Il mandato di arresto europeo (m.a.e.) emesso dall'autorità giudiziaria italiana nella procedura attiva di consegna di cui agli artt. 28, 29 e 30 l. 22 aprile 2005, n. 69, e il provvedimento emesso dalla stessa autorità nella procedura di estensione attiva della consegna di cui agli artt. 32 e 26 della detta legge, non sono impugnabili nell'ordinamento interno, neanche a sensi degli artt. 111, co. 7, Cost. e 568, co. 2, c.p.p. Gli eventuali vizi possono essere fatti valere solo nello Stato richiesto, se e in quanto incidenti sulla procedura di sua pertinenza e secondo le regole, le forme e i tempi previsti nel relativo ordinamento.
La questione per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è “se la competenza funzionale ad emettere il mandato di arresto Europeo per l'esecuzione di una misura cautelare custodiate spetti al giudice che ha applicato la misura, anche laddove il procedimento penda davanti ad un giudice diverso, oppure al giudice che procede”.
L'attenzione deve essere focalizzata prioritariamente sull'ammissibilità del ricorso, in relazione ai motivi dedotti e alla natura dei provvedimenti impugnati.
L'ordinanza di rimessione ha circoscritto l'ambito di ammissibilità del ricorso all'ordine di esecuzione emesso dalla Corte di Appello di Napoli in data 24 Gennaio 2012, quale provvedimento direttamente ricorribile per Cassazione ai sensi dell'art. 568, comma 2, cod. proc. pen., poiché incidente sulla libertà personale dell'interessato, mentre ha escluso l'impugnabilità sia dell'ordinanza di consegna suppletiva concessa dall'autorità giudiziaria spagnola (Audiencia Nacional) con provvedimento n. 2/2012 del 10 Gennaio 2012, in quanto considerato insindacabile manifestazione di esercizio della sovranità del Paese richiesto della cooperazione, sia sulla scorta della concorde giurisprudenza di legittimità, del mandato di arresto Europeo emesso dalla Corte di Appello di Napoli in data 7 Giugno 2011.
In ordine al provvedimento dell'autorità spagnola, deve osservarsi che, in quanto manifestazione di esercizio della sovranità del Paese richiesto della cooperazione, esso certamente non può, in se stesso, essere soggetto a diretta impugnazione innanzi all'autorità giudiziaria italiana.
Nei suoi riguardi potrebbe porsi un problema di disapplicazione, per contrasto con norme inderogabili e principi fondamentali del nostro ordinamento.
Sta di fatto, però, che, al di là di un accenno del tutto generico a pregiudizi difensivi, il ricorrente non censura il provvedimento estero per profili potenzialmente forieri dell'incompatibilità anzidetta, ma pretende di invalidarlo per effetto dei presunti vizi del m.a.e. attivo con cui ne è stata fatta richiesta. L'esito perseguito presuppone evidentemente, a monte, l'impugnabilità, e, quindi, la  conseguente caducazione del provvedimento (m.a.e.) che dai detti vizi sia affetto.
Il discorso si sposta sulla verifica di tale impugnabilità.
Riguardo all'impugnabilità del m.a.e., va ricordato che, secondo il concorde indirizzo della giurisprudenza, nell'ambito della procedura attiva di consegna è possibile contestare, dinanzi all'autorità giudiziaria italiana, soltanto il titolo su cui si fonda il m.a.e., ma non direttamente quest'ultimo, che è atto in sé conseguenziale, specificamente indirizzato all'autorità estera in funzione dell'attivazione, da parte della medesima, della procedura di esecuzione; mentre tutte le questioni afferenti tale procedura possono e devono farsi valere nello Stato richiesto, secondo le regole, le forme e i tempi previsti dal relativo ordinamento.
Ne consegue che è nell'ambito di tali questioni, e nei modi indicati, che possono, se e in quanto incidano sulla procedura di esecuzione, essere fatti valere eventuali vizi del m.a.e..

Tale orientamento è senz'altro da condividere, in quanto si basa sulla corretta considerazione che il m.a.e. attivo è atto rivolto non al soggetto destinatario della misura, ma all'autorità estera, con carattere chiaramente accessorio e strumentale rispetto al provvedimento restrittivo di cui vuole conseguire la concreta esecuzione mediante la cooperazione di detta autorità. Conférma di tanto può rinvenirsi nelle disposizioni di cui agli artt. 29 e 31 della Legge n. 69 del 2005, che prevedono, rispettivamente, la fungibilità del m.a.e. con la segnalazione di ricerca nel Sistema Informativo Schengen (S.I.S.) e la sua immediata perdita di efficacia al venir meno del provvedimento restrittivo di base.
