L’obbligo di proteggere  preservare l’ambiente marino  è contenuto nella Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982 sul diritto del mare (artt.192 ss.) che impone agli Stati di adottare tutte le misure idonee e necessarie nel proprio ambito di sovranità per evitare il verificarsi di fenomeni di inquinamento a seguito di incidenti marittimi che provochino danni ad altri Stati nell’ambito della sovranità di questi ultimi.
A tal fine, agli Stati è demandato il compito di adottare sia a livello internazionale che nazionale regole uniformi  che mirino a prevenire, contenere e controllare l’inquinamento marino.
A livello internazionale, particolare disciplina è contenuta nella Convenzione di Bruxelles del 29 novembre 1969 sull’inquinamento da idrocarburi (CLC), in virtù della quale gli Stati contraenti e aderenti a tale Convenzione potranno adottare, in alto mare, le misure che sono necessarie a  prevenire, attenuare o eliminare i pericoli e i rischi connessi che derivino ai loro litorali da inquinamento da idrocarburi, trasportati come carico o come combustibile a bordo,  in seguito a sinistro marittimo. Tali misure, dispone la Convenzione, debbono essere connotate da proporzionalità e ragionevolezza in ordine alle probabilità del verificarsi del danno  e dell’efficacia degli interventi adottati. La responsabilità del proprietario della nave ha natura oggettiva, rispondendo egli anche per gli altri soggetti che a vario titolo hanno contribuito all’evento dannoso.  Eccezioni a tale tipo di responsabilità sono previste in caso di a) eventi bellici o fenomeni naturali aventi natura di forza maggiore, b) fatto doloso di terzi, c) colpa delle autorità preposte al mantenimento di fari o altri strumenti di aiuto alla navigazione, ad esempio carte nautiche che debbono essere sempre aggiornate, d) concorso di colpa del danneggiato per cui è esclusa o notevolmente diminuita la responsabilità del proprietario. Il sistema di responsabilità previsto dalla CLC prevede che i proprietari delle navi cisterna abbiano l’obbligo di dotarsi di copertura assicurativa, obbligo che viene certificato dallo Stato di immatricolazione della nave. La copertura assicurativa ha una importante duplice funzione: da un lato è garanzia di risarcimento delle pretese dei danneggiati, dall’altro è garanzia di contenimento entro un limite massimo di risarcimento, incrementato da un’ulteriore somma messa a disposizione in favore dei danneggiati dall’International Oil Pollution e alimentato  con i contributi degli Stati aderenti nel caso in cui il tetto massimo di risarcimento non sia sufficiente a soddisfare integralmente le richieste dei danneggiati oppure quando la responsabilità del proprietario della nave è esclusa, in virtù delle eccezioni viste sopra, o, infine, quando vi è insolvenza da parte del proprietario o del suo assicuratore o gli stessi non siano comunque in grado di adempiere alla pretesa risarcitoria.
Ma cosa si intende per danno risarcibile? La Convenzione CLC fornisce un’ampia nozione consistente non solo nella perdita  o danno al di fuori della nave di idrocarburi ma anche nel costo delle misure volte a prevenire o ridurre il danno connesso, c.d. misure preventive.  Tali misure possono essere indennizzabili quando abbiano avuto lo scopo di evitare o circoscrivere gli effetti dannosi dell’inquinamento e siano state adottate con i criteri suddetti di ragionevolezza e proporzionalità dopo il verificarsi di un incidente o di un grave e imminente pericolo di inquinamento.  Così, ad esempio, nel naufragio della petroliera liberiana “Braer”, vennero considerate rimborsabili a titolo di misure preventive le spese sostenute da un’associazione di pescatori dirette a sostenere una campagna pubblicitaria per fugare ogni dubbio sulla genuinità e qualità dei prodotti ittici locali.
