............                           
In aggiunta a quanto finora scritto, il sottoscritto Patrono, in relazione all’istanza formulata dagli avv.ti di parte attrice del 6/2/13 e alla conseguente determinazione adottata con il decreto del Preside del 28/2/13, espone le proprie considerazioni, opponendosi all'espunzione dei documenti. 
Si ricorda che con la suddetta istanza, gli avv.ti di p.a. hanno sostenuto che:

-    il deposito di documenti consistenti in “alcune pagine di facebook” ha costituito violazione alla normativa sulla privacy in relazione alla teste ...... (e figli), trattandosi di informazioni tratte senza il consenso degli interessati e  riservate “al circolo di persone” alle quali esse sono  destinate;
-    il contenuto della documentazione depositata è offensivo, calunnioso, ingiurioso, nei confronti dell'attore.
-    l’uso delle informazioni relative alla documentazione  è illegittimo e non autorizzato;
-    è intendimento della teste di sporgere querela in sede penale per il reato di diffamazione ex 595 cp;
-    trattasi di prove addotte a scopo dilatorio a norma can.157§ 3  Istr. Dignitas Connubi (in realtà è u articolo!);
-    tali  prove depositate  agli atti in data 14.01.2013 non appaiono  utili per la causa di nullità e quindi non lecite a norma can. 1527  § 1 CIC e art. 157 Istr. Dignitas Connubi. Si chiede pertanto la espunzione della documentazione dagli atti.

Le suddette affermazioni risultano del tutto prive di pregio, atteso che:

1) In primo luogo, come a tutti noto, Facebook è un social network al quale tutti possono aderire attraverso la creazione di un “proprio profilo” ed il conseguente inserimento di dati, commenti, fotografie, notizie anche a carattere personale. 
Si premette che ogni utente di Facebook sia nel creare il proprio profilo, sia riguardo al Diario e album foto oltre alla condivisione di hobby, musica, film (classificati nel “Mi piace”) ha libera facoltà di scegliere di rendere “visibile a tutti” oppure soltanto a “determinate persone”, i dati, le foto e i messaggi di volta in volta inseriti; le applicazioni a tale riguardo sono molto semplici e chiare, infatti Facebook ha rilasciato ai propri utenti una normativa sull'utlizzo dei dati inserita in forma ridotta (cfr. allegato alla presente per maggiori precisazioni).

