La Kafala rappresenta uno degli istituti previsti dal diritto islamico (o meglio ad esso attribuiti) che maggiormente suscitano l’interesse degli studiosi del diritto di famiglia internazionale. L’istituto è divenuto talmente conosciuto che anche i non addetti ai lavori che abbiano intrattenuto nel corso della loro vita professionale rapporti con l’universo arabo , ne hanno quantomeno sentito parlare una volta.

Con il verbo kafala si indica in arabo il “garantire” o “l’assicurare qualcuno”. Dal verbo deriva il sostantivo che indica la garanzia, il pegno, la cauzione o anche la fideiussione. In epoca contemporanea, questa parola ha assunto un’accezione più specifica, poiché si riferisce principalmente alle misure di tutela nei confronti dei minori e costituisce oggi lo strumento principale per la protezione dell’infanzia in alcuni Paesi Islamici.

L’istituto della kafala è una forma di tutela sociale che mostra molte similitudini con il nostro istituto dell’affido. A differenza dei sistemi occidentali, l’adozione (conosciuta in arabo con il termine “Tabanni”) non solo non è contemplata, ma è addiritura vietata nel diritto islamico, tuttavia non tutti i Paesi di ispirazione musulmana ne hanno negato l’introduzione nel proprio ordinamento (vedi la Tunisia).

Il motivo principale di tale divieto si esplica con la volontà di preservare e garantire la maggior importanza data ai rapporti sanguinei tra genitori e prole. Il divieto viene espressamente enunciato nel Corano (Sura 33 vv 4-5 e 37-40), fonte primaria del diritto islamico, mentre maggiori aperture all’adozione si presentano nella Sunna.

Conseguentemente, per garantire comunque una protezione sostitutiva della famiglia ai minori privi di genitori, i Paesi musulmani hanno provveduto con la kafala.

La Kafala è dunque un’istituto presente nel diritto commerciale che è stato riadattato al diritto di famiglia. È stato applicato alla tutela dei minori per esprimere l’atto con cui un soggetto (kafil), sottoscrivendo un contratto (accettando le conseguenti obbligazioni contrattuali), si impegna ad assumersi tutti gli oneri morali ed economici di un minore (makfoul) che è senza tutela, facendo le veci dei genitori di quest’ultimo.

Di norma il kafil  è rappresentato da un parente che curerà la crescita e l’istruzione del makfoul, esattamente come farebbe un genitore con il proprio figlio.
Presupposti essenziali dell’applicazione dell’istituto sono la dichiarazione di abbandono del minore, da parte del Tribunale dei Minori competente, e l’accertamento dei requisiti necessari in capo al Kafil.

A differenza dell’adozione, prevista per un periodo di tempo illimitato e che crea rapporti di filiazione tra adottato ed adottante, e dell’affidamento, che ha una durata solitamente breve, la Kafala viene meno solo al raggiungimento della maggiore età da parte del minore ed in questo caso quest’ultimo non riceve in alcun modo il cognome del suo kafil (affidatario).
Inoltre, con la kafala, il minore non recide i rapporti creatisi alla propria nascita con la famiglia di origine, così come non potrà, al contempo, acquisire lo status di erede o accampare qualsiasi diritto successorio nei confronti del proprio Kafil.

Nonostante queste differenze sostanziali, anche la kafala, come l’affidamento e l’adozione, prevede che la stessa venga disposta a seguito di un provvedimento giudiziario che può derivare da un accordo tra affidanti e affidatario (quando ad esempio i genitori naturali non riescono ad adempiere ai propri doveri genitoriali e necessitano di affidare il minore ad un terzo), oppure d’ufficio (nei casi in cui si accerti lo stato di abbandono del minore).
Come summenzionato la Kafala può essere anche consensuale oltre che giudiziale, ovvero basata su un accordo tra la famiglia di origine e quella d’accoglienza, siglato da un giudice o da un notaio. Ma ogni Paese prevede una propria normativa per disciplinare questo istituto, facendo emergere a volte delle differenze significative.

Kafala in alcuni Paesi Arabi:
Nei Paesi arabo-musulmani le legislazioni contemporanee sono generalmente molto simili in materia di kafala. L’istituto viene collocato comunemente da quasi tutte le giurisdizioni nel Codice dello Statuto Personale. Il bene del minore e la sua tutela sono i punti cardine di ogni giurisdizione in relazione alla kafala.

In Tunisia:
Come già anticipato, la Tunisia è uno dei pochi Paesi musulmani che ammette l’adozione.
La kafala, nel Paese del Gelsomino, consiste in un contratto con cui un soggetto capace di intedere e di volere, o un’associazione, si impegnino, dinnanzi a due notai, a prendersi cura di un minore fino al compimento della maggiore età. La kafala può tuttavia terminare anche prima del raggiungimento dei 18 anni, nel caso in cui dovesse rivelarsi nociva agli interessi superiori del minore.
La Tunisia ha regolato la Kafala con la Legge n. 27 del 4 marzo 1958 (artt. 3-7)

In Libia:
La kafala in questo Paese può istruirsi solo in caso di minore abbandonato e ove i genitori siano ignoti. Il Kafil sarà in questo caso colui che ha trovato il minore e richieda di prendersi cura di lui, almeno finché non venga “rivendicato” da altri. Per poter procedere alla kafala è necessario il rispetto di alcuni requisiti. Il Kafil deve essere Libico e musulmano, con uno status economico-finanziario solido, di riconosciuti valori morali e di età non superiore ai 50 anni.
In Libia  è il Codice dello Statuto Personale a disciplinare l’istituto con l’art. 60. Nel tempo sono intervenute differenti riforme che hanno ampliato la portata della norma.