Il Tribunale di Messina, invece, nel luglio 1986[1]affrontò il problema delle misure preventive distinguendo tra attività di prevenzione dell’inquinamento e attività di soccorso nel ben noto caso della petroliera “Patmos”. La sentenza del 30 luglio tenne distinte salvataggio e attività disinquinante, in quanto diverse per natura, scopi e disciplina.  Infatti, è essenziale distinguere se lo scopo della attività sia diretto al salvataggio della nave o del suo carico (per una maggiore ricompensa) o eliminare l’inquinamento del mare con il diritto al rimborso delle sole spese, escluso qualsiasi tipo di compenso. Distinta è anche la fonte normativa: le attività dirette al salvataggio trovano la loro disciplina nella Convenzione di Bruxelles del 1910, quelle dirette a prevenire o eliminare l’inquinamento nella CLC del 1969.
Dunque, il danno risarcibile comprende il danno sofferto  a seguito della perdita di un bene o del suo danneggiamento, nonché le spese incorse per la pulizia o la riparazione di beni contaminati da idrocarburi. Sono stati ritenuti risarcibili, ad esempio,  le spese sostenute per la sostituzione di attrezzature da pesca danneggiate dall’inquinamento così come i danni di natura psichica, quali stress, ansia, depressioneprovocati dall’evento inquinante.  Anche i danni da lucro cessante sono considerati risarcibili, ad esempio, il danno subito da un albergatore in conseguenza della temporanea chiusura del suo esercizio per consentire di liberare la strada di accesso dallo strato di idrocarburi che ivi si era depositato. A tale riguardo, ha destato maggiori problematicità il risarcimento del lucro cessante non direttamente collegato al danneggiamento fisico del bene ma quanto alla minore redditività o giro d’affari della propria attività imprenditoriale. In un caso di scuola (caso Haven), il Tribunale di Genova in data 5 aprile 1996[2]si è pronunziato a favore della risarcibilità di tale tipo di danno purchè venga assolto pienamente l’onere probatorio circa la sussistenza del danno e il nesso di causalità tra questo e l’incidente.
Ancor più problematico appare, invece, il risarcimento del c.d. danno ambientale, cioè il danno all’ambiente inteso quale risorsa naturale a prescindere da qualsiasi aspetto o utilità economica.  Secondo un orientamento d’oltreoceano, il danno risarcibile è corrispondente a quello per le spese sostenute per la realizzazione di un piano di risanamento ecologico. La giurisprudenza italiana, invece, prende spunto dalla nozione di ambiente contenuta nella L.349/1986, quale risorsa naturale, habitat naturale dell’uomo che ivi vive e agisce  e dove si esprime la qualità della vita umana. In questo senso, ancorché sia astrattamente concepibile come bene suscettibile di valutazione patrimoniale, la lesione ad esso provocata è risarcibile indipendentemente da un effettivo esborso o spesa, ritenendo che la perdita economica sia già consistente in una minor fruibilità delle risorse naturali da parte della collettività per via della lesione suddetta. In ogni caso, il Protocollo del 1992 allegato alla Convenzione CLC ha ritenuto risarcibile il danno ambientale nei limiti dei costi sostenuti per il ripristino dell’ambiente compromesso dall’inquinamento.
A livello nazionale, il legislatore italiano è intervenuto dapprima con le L. 979/1989 e 220/1992 (Interventi per la Difesa del mare) e, successivamente, con la L. 349/1986, già ricordata sopra,  istitutiva del Ministero dell’Ambiente e la L. 152/2006, c.d. “Codice dell’Ambiente”. Con la normativa da ultimo citata, il concetto di “difesa del mare” assume connotati molto ampi comprendendo in sé non solo la tutela dell’ambiente marino ma anche le attività marittime ed economiche ad esso connesso. La responsabilità di garantire un intervento immediato volto alla difesa del mare è demandata, ai sensi della L. 979/1982, a carico del comandante, dell’armatore o del proprietario della nave o del responsabile di impianti suscettibili di arrecare danno all’ambiente marino, attraverso l’impiego di idrocarburi o altre sostanze nocive o inquinanti, prevedendo la facoltà per l’Autorità Marittima di intervenire in sostituzione degli inadempienti, dopo aver proceduto a diffida a carico degli stessi per adottare tutte le misure ritenute idonee a prevenire il pericolo dell’inquinamento o a eliminare i danni già prodotti. Anche tale tipo di responsabilità, come giurisprudenza maggioritaria ha sostenuto, è di natura oggettiva, riguardando non solo il fatto proprio ma anche il fatto altrui (commesso, ad esempio, da preposti).
 
