I rapporti commerciali internazionali sono caratterizzati da una mancata omogeneità delle discipline dei rispettivi paesi contraenti. Un intensificarsi di questi rapporti ha fatto si che nascesse un’esigenza di uniformità di determinati rapporti giuridico-commerciali, così nel 1980 a Vienna le Nazioni Unite sottoscrivevano la Convenzione sulla vendita internazionale.

Il lungo cammino che ha portato alla Convenzione di Vienna è iniziato nel lontano 1929 con la creazione di un comitato per la redazione di una proposta di “legge” uniforme sulla vendita.

Dopo l'elaborazione di una serie di progetti, si giunse finalmente nel 1964 all'adozione delle due Convenzioni dell'Aja riguardanti rispettivamente la legge uniforme sulla vendita internazionale e quella sulla formazione dei contratti di vendita internazionale. Le Convenzioni dell'Aja furono adottate da pochi Paesi.

Successivamente, la Commissione delle Nazioni Unite sul diritto commerciale internazionale decise di occuparsi dell'armonizzazione delle norme sulla vendita internazionale, la prima idea fu quella di promuovere una più ampia adesione alle Convenzioni dell'Aja. Tuttavia, tale soluzione si rivelò improponibile, in quanto, numerosi Paesi che non avevano partecipato alla redazione delle suddette Convenzioni, rifiutavano per principio di aderirvi. Si decise pertanto di creare un gruppo di lavoro incaricato di procedere alla rielaborazione di tali testi. Il progetto fu presentato all'Assemblea generale dell'ONU che decise, alla fine del 1978, di convocare una conferenza internazionale per l'esame del progetto.

La conferenza si è tenuta a Vienna dal 10 marzo all'11 aprile 1980. Hanno partecipato alla stessa ben 62 Stati e 8 organizzazioni internazionali. Essa ha portato all’elaborazione del testo definitivo della «Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di merci».

 

La Convenzione si fonda su alcuni principi cardine quali il ricorso a criteri di equità e «ragionevolezza» nella determinazione degli obblighi delle parti (con il conseguente rinvio giurisprudenziale) e il «favore del compratore» che informa il complesso delle disposizioni convenzionali.

L'ambito di applicazione della Convenzione è limitato alle vendite «internazionali», cioè a contratti stipulati tra soggetti residenti in Paesi diversi. Se entrambi i Paesi delle controparti hanno aderito alla Convenzione, questa opera automaticamente; se invece ha aderito uno solo dei Paesi, la Convenzione si applica se le norme di diritto privato internazionale stabiliscono che sia applicabile la legge di quello Stato.

La convenzione essendo per sua natura il risultato di una mediazione di più ordinamenti giuridici diversi non trova la sua applicazione in determinate ipotesi espressamente riportate, quali:

- le vendite per uso personale (prevalgono le forme di tutela del consumatore previste dagli ordinamenti nazionali);

- alcuni tipi particolari di vendite (all'asta, giudiziarie, di valori mobiliari, di navi, di energia elettrica, ecc.);

- le forniture di merci che accompagnano delle prestazioni di servizi senza rappresentare una parte sostanziale dell'obbligazione (situazione configurabile come appalto);

- la disciplina degli aspetti giuridici diversi dalla formazione del contratto e dagli obblighi delle parti (ad esempio, gli effetti del contratto sul passaggio della proprietà sono disciplinati dalle norme applicabili di diritto privato).

Da una prima osservazione della Convenzione possiamo notare come essa non dia una definizione espressa di compravendita ma la identifica in negativo, cioè dichiarando cosa non è, ai fini dell’applicazione della convenzione, un contratto di compravendita. La Convenzione anche se non da una definizione di compravendita disciplina alcuni suoi punti fondamenti quali:

- la proposta contrattuale e la sua accettazione, che può consistere anche in un comportamento concludente. L'accettazione con modifiche comporta una controproposta, che dev'essere a sua volta accettata;

- la forma del contratto, che è libera, in linea di principio (gli Stati che prevedono la forma scritta possono comunque non applicare il principio di libertà di forma), pur essendo prevista la specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie;

- gli obblighi del venditore, che sono la consegna, nel luogo e alla data stabiliti, della merce priva di vizi materiali e di vincoli o pretese di terzi, nonché l'effettivo trasferimento della proprietà al compratore;

- gli obblighi del compratore, che sono il pagamento del prezzo e la presa in consegna della merce;

- i rimedi per inadempimento del venditore, cioè, alternativamente, la richiesta di adempimento (con eventuale sostituzione della merce non conforme), la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo; in aggiunta a questi rimedi il compratore può richiedere il risarcimento del danno.

La Convenzione, come detto pocanzi, è frutto di una mediazione fra più ordinamenti giuridici ma in particolar modo di due macro sistemi profondamente diversi tra di loro quali il sistema di Common Law e quello di Civil Law. Elemento che caratterizza il carattere compromissorio della Convenzione e il ricorso molto frequente al concetto di ragionevolezza ed altre nozioni vaghe e generali. Questa tecnica legislativa, che implica, di fatto, un rinvio alla giurisprudenza per la determinazione dei contenuti delle singole norme, presenta l'indubbio vantaggio di consentire l'elaborazione di regole più duttili e meglio adattabili alle circostanze del caso di specie. Ciò è particolarmente importante nel contesto di un contratto come la compravendita, che copre realtà profondamente diverse (soprattutto in relazione ai differenti tipi di merce), che mal si prestano ad essere disciplinate da regole rigide, applicabili uniformemente in tutte le situazioni. Così, ad esempio, un termine fisso per contestare i vizi, come quello di otto giorni previsto dal nostro codice civile, potrà risultare troppo breve in certi casi e troppo lungo in altri; invece un termine flessibile, come appunto il termine «ragionevole» previsto dalla Convenzione, permetterà ai giudici di procedere alle opportune differenziazioni, a seconda delle esigenze dei diversi settori economici.