Pertanto si deduce in modo chiaro che in Facebook è facile rendere visibile solo a chi si desidera ciò che viene creato per libera scelta dall'utente ed  inoltre è possibile controllare i post in cui ti taggano gli amici prima che vengano utilizzati sul proprio diario e cancellare foto o altro dal Diario o dall'album già creato. 
............ Tali pagine provano l'amicizia fra le due testimoni del processo canonico che sono amiche intime di lunga data contrariamente a quanto dichiarato dalla teste nella sua deposizione che fa rifermento ad una conoscenza superficiale avvenuta tra loro nel 2011, in occasione di un suo ricovero ospedaliero ( cfr.....). Le suddette  pagine Facebook sono documenti pubblici, come già spiegato in precedenza, e  quindi risulta nella piena disponibilità delle parti chiederne l'ammissione agli atti, in quanto semplice esercizio del proprio diritto di difesa. Inoltre tali pagine sono anche utili alla causa per provare l'inattendibilità delle dichiarazioni rilasciate dalla difesa attorea. L'istanza dei patroni di p.a. è del 06.02.2013 ma le stesse pagine di facebook di cui noi abbiamo chiesto l'annessione risultano  al 19.03.2013 (come da fotocopie allegate) ancora  disponibili ad essere visualizzate da tutti; motivo per il quale abbiamo ritenuto doveroso ai fini dell'accertamento della verità, unico nostro scopo in codesto procedimento, inserire tali documenti a integrazione del presente restrictus, in quanto prove utili, lecite e necessarie,  per consentire ai Giudici una più corretta visione dell'intero materiale probatorio e di conseguenza giungere ( sempre tenuto conto il dubbio formulato ad inizio istruttoria ), ad una formulazione valida della decisione conclusiva! 
Si precisa, in conclusione, che la documentazione prodotta dalla parte convenuta il 14.01.2013 costituisce la stampa delle pagine Facebook “Pubbliche”, cui qualsiasi utente del social network può liberamente visualizzare.  Ne deriva da ciò che nessuna violazione risulta essersi verificata essendosi limitata la sottoscritta,quale patrono di p.c., dunque, alla mera produzione documentale di notizie che gli stessi interessati, con la loro pubblicazione, hanno sostanzialmente acconsentito a far si che potessero essere divulgate e conoscibili da un numero sterminato di persone (e cioè tutti gli iscritti a Facebook).                                                         
Monsignor Paolo Rigon, vicario giudiziale del tribunale ecclesiastico della Liguria, nella sua relazione in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario del Tribunale genovese  nel febbraio 2012 ha dichiarato :”Nella società dei social network, della comunicazione globale, che mette tutto in piazza, nel segno della trasparenza (apparentemente) assoluta, ... la piazza (virtuale) diventa sempre più spesso il luogo dove si scoprono tradimenti (reali) ...” (cfr. Il Secolo XIX del 18.02.2012). Il risultato diventa (talvolta) dolorosamente reale, infatti Mons. Rigon aggiunge: ‘Sulle nostre scrivanie e nei fascicoli del Tribunale si stanno moltiplicando le fotocopie delle pagine di Facebook allegate alla documentazione come motivo di prova‘( ib.).
La rete è prodiga di infomazioni “sensibili”,  pertanto le pagine di facebook sono prove legittime, lecite e utili alla causa, per cui è ormai prassi dei tribunali ecclesiastici ammetterle ed inserirle negli atti anche per scoprire la malafede e l'inganno dell'altra parte, presupponendo che tutti abbiano come unico interesse il raggiungimento della verità!                                        
Si riporta un interessante articolo che riguarda una sentenza in materia di diritto del coniuge a reperire prove per sostenere la nullità di un matrimonio nel processo canonico: “Utilizzare dati della controparte e fotocopiarli per chiedere l'annullamento del matrimonio religioso al tribunale ecclesiastico non costituisce violazione della privacy. Prevale infatti   sul diritto alla riservatezza il diritto fondamentale di libertà religiosa che si esprime in questo caso nell'agire in  giudizio e difendersi anche innanzi ad un Tribunale ecclesiastico”. Il giudice spiega che bisogna valutare se il diritto del marito di «agire innanzi alla giurisdizione ecclesiastica» sia «di rango pari a quello alla riservatezza del coniuge e, come tale, idoneo a giustificare il trattamento di dati sensibili senza il consenso dell'interessato (cfr. III sez. penale del Tribunale di Milano sul sito www.cattoliciromani.com).  Quindi  fotocopiare documenti  tratti da Facebook per sostenere la validità del matrimonio religioso non costituisce violazione della privacy perchè “l'interesse  all'accertamento giudiziale della validità del vincolo matrimoniale rientra nella libertà dell'esperienza religiosa che rappresenta, sotto il profilo giurico costituzionele, un aspetto della dignità della persona umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile dall'art. 2 della Costituzione.                                                           
Nel corso dell’assemblea dell’Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e i minori, riunita a Palermo, l’avvocato Antonella Arcoleo ha dichiarato:”Ormai esiste un mondo virtuale che cammina parallelamente a quello reale. Con Facebook è tutto stampabile, spesso si presentano allo studio donne con malloppi alti così di chat e messaggi. E questo ovviamente fa prova in Tribunale‘ ( cfr.  www.aiaf.it).