Il procedimento di risarcibilità è pressoché uniforme sia a livello internazionale e contenuto nella Convenzione CLC, sia a livello nazionale (artt.620-642 cod. nav.) di attuazione dei principi contenuti nella prima. E’ prevista, infatti, la costituzione di un fondo, mediante deposito in contanti, o più frequente fideiussione bancaria e la presenza dei requisiti per la limitazione della sentenza di apertura del procedimento relativo. Da tale sentenza è preclusa qualsiasi azione individuale da parte dei danneggiati, volta a ottenere indennizzi, in particolare azioni cautelari o esecutive; le relative domande devono essere proposte nell’ambito della procedura di limitazione. Segue la formazione di uno stato attivo e uno passivo in cui viene verificata l’entità e la sussistenza dei crediti ammissibili che si prescrivono in tre anni dalla data in cui il danno si è verificato.
Riguardo ai profili di responsabilità, si è già detto sulla natura oggettiva di tale responsabilità, nonostante la disciplina prevista dal diritto statunitense e quello comunitario sia differente.  La prima è più rigorosa della seconda ed è normativizzata dalla Oil Pollution Act (OPA), una legge federale emanata nel 1990. Essa contempla una serie di soggetti responsabili che vanno dal proprietario della nave, all’operatore e al conduttore a scafo nudo, di fatto allargandone il numero, così come amplia il concetto di danno risarcibile ricomprendendo anche il danno sofferto da privati (e non soltanto dall’intera collettività) per la minor fruibilità delle risorse naturali. Anche i limiti quantitativi di risarcimento sono nettamente più elevati, a partire dalla copertura assicurativa che per le navi che trasportano idrocarburi e che navigano nelle acque territoriali statunitensi deve essere di importo pari al limite di responsabilità.
Anche a livello comunitario, tuttavia, l’evoluzione della disciplina si è indirizzata verso un inasprimento delle misure preventive per la sicurezza della navigazione marittima e per la tutela dell’ambiente marino. Tale disciplina, in particolare, ha previsto l’adozione di tre c.d. pacchetti  normativi, il cui nome origina dalla nave protagonista dei sinistri che hanno poi condotto all’adozione di tali provvedimenti, ovvero Erika I, Erika II, Erika III. [3]
Il primo pacchetto contiene sostanzialmente norme riguardanti l’ispezione e il controllo delle navi, il secondo è diretto alla realizzazione di un sistema di monitoraggio del traffico navale e alla creazione di un’Agenzia europea per la sicurezza marittima. Con il terzo pacchetto, invece, sono state emanate norme ulteriori riguardanti  ispezioni, visite e controllo sulle navi, monitoraggio del traffico marittimo, inchieste sui sinistri marittimi.
L’opera normativa iniziata a livello comunitario per la sicurezza della navigazione e tutela dell’ambiente marino continua con la Direttiva 2005/05/CE con la quale vengono adottate sanzioni penali importanti per la repressione di scarichi di sostanze inquinanti da navi. A tal proposito, la Corte di Giustizia, con la sentenza24 giugno 2008 (causa C-188/07)[4], ha stabilito che idrocarburi accidentalmente sversati in mare, in seguito a naufragio, che si miscelino con acqua e sedimenti, non  più sfruttabili commercialmente  che vadano alla deriva verso le coste di uno Stato membro, siano da considerare “rifiuti” tali da imporre al venditore del prodotto e al noleggiatore della nave di sopportarne i costi per il relativo smaltimento.
 