Per le dette caratteristiche, il m.a.e. attivo, non rientrante per sé in alcuna delle categorie di atti per le quali è sancita espressamente l'impugnabilità per Legge, non può, evidentemente, neppure essere considerato un provvedimento autonomamente incidente sulla libertà personale, agli effetti di quanto previsto dalla Costituzione, e 568, comma 2, c. p. p.
 L'illustrata conclusione appare in linea con la disciplina della decisione-quadro del Consiglio U.E. sul mandato d'arresto Europeo (2002/584/GAI del 13 Giugno 2002), nella quale non si contempla la previsione di specifici mezzi di impugnazione a tutela dei diritti e delle garanzie processuali delle persone oggetto della richiesta di consegna. Tale scelta, ispirata all'intento di evitare rischiose sovrapposizioni o interferenze, appare chiaramente volta a rispettare i meccanismi di impugnazione autonomamente esperibili in ciascuno degli ordinamenti coinvolti nel rapporto di cooperazione, nell'ambito delle fasi di rispettiva pertinenza.
In via generale, deve osservarsi che il caso oggetto di ricorso attiene non al m.a.e. attivo ordinario, finalizzato ad ottenere la cattura del consegnando, bensì a un m.a.e. utilizzato come veicolo per attivare la procedura di assenso alla estensione della consegna di cui agli artt. 32 e 26, comma 3, Legge n. 69 del 2005, necessaria al fine di superare gli effetti limitativi del principio di specialità.
Riguardo a tate principio, va ricordato che esso, nel regime del mandato di arresto Europeo, così come interpretato anche dalla Corte di Giustizia Europea, con Sentenza del 01/12/2008, non osta a che l'autorità giudiziaria del Paese che ha ottenuto la precedente consegna proceda nei confronti della persona consegnata anche per reati diversi da quelli oggetto della detta consegna e commessi anteriormente alla stessa, ma, preclude, soltanto, la possibilità di eseguire nei confronti della persona consegnata misure restrittive della libertà personale. In senso conforme va interpretata, anche per l'intervenuta pronuncia della Corte di Giustizia, che ha forza autoritativa per gli Stati membri la normativa interna di cui agli artt. 32 e 26, comma 2, lett. e), della Legge n. 69 del 2005.
Tanto precisato, si deduce che sia la previsione del p.4 dell'art. 27 della Decisione-Quadro, sia la norma attuativa interna del comma 3 dell'art. 26 Legge n. 69 del 2005, richiamata dal successivo art. 32, non prevedono formalmente, per la richiesta di assenso alla estensione della consegna, remissione di un nuovo apposito m.a.e.
La scelta appare senz'altro coerente con la funzione di tale strumento, che è quella di ottenere l'arresto del soggetto da parte dello Stato di rifugio, esigenza che non sussiste quando il soggetto sia stato già consegnato ed ivi più non si trovi.
Resta evidente che anche per la richiesta di assenso - il cui contenuto informativo corrisponde a quello del m.a.e. valgono pienamente, in relazione alla procedura attiva, i rilievi già fatti, in tema di impugnabilità, per il m.a.e. attivo.
Anche la richiesta di assenso è rivolta all'autorità estera e ha palese carattere di accessorietà e strumentante rispetto al provvedimento restrittivo, di cui vuole conseguire, nel procedimento relativo a reati diversi da quelli oggetto della precedente consegna del soggetto e commessi anteriormente a questa, la concreta eseguibilità, attraverso la rimozione, da parte della detta autorità, del divieto derivante dal principio di specialità.
Ferma restando l'esperibilità di tutti i rimedi previsti nei confronti del provvedimento restrittivo, non ci sono spazi per ritenere l'impugnabilità “interna” della richiesta di assenso in quanto tale, mancando al riguardo una statuizione espressa di Legge e non potendo la richiesta stessa considerarsi un provvedimento autonomamente incidente sulla libertà personale agli effetti delle previsioni di cui agli artt. 111, comma settimo, Cost. e 568, comma 2, c. p. p.
Anche in questo caso eventuali vizi dell'atto in esame potranno essere fatti valere, se e in quanto incidenti sulla procedura di rilascio dell'assenso, solo nello Stato richiesto, e secondo le regole, le forme e i tempi previsti net relativo ordinamento.
Il discorso che precede consente di enucleare il seguente principio di diritto: "Il mandato di arresto Europeo (m.a.e.) emesso dall'autorità giudiziaria italiana nella procedura attiva di consegna di cui agli artt. 28, 29 e 30 della Legge 22 Aprile 2005, n. 69, e il provvedimento emesso, eventualmente in forma di m.a.e., dalla stessa autorità nella procedura di estensione attiva della consegna di cui agli artt. 32 e 26 della detta Legge, non sono impugnabili nell'ambito dell'ordinamento interno, neanche a sensi degli artt. 111, comma settimo, Cost e 568, comma 2, c. p. p., i loro eventuali vizi potendo essere fatti valere solo nello Stato richiesto, se e in quanto incidenti sulla procedura di sua pertinenza, e secondo le regole, le forme e i tempi previsti nel relativo ordinamento”.