2) Appare, in conclusione, opportuno aggiungere che anche dal punto di vista sostanziale nessuna violazione della normativa sulla privacy ( DLG n. 196 del 30.06.2003) può dirsi avvenuta, attinendo la tutela del legislatore italiano a quei soli dati cosidetti “sensibili”, quali preferenze sessuali, politiche, religiose ecc.( cfr. art.4  c.1 lett.c). Lo stesso decreto  legislativo summenzionato all'art. 24  (n.1 lett.c) stabilisce che il consenso espresso dall'interessato per il trattamento dei dati personali da parte di privati non è richiesto quando riguarda dati provenienti da documenti conoscibili da chiunque. Pertanto è facile dedurre che non è vietato utilizzare informazioni tratte dal profilo Facebook di ........., “senza il loro espresso e formale consenso”. In aggiunta, a voler essere completi nella nostra esposizione, l'art. 26 garantisce il  trattamento dei dati sensibili anche senza il consenso della parte, ma previa autorizzazione del Garante, “quando il trattamento è necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7.12.2000 n. 397, o comunque, per far valere o difendere in sede giudiziaria un diritto, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro proseguimento” (n.4 lett.c).
Orbene nei documenti depositati mai, si ripete mai, viene fatto riferimento agli aspetti di vita privata tutelati dal legislatore. Voler pertanto affermare che sia avvenuta una violazione della privacy, attraverso la produzione documentale nell'ambito del presente procedimento, è affermazione certamente errata e la condotta contestata risulta perciò priva di rilevanza penale. Ed appare superfluo ricordare l'obbligo di riservatezza cui tutti i partecipanti al processo canonico sono vincolati, il Tribunale Ecclesiastico infatti tutela gli atti con il segreto d'ufficio con il can. 1455§1-2 e con il Decreto Generale sulla privacy del 20.10.99 secondo l'art. 7 e l'art. 2-6. 
                                       
Anche la Chiesa ha proprie regole circa le disposizioni per la tutela del diritto alla buona fama e alla riservatezza.In considerazione al can. 220 che riporta: "Non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità" (CIC 1983), il Consiglio Episcopale Permanente ha valutato l'opportunità di predisporre una normativa che regolamentasse l'acquisizione, la conservazione e l'utilizzazione dei dati personali nel diritto particolare della Chiesa che è in Italia. In data 20 ottobre 1999 è stato promulgato il "Decreto generale" n. 1285 che contiene le disposizioni per la tutela del diritto alla buona fama e alla riservatezza dei dati relativi alle persone dei fedeli e  degli enti ecclesiastici. La suddetta normativa, considerato che la Chiesa cattolica, ordinamento giuridico indipendente e autonomo nel proprio ordine , ha il diritto nativo e proprio di acquisire, conservare e utilizzare per i suoi fini istituzionali i dati relativi alle persone dei fedeli, agli enti  ecclesiastici e alle aggregazioni ecclesiali, “è diretta a garantire che l'acquisizione, conservazione e utilizzazione dei dati (di seguito denominati "dati personali") relativi ai fedeli, agli enti ecclesiastici, alle aggregazioni ecclesiali, nonché alle persone che entrano in contatto con i medesimi soggetti, si svolgano nel pieno rispetto del diritto della persona alla buona fama e alla riservatezza riconosciuto dal can. 220 del codice di diritto canonico” ( cfr art.1) .
Nulla come le cause matrimoniali, in cui le persone sono costrette a mettersi a nudo fino in fondo, tocca così profondamente l'intimità delle persone; nonostante ciò, se il diritto all'intimità fosse un diritto assoluto, le cause matrimoniali non potrebbero neppure esistere; il Legislatore canonico lo ha ben compreso e proprio per questo è cambiata profondamente la normativa sulla legittimazione ad agire in causa. Non è assolutamente pensabile, almeno non nel diritto della Chiesa, che l'accertamento di un fatto di natura pubblicistica (il proprio reale status personale), da cui dipende la salvezza dell'anima di una o più persone, possa essere impedito da un veto posto in essere dall'altra parte, invocando la tutela del proprio diritto all'intimità o riservatezza come scritto dai patroni di parte attrice (Cfr. C. GULLO).Se dunque documenti personali e intimi sono stati presentati anche contro la volontà dell'altra parte sono prove perfettamente valide."Ciò deve prevalere sul malinteso ricorso all'intimità- scrive M.J. ARROBA CONDE - che...è previsto al can. 220, dove si afferma l'intangibilità di questo diritto, precisando però...che la difesa della propria intimità (va intesa come)...riparo da aggressioni «illegittime». Non si può però ritenere che l'indagine processuale, anche quando riguardi fatti intimi, costituisca un'aggressione illegittima del diritto alla buona fama" (CFR PAG6 OLIR NOTA 14).  E' innegabile che sia il diritto alla riservatezza che quello alla buona fama cedano il passo o subiscano delle compressioni di fronte alla ricerca processuale della verità oggettiva attinente allo status coniugale. 
Occorre chiarire anche il concetto di liceità applicato al sistema probatorio canonico (ex can. 1527 §1 (e 'art. 157  Dignitas Connubi al §1); la liceità secondo l'opinione più accreditata, verrebbe a coincidere con il concetto di legittimità, ossia con la conformità della prova alla legge; ad esempio si ritiene illecita la prova che risulti lesiva del diritto alla buona fama di cui al can. 220 (includente anche quello alla riservatezza) solo ove essa sia anche illegittima; a riguardo abbiamo ampiamente motivato che le pagine FB non sono state ricavate illegittimamente! Su questa stessa linea si colloca anche chi sostiene che l'espressione “illegittimamente” di cui al can. 220 è motivata dal fatto che “nel diritto è lecito scoprire difetti, peccati o delitti, quando sia in gioco un bene superiore delle persone, della società civile e della Chiesa”( Cfr  J. HERVADA, Diritto Costituzionale Canonico, Milano,1989, p. 139). Con il can. 1527 §1 si pone l'accento sul diritto della parte di produrre "Probationes cuiuslibet generis" e dunque imprimis quelle tipiche indicate nel tit.IV parte II del Libro VII del Codice, ma anche quelle non tipicizzate, e soprattutto sulla utilità della prova, concetto questo molto più ampio di quello di necessità; la parte ha la facoltà di addurre prove anche meramente utili, non quindi assolutamente necessarie, per provare il proprio assunto. Se la parte, nella fase istruttoria di prima istanza, produce o richiede l'assunzione di prove, avrebbe diritto a che siano ammesse, soprattutto quando l'acquisizione delle stesse risulti utile ad evitare una sentenza contraria alla verità oggettiva. Secondo il can. 1539 in ogni genere di giudizio è ammessa la prova per via di documenti sia pubblici sia privati. Inoltre nel caso in cui la parte in causa si opponga con istanza all'ammissione di una prova perchè definita non lecita deve anche provare tale illiceità (VEDERE RIF.) .E nel nostro caso spetterebbe ai Patroni di parte attrice!
La ricerca della verità porterà il Giudice, che sia a conoscenza dell'esistenza di detta prova, ad ordinare alla parte interessata l'esibizione del documento ai sensi dell'art. 191 D.C., anche a conclusione della causa, o ad annetterlo ex officio, se esibito con il restrictus, per evitare il rischio di una restitutio in integrum!