La contaminación marítima en derecho español
La regulación de la contaminacion del mar persigue un doble objetivo: prevenir la contaminacion misma y reparar el daño causado. Esta disciplina, esta regulación, se compone de varios normas juridicas de nivel  internacional, Europeo ( UE) y nacional.
A nivel internacional, son dos los Convenios ratificados por Espana: Convenio de Bruselas de 1969  en materia de  responsabilidad y Convenio de Londres de 1976 sobre su limitación. Ambos Convenios se han visto afectados y reformados por los Protocolos del 1992 con la misma incidencia que en el derecho italiano. A nivel nacional, el legislador español ha introducido varias normas para limitar o reparar las consecuencias de los daños causados y ello ha sido  así en particular después el siniestro del “Prestige” en las costas gallegas [5].
 
En esto marco, es importante destacar el Real Decreto Ley 3/2005 [6]de 18 de febrero que  obliga a adoptar determinadas medidas relacionadas con los daños ocasionados en casos de accidente en alta mar que potencialmente  puedan causar contaminacion para hidrocarburos.
El régimen juridico  se caracteriza por los siguentes  elementos:
  1. Los daños o las perdidas tienen que derivar de fugas y descargas de hidrocarburos procedentes de un buque. Otras  sustancias, como pesticidas, sustancias quimicas o nocivas o peligrosas transportadas por mar no  se incluyen  y quedan fuera del campo de aplicacion del Convenio de Bruselas;
  2. La responsabilidad es exclusiva del propietario del buque, sea naviero o no, careciendo de legimación pasiva los auxiliares y cualquier otra persona, restringiéndose así la  legitimación al preferirse concentrar la responsabilidad en una persona precisa o por lo menos identificable;
  3. El Convenio de Bruselas configura la responsabilidad como objetiva y civil: objetiva porque se imputa solo por la contaminacion misma, sin tener cuenta de los parámetros como negligencia o culpa del propietario. Se exceptuan de  la responsabilidad objetiva: a)  los derivados de actos de guerra, hostilidades, insurrecion o causas de fuerzas mayor; b) la accion o omision provocada por un tercero; c)  el acto lesivo resultante del comportamento de cualquier Gobierno o otra autoridad; d) la accion ou omision del perjudicado. Y se configura como responsabilidad civil porque se refiere solo a los aspectos patrimoniales y economicos del daño causado, tanto por el sujeto agente como por la victima. 
  4. Es tambien una responsabilidad limitada. La indemnizacion no podrà ser equivalente a  los daños causados sino limitada a las cantidades maximas determinadas por la ley (CLC 1976). Sin embargo, hay una cautela para que estas cantidades puedan ser cubiertas y aplicadas a los siniestros: el propietario del buque tendrá que constituir un fondo ante el juez, a través de un déposito o garantia, cuya suma total sea equivalente al limite de la responsabilidad. Este depósito se perderá en caso  de que el propietario haya causado el dano con intención o temerariamente y conociendo las consecuencias.  Como en el efecto del Convenio de Bruselas, el Fondo tiene personalidad juridica y se nutre de las contribuciones de los miembros, ofrecendo proteción cuando la suma depositada  por el propietario del buque resulte insuficiente;
  5. La responsabilidad es legal y imperativa porque todos los contenidos son establecidos por ley y se imponen  legalmente. Así, no será posible aumentar los importes, o hacer responsables a otros sujetos no legitimados o crear otras excepciones.
  6. “Last but not least” la responsabilidad por la contaminacion es un sistema único, incompatible con otros tipos de responsabilidad en derecho maritimo, de acuerdo con el principio de especialidad habitual en este contexto.
 
 
Note
[1]Nel caso di questo incidente, l’allora Ministero della Marina Mercantile aveva richiesto un risarcimento per danno ambientale senza specificare né il tipo di danno lamentato, né come i danni richiesti fossero stati conteggiati. Il tribunale di Messina aveva respinto la domanda del Ministero, in quanto non aveva dimostrato di essere incorso in spese e aver subito danno emergente o lucro cessante e non ritenne risarcibile il danno alla flora ambientale. Ciò fece sorgere un conflitto tra le valutazioni dei giudici italiani e quelle degli Organismi del Fondo IOPC.
 
2Il contrasto in cui incorsero giurisprudenza italiana e comunitaria si ripresentò nel caso “Haven”, dal nome della nave che ebbe un incidente nei pressi di Genova. Anche in questa circostanza, lo Stato italiano reclamò 100 miliardi di lire per il danno all’ambiente che era stato creato, senza, tuttavia, aver indicato un metodo di calcolo dei danni, né il tipo. Esso faceva solo riferimento ai criteri dettati dalla L.349/1986. Il Fondo IOPC respinse la domanda del Governo italiano, adducendo come la non quantificabilità del danno avesse carattere punitivo e, pertanto, doveva essere trattata in ambito nazionale e non comunitario. In sostanza, mentre la CLC afferma il diritto al riconoscimento di un indennizzo per il danno ambientale, il Fondo lo esclude.
 
3  La Erika faceva parte di un gruppo di otto petroliere costruite ai cantieri Kasado in Giappone fra il 1974 e il 1976.il 12 dicembre 1999, mentre trasportava 30 mila tonnellate di petrolio, durante una tempesta, l'imbarcazione si spezzò in due, naufragando al largo del golfo di Guascogna e inquinando una vastissima area di costa, circa 400 km. Le conseguenze dirette dell'incidente furono lamorte di decine di migliaia di animali e disastrosi effetti sull'ecosistema, che quel tratto di costa sta pagando ancora oggi, dopo quasi quattordici  anni. La petroliera, di proprietà dell'armatore Giuseppe Savarese, era stata noleggiata dalla Total per 25 anni ma il colosso petrolifero, secondo l'accusa, non avrebbe mai adempito ai compiti di manutenzione. Il 25 settembre 2012, la più alta Corte francese ha confermato  la condanna contro la società Totalper il disastro ambientale, riconosciuta civilmente responsabile del disastro ecologico, per il quale dovrà pagare 375 mila euro di multa, confermando anche le condanne agli imputati italiani, l'armatore Savarese, il gestore Pollara e la società Rina, che aveva rilasciato il certificato di navigazione.
 