Dai rilievi esposti deriva l'inammissibilità di tutti i motivi di ricorso dedotti in relazione al provvedimento con cui si è formulata la richiesta di assenso, e miranti, attraverso la sua caducazione, a porre nel nulla lo stesso atto di assenso dell'autorità estera.
Si ritiene opportuno, per completezza, esaminare, fra tali motivi, quelli che, adducendo l'inesistenza, a monte, dello stesso potere di attivare la procedura attiva di estensione della consegna, potrebbero, se fondati, suscitare dubbi su un'eventuale abnormità del relativo provvedimento di avvio.
Il ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 721 c. p. p., 14 della Convenzione Europea di estradizione e 28, comma 1, della Legge n. 69/2005, in base all'assunto che, non risultando prestato il consenso alla celebrazione del processo per i fatti oggetto del presente procedimento, era inibito qualsiasi esercizio dell'azione penale nei suoi confronti. Questo inficerebbe in radice l'iniziativa cautelare e la correlata attivazione della procedura di estensione della consegna adottate nel caso di specie.
L'assunto, infondato in diritto, circa la portata “attenuata” del principio di specialità nel regime del mandato di arresto Europeo, è, altresì, coperto da preclusione endoprocessuale, per effetto della citata sentenza n. 39240 del 23 Settembre 2011, del diritto interno, si è rilevato che per i delitti di cui agli artt. 416-bis c. p. e 110, 629 c. p., 7 D.L. 13 Maggio 1991, n. 152 del 1991, commessi anteriormente alla consegna dello stesso effettuata dall'autorità spagnola in data 24 Marzo 2009 per i diversi reati di tentato omicidio e detenzione e porto d'arma, legittimamente è stato sottoposto a procedimento penale, condannato con Sentenza di primo grado del 22 Aprile 2010 e assoggettato a misura cautelare, temporaneamente sospesa.
Con altro motivo si è dedotto che il provvedimento con cui è stata sollecitata la consegna suppletiva era precluso dal fatto che il m.a.e., in esecuzione del quale era precedentemente avvenuta la consegna all'Italia, era ormai inefficace, essendo stato il ricorrente definitivamente assolto dai reati di tentato omicidio e detenzione e porto d'arma, cui tale consegna si riferiva.
Il motivo è palesemente infondato.
Da un lato, infatti, l'art. 31 della Legge 22 Aprile 2005, n. 69, richiamato a sostegno di esso, non viene qui per nulla in rilievo, posto che si riferisce, all'evidenza, alla situazione  in cui si verifichi, mentre è in corso l'esecuzione del m.a.e., il venir meno del titolo che ne è alla base, e non concerne quindi il caso in cui, espletata regolarmente la procedura di consegna, nello svolgimento del processo in funzione del quale essa è avvenuta si pervenga a una pronuncia assolutoria del consegnato.
Dall'altro, non c'è dubbio che il “legame” fra la consegna precedente e il diverso procedimento nel quale deve applicarsi una misura restrittiva, che incontra il limite derivante dal principio di specialità, per il cui superamento occorre la richiesta e la concessione di assenso dello Stato di esecuzione della prima consegna, non richiede affatto la pendenza in atto del procedimento cui quest'ultima afferiva, ma si basa semplicemente sul presupposto che il soggetto sia stato consegnato allo Stato richiedente e non ricorra alcuna delle condizioni di deroga al principio di specialità previste dal comma 2 dell'art. 26 della Legge n. 69 del 2005. Questa disciplina è posta a garanzia dell'interessato, che, altrimenti, sarebbe direttamente processabile in vinculis, senza alcun onere a carico dell'autorità procedente. La difesa, d'altronde, si è ben guardata dal contestare, ma ha anzi rivendicato, l'assenza delle menzionate condizioni di deroga, confermando in tal modo l'operatività del principio di specialità, comportante per sé la necessità e legittimità della procedura della richiesta di assenso.
L'assunto che la definitiva assoluzione dell'imputato dai reati per i quali era stato emesso il precedente m.a.e., avendo esaurito l'efficacia di quest'ultimo, lo avrebbe reso inidoneo a fondare il legittimo avvio della procedura di consegna suppletiva, appare del tutto avulso dalla disciplina e porterebbe alla conseguenza paradossale di privare l'interessato delle garanzie derivanti dal principio di specialità, non potendosi certo ritenere che, nella situazione data, si sarebbe dovuto procedere alla emissione di un vero e proprio m.a.e. attivo, in assenza dell'essenziale presupposto della presenza del soggetto nello Stato estero.
