Il tema della videosorveglianza nei luoghi di lavoro è un tema discusso ed attuale rispetto al quale appare forte la tensione con il diritto alla privacy. Di recente la Corte di Cassazione, impiegando un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha ritenuto corretto che i giudici di merito avessero utilizzato le riprese video per giungere ad un giudizio di penale responsabilità, secondo il quale sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all’interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non fanno divieto dei cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio.
Né, ovviamente, ha alcuna incidenza negativa sulla legittimità delle videoriprese effettuate, la circostanza – la cui sussistenza è stata, tra l’altro, affermata apoditticamente – che le riprese siano state eseguite non in maniera consequenziale, non progressivamente, ma solo a giorni ed orari scelti dai titolari dell’azienda.
L’art. 4 dello “Statuto dei Lavoratori” benché con le modifiche introdotte dal Jobs Act, continua a vietare l’uso di telecamere per il controllo a distanza dei lavoratori, la giurisprudenza penale, dal canto suo, permette l’installazione di un sistema di videosorveglianza laddove il datore di lavoro sospetti una condotta illegale da parte del dipendente, al fine di difendere il patrimonio aziendale.
Quanto sopra è stato deciso dalla Corte di Cassazione Seconda Sezione Penale con sentenza n. 4367 del 2018.