, assenza di un processo avente il medesimo oggetto di fronte a un giudice italiano, conformità con l’ordine pubblico italiano) e la copia integrale della sentenza corredata di legalizzazione e di traduzione giurata in lingua italiana.
 
Ragione per cui, onde orientarsi tra queste insidie burocratiche, è opportuno rivolgersi a professionisti competenti in materia: sarebbe estremamente facile infatti, per un profano, imbattersi in costi inaspettati e, soprattutto, non riuscire a trovare l’uscita da un simile labirinto.
 
Avv. Giorgio Bianco 
Dott. Fabio Spina
Studio Legale G. Law