Quanto detto significa, però, che la Convenzione assumerà contorni più precisi solo in seguito all'affermarsi di precisi orientamenti giurisprudenziali che colmino gli spazi lasciati volutamente aperti dal legislatore. Sotto questo profilo è essenziale seguire attentamente gli sviluppi della giurisprudenza, non solo a livello interno, ma anche nei differenti Stati che aderiscono alla Convenzione. Infatti, pur essendo la Convenzione una legge «nazionale» (in quanto inserita nell'ordinamento interno di ciascuno Stato contraente), l'art. 7 della stessa espressamente stabilisce che «nell'interpretare la convenzione, si deve tener conto del suo carattere internazionale e della necessità di promuovere l'uniformità della sua applicazione».

 

Innanzitutto va chiarito che la Convenzione si applica alle vendite «internazionali», cioè ai contratti di compravendita tra parti di diversi Paesi: una vendita «interna» (cioè tra soggetti dello stesso Stato) resta disciplinata dalla legislazione non unificata (ad esempio, per quanto riguarda l'Italia, dalle norme del codice civile).

Per determinare il carattere internazionale della vendita si fa riferimento alla sede d'affari delle parti (art. 1): se queste si trovano in due Stati diversi, la vendita è internazionale (con la sola eccezione del caso in cui tale situazione non risulti dal contratto o da altri elementi: art. 1.2 della Convenzione); se invece le parti hanno la rispettiva sede nello stesso Stato, la vendita è «interna», senza che rilevino altri elementi di internazionalità come, ad esempio, il fatto che la merce debba essere trasportata da uno Stato all'altro o che l'offerta o l'accettazione siano state effettuate in Stati diversi; elementi che, al contrario, erano considerati rilevanti nella Convenzione dell'Aja del 1964.

Gli artt. 14-24 della Convenzione (parte seconda) disciplinano la formazione del contratto di vendita.

Le norme in questione definiscono innanzi tutto la nozione di proposta contrattuale (art. 14), distinguendola dal mero invito ad offrire, e determinando le condizioni per un eventuale ritiro o revoca della stessa (artt. 15 e 16).

Per quanto riguarda l'accettazione, l'art. 18 chiarisce che questa può consistere sia in una dichiarazione che in un comportamento concludente, essendo però inteso che il silenzio e l'inattività non costituiscono di per sé accettazione. La Convenzione mantiene sostanzialmente il principio, tradizionalmente riconosciuto nei vari ordinamenti giuridici, per cui l'accettazione con modifiche comporta una controproposta, che dev'essere a sua volta accettata. Infatti, la deroga a tale principio, introdotta dall'art. 19.2, che consente la formazione del contratto anche in caso di accettazione modificativa, ove le modifiche non alterino sostanzialmente i termini della proposta, è di portata più che altro teorica, tenuto conto che l'art. 19.3 considera come alterazioni sostanziali praticamente tutte le modifiche possibili (prezzo, pagamento, quantità, qualità, luogo e tempo della consegna, ecc.).

È in particolare da escludere che il principio dell'art. 19.2 sia applicabile nel caso di condizioni generali contrastanti (cioè predisposte rispettivamente dal venditore e dal compratore) che sempre differiscono sui punti considerati sostanziali dalla Convenzione. Ne discende che, in caso di successivi scambi di condizioni contrapposte, prevarranno quelle spedite per ultime, ed accettate attraverso un comportamento concludente della controparte (ad esempio spedizione della merce, o - al contrario - presa in consegna).

L'art. 11 stabilisce espressamente che il contratto di vendita non necessita della forma scritta. È da ritenersi (però mancano al momento precedenti giurisprudenziali in merito) che il principio della libertà di forma affermato nella disposizione citata prevalga anche sull'art. 1341 del codice civile che prevede la specifica approvazione scritta (doppia firma) delle clausole vessatorie contenute in condizioni generali.

L'art. 12, tuttavia, prevede la possibilità, per gli Stati che richiedono la forma scritta, di non applicare - in seguito a riserva ai sensi dell'art. 96 - il principio della libertà di forma. Di tale possibilità risultano aver fatto uso Argentina, Bielorussia, Cile, Estonia, Lettonia, Lituania, Ucraina, Ungheria.

L'art. 13 della Convenzione equipara espressamente il telegrafo ed il telex alla forma scritta. Nulla è detto a proposito del telefax: però la ratio della norma (chiarire il carattere scritto di documenti non muniti di firma autografa, come appunto il telegramma ed il telex) porta a ritenere che il telefax risponda a maggior ragione ai requisiti della forma scritta.

Ai fini pratici si consiglia lo studio degli articoli della Convenzioni riguardanti la conformità del prodotto e degli obblighi a carico delle parti. I temi sopra elencati saranno oggetto di approfondimenti di questa guida legale.