4 Nella sentenza, la Corte ha stabilito che una sostanza, come quella oggetto della causa principale, nella fattispecie olio pesante venduto come combustibile, non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti,come modificata dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE, nei limiti in cui è sfruttata o commercializzata a condizioni economicamente vantaggiose e può essere effettivamente utilizzata come combustibile senza necessitare di preliminari operazioni di trasformazione.
Idrocarburi accidentalmente sversati in mare in seguito a un naufragio, che risultino miscelati ad acqua nonché a sedimenti e che vadano alla deriva lungo le coste di uno Stato membro fino a raggiungere queste ultime, costituiscono rifiutiai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, come modificata dalla decisione 96/350, nei limiti in cui non possono più essere sfruttati o commercializzati senza preliminari operazioni di trasformazione.
Ai fini dell’applicazione dell’art. 15 della direttiva 75/442, come modificata dalla decisione 96/350, allo sversamento accidentale di idrocarburi in mare all’origine di un inquinamento delle coste di uno Stato membro:

– il giudice nazionale può considerare colui che ha venduto tali idrocarburi e noleggiato la nave che li ha trasportati come produttore dei rifiutiin questione, ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva 75/442, come modificata dalla decisione 96/350, e, in questo modo, come «precedente detentore» ai fini dell’applicazione dell’art. 15, secondo trattino, prima parte, di tale direttiva se tale giudice, alla luce degli elementi la cui valutazione è di sua esclusiva competenza, giunge alla conclusione che detto venditore-noleggiatore ha contribuito al rischio che si verificasse l’inquinamentodeterminato dal naufragio, in particolare se si è astenuto dall’adottare provvedimenti diretti a prevenire un tale evento, come quelli relativi alla scelta della nave;

– qualora risulti che i costi connessi allo smaltimento dei rifiutiprodotti da uno sversamento accidentale di idrocarburi in mare non sono oggetto di accollo da parte del fondo in parola o non possono esserlo a motivo dell’esaurimento del limite massimo di risarcimento previsto per tale sinistro e che, in applicazione dei limiti e/o delle esclusioni di responsabilitàvigenti, il diritto nazionale di uno Stato membro, compreso quello derivante da convenzioni internazionali, impedisce che tali costi siano sostenuti dal proprietario della nave e/o dal noleggiatore di quest’ultima, sebbene tali soggetti debbano essere qualificati come «detentori» ai sensi dell’art. 1, lett. c), della direttiva 75/442, come modificata dalla decisione 96/350, un siffatto diritto nazionale dovrà allora consentire, onde sia garantita una trasposizione conforme dell’art. 15 di tale direttiva, che i costi in questione siano sopportati dal produttore del prodotto che ha generato i rifiuticosì sversati. Tuttavia, conformemente al principio «chi inquina paga», tale  produttore può essere tenuto a farsi carico di tali costi solo se, mediante la sua attività, ha contribuito al rischio che si verificasse l’inquinamento prodotto dal naufragio della nave.
 
5 El desastre del Prestige se produjo cuando un buque petrolero resultó accidentado el 13 de noviembre de 2002, mientras transitaba cargado con 77.000 toneladas de petróleo, frente a la costa de la Muerte, en el noroeste de Espana, y tras varios días de maniobra para su alejamiento de la costa gallega, acabó hundido a unos 250 km de la misma. La marea negra provocada por el vertido resultante causó una de las catástrofes medioambientales más grandes de la historia de la navegación, tanto por la cantidad de contaminantes liberados como por la extensión del área afectada, una zona comprendida desde el norte de Portugal hasta las Landas de Francia. El episodio tuvo una especial incidencia en Galicia, donde causó además una crisis política y una importante controversia en la opinión pública.
 
6 Acuerdo de convalidacion del R.D. Ley 3/2005, de 18 de febrero, por el que se adoptan medidas en relacion con la prestacion de servicios portuarios basicos y se amplía el plazo para la transformacion de las sociedades estatales de estiba y desestiba en agrupaciones portuarias de interés economico («B.O.E.» n. 61 de 12 de marzo 2005)
 
 
 
 
 
 
Laura Galli
Avvocato in Milano
Dottoranda di ricerca in Diritto Internazionale e della Navigazione presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca.
Bibliografia Il Diritto Marittimo attraverso i casi e le clausole contrattuali – Carbone, Celle, Lopez de Gonzalo – Giappichelli Editore Torino, 2011
Compendio de Derecho Maritimo – Ignacio Arroyo Martinez – Editorial Tecnos, 2012
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 



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