In Arabia Saudita:
In questo Paese le condizioni previste per la Kafala sono le seguenti: la famiglia di accoglienza deve essere di nazionalità saudita, composta da marito e moglie e quest’ultima non deve avere più di 50 anni.  La famiglia deve essere sottoposta ad una visita medica per accertarne lo stato di salute. I bambini con meno di sei anni non devono superare il numero di tre componenti all’interno del nucleo familiare. Infine, dovrà essere valutato attentamente che non vi sia una colorazione della pelle troppo differente tra la famiglia d’accoglienza ed il minore accolto.

In Egitto:
Nel Paese dei Faraoni la Kafala viene rappresentata, ed anche definita, come usra badila (famiglia sostitutiva). Secondo la legislazione egiziana infatti la Kafala rimane legata al concetto di garanzia/fideiussione previsto nel diritto commerciale. Pertanto la denominazione kafala non viene mai citata, ma si parla sempre espressamente di usra badila. De facto quest’ultima è la Kafala. La peculiarità egiziana, nella tutela del minore che necessità di esser affidato ad un’altra famiglia, è insita nel divieto di Kafala sotto i due anni di età. Infatti in questo periodo di tempo, il minore ha la necessità di essere allattato dal seno della madre naturale (ove presente).
In Egitto, la usra badila è disciplinata dalla Legge n. 12 del 1956 agli artt. 46-49.

Nel Kuwait:
Anche nel Kuwait non si parla espressamente di Kafala, quanto piuttosto di Ihtidhan (tradotto dall’arabo “abbraccio”). Il Kafil deve essere un musulmano e cittadino del Kuwait. Non deve necessariamente trattarsi di una coppia. Lo stesso può essere sia celibe, sia coniugato, sia divorziato. Qualora il Kafil sia una donna, la stessa deve avere una buona reputazione, un’elevata capacità finanziaria ed essere residente nel Kuwait. Può essere sia vedova, sia divorziata. Come per gli altri Paesi vi è il divieto di trasmssione del cognome del kafil al minore, ma è possibile il cambiamento del nome.

In Algeria:
Il Paese delle volpi del deserto prevede in maniera espressa la gratuità dell’istituto e consente al minore, una volta raggiunta l’età di 7 anni e quindi una maggior capacità di discernimento, la possibilità di decidere se rientrare o meno nel nucleo familiare di origine.
Oltre ai classici richiesti al Kafil, se ne richiede anche la cittadinanza algerina.
In Algeria la Kafala è disciplinata dalla Legge n. 11 del 9 giugno 1984 agli artt. 116-125.
 
 
In Marocco:
La kafala in Marocco è del tutto differente dall’istituto conosciuto negli altri Paesi arabo-musulmani. Infatti è molto simile all’adozione, in quanto prevede la possibilità per il Kafil di trasmettere il proprio cognome al minore, così come permette di nominarlo suo erede, creando dunque un vero e proprio rapporto di filiazione parificato alla filiazione naturale.
In Marocco la Kafala è disciplinata dalla Legge n. 1-93-165 del 10 Settembre del 1993, poi abrogata e sostituita dal Dahir n. 1-02-172 del 13 giugno 2002, relativo alla promulgazione della Legge n. 15-01.

Kafala e ordinamento italiano
Poiché il nostro ordinamento non prevede l’istituto della kafala, si riscontrano numerosi problemi nel riconoscimento di provvedimenti giudiziari stranieri in Italia relativi a questo istituto.

Al vuoto normativo sulla materia ha cercato di porre rimedio la Suprema Corte di Cassazione con decisioni a volte contrastanti. Quest’ultima, con la sentenza 21395/2005, escludeva il riconoscimento del potere di rappresentanza del kafil sul makful nel territorio italiano. Con sentenza 7472/08, la Suprema Corte riconosceva espressamente la Kafala come un legame tale da giustificare un ricongiungimento familiare, permettendo dunque al minore di raggiungere la propria famiglia di accoglienza in Italia. In questo caso, si chiarisce, che la famiglia di accoglienza aveva cittadinanza straniera. Sulla scorta di questo orientamento si è espressa gran parte della giurisprudenza di merito assimilando la kafala all’affidamento.
Nel caso in cui il Kafil sia un cittadino italiano (di origine marocchina), invece, la Suprema Corte si è espressa contrariamente a quanto soprariportato, non riconoscendo una sentenza marocchina che istituiva la Kafala con un minore marocchino. La sentenza 4868/10 veniva emessa in tal senso sull’assunto che ai cittadini italiani deve essere applicato il diritto italiano.

Infine, la Suprema Corte di Cassazione si esprimeva, con sentenza 21108/2013 a sezioni unite, sul tema dichiarando che “non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore cittadino extracomunitario, affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di "kafalah" pronunciato dal giudice straniero, nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano, ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito”.

Come si può facilmente evincere, dalle decisioni succitate, la kafala non garantisce al minore gli stessi diritti previsti in Italia in caso di adozione, e allo stesso tempo presenta congrue differenze con la pratica italiana dell’affidamento, onde per cui si rende necessario uno studio accurato del singolo caso che tenga conto, tra le altre, delle differenze legate allo Stato di appartenenza di Kafil e minore.

Urge dunque una riflessione comune che favorisca un dibattito costruttivo non solo in Italia ma in tutta Europa per garantire conformità di giudizio a fronte di una congiuntura storica che ci pone di fronte a flussi migratori senza precedenti. La tutela dei migranti minori non accompagnati passa anche attraverso un'interpretazione condivisa della kafala in nome del diritto di vivere un’esistenza serena per coloro che hanno perso la famiglia e della lotta al traffico di minori.
 
Avv. Giorgio Bianco
Studio Legale
Giambrone Law