Resta da esaminare l'impugnabilità del provvedimento emesso dalla Corte d'Appello il 24 Gennaio 2012. Esso esprime nella sostanza il riconoscimento della cessazione della preesistente causa di sospensione dell'esecuzione della misura cautelare. Sotto tale profilo, per la diretta incidenza sullo status libertatis, se ne deve ammettere, come sostenuto nell'ordinanza di rimessione, la ricorribilità a sensi dell'art. 568, comma 2, c. p. p. Sennonché, nei confronti del provvedimento de quo, non sono stati dedotti vizi specifici, essendosi in sostanza affidato l'auspicato esito della sua caducazione all'accoglimento dei motivi con cui si è censurata l'attivazione della procedura di consegna da parte della Corte di Appello. L'evidenziata inammissibilità di tali motivi comporta, dunque, l'inammissibilità del ricorso anche in riferimento al provvedimento del 24 Gennaio 2012.
A seguito di ordinanza di rimessione della Sesta Sezione della Suprema Corte del 13 Marzo 2012, le Sezioni Unite sono state chiamate ad esprimersi sulla seguente questione: “se la competenza funzionale ad emettere il mandato di arresto europeo per l'esecuzione di una misura cautelare custodiate spetti al Giudice che ha applicato la misura, anche, ladove, il rocedimento penda davanti ad un Gudice diverso, oppure al Gudice che procede”.
La vicenda sottesa è particolarmente intricata ed aveva inizio il 24.03.2009, quando l'autorità spagnola consegnò all'autorità giudiziaria italiana un cittadino richiesto in esecuzione di un mandato di arresto europeo (m.a.e.) emesso sulla base di un'ordinanza di custodia cautelare per i reati di tentato omicidio, detenzione e porto d'arma.
Da tali reati lo stesso venne definitivamente assolto con Sentenza di Cassazione annullando rinvio la Sent. condanna emessa dalla Corte di Appello di Napoli del 17 luglio 2009.
Il Tribunale di Napoli, nell'ambito di un altro procedimento nei confronti dello stesso soggetto per i delitti di cui agli artt. 416-bis, 110, 629 c.p., 7 d.l. 13 Mggio 1991, n. 152,in ordine ai quali lo stesso era stato condannato con sentenza del 22 aprile 2010, il 25.03.2011 emise una nuova ordinanza di custodia cautelare, confermata in data 11.04.2011 dal Tribunale del Riesame di Napoli, che ne sospendeva però l'esecuzione, in attesa dell'attivazione della procedura di consegna suppletiva dalla Spagna. Il giudicante, infatti, rilevava che i reati oggetto della seconda ordinanza (per i quali non era stato prestato il consenso alla celebrazione del processo), erano stati commessi in epoca antecedente alla consegna effettuata dalla Spagna in esecuzione del m.a.e. emesso per i reati dai quali l'imputato era stato assolto. Il provvedimento venne confermato dalla Cassazione con sentenza del 23 settembre 2011, n. 39240.
Il 07.06.2011 la Corte di Appello di Napoli, alla quale nel frattempo erano stati trasmessi gli atti del secondo procedimento, emise un nuovo mandato di arresto europeo al fine di ottenere dall'autorità spagnola l'assenso alla consegna suppletiva, che l’Italia ottenne con ordinanza dell’Audiencia Nacional del 10 gennaio 2012, n. 2.
La Corte di appello di Napoli, conseguentemente, con provvedimento del 24 gennaio 2012 disponeva darsi esecuzione all'ordinanza custodiale del 25 marzo, notificando all’imputato ristretto in carcere, il m.a.e. emesso il 7 giugno ed il provvedimento di consegna suppletiva dell’Audiencia Nacional tradotto in lingua italiana.
Avverso tali provvedimenti il detenuto ricorreva per Cassazione, deducendo: 

1) violazione degli artt. 31 l. 69/2005 e 14 Conv. Europea di estradizione, in relazione all'art. 606, co. 1, lett. b), c.p.p., sull'assunto che il m.a.e. prodromico alla consegna suppletiva era precluso dal fatto che il m.a.e. in esecuzione del quale era precedentemente avvenuta la consegna all'Italia, era ormai inefficace, essendo stato il ricorrente definitivamente assolto dai reati di tentato omicidio e detenzione e porto d'arma, cui tale consegna si riferiva;

2) violazione dell'art. 28 l. 69/2005, in relazione all'art. 606, co. 1, lett. b), c.p.p., sull'assunto che la Corte di Appello di Napoli non era funzionalmente competente a provvedere alla emissione del m.a.e. inteso ad ottenere l'assenso alla consegna suppletiva, in quanto tale competenza è attribuita non al giudice presso cui è pendente il procedimento ma a quello che “ha applicato la misura cautelare”, ossia, nel caso di specie, al Tribunale.