3) Non appaiono fondate le considerazioni in ordine al presunto contenuto calunnioso/ingiurioso (null’altro???) della condotta in esame in relazione alla posizione dell'attore, e diffamatorio nei confronti della testimone, che a giudizio dello scrivente ed alla luce dei documenti depositati, risultano aver riferito notizie non veritiere .

Anche in questo caso basta leggere l’art. 598 del codice penale che recita: “Non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinnanzi all’Autorità giudiziaria, ovvero dinnanzi a un’autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo”.
Osservato che nessun dubbio sussiste in ordine all’applicabilità della norma anche in relazione ai procedimenti pendenti innanzi all’autorità ecclesiastica, come precisato ampiamente in dottrina (cfr. Paolo Moneta: “Prolusione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico Regionale Siculo (Palermo, 11marzo 2011); S.Testa Bappenheim, In utroque iure: I tribunali ecclesiastici e l'esimente ex art. 598 cp, in Diritto e religioni, 2008; L. Persico, L'esimente ex art. 598 cp si applica anche agli scritti ed ai discorsi diretti ai Tribunali ecclesiastici?, in Dir. Fam., 2005, 863 ss.). Quindi i “litiganti” davanti ai tribunali ecclesiastici con i loro patrocinatori possono valersi della suddetta impunità;  questo proprio per la ratio di tale norma, radicata nel diritto di difesa delle parti affinché abbiano la più vasta libertà di rappresentare anche con ardore polemico le proprie ragioni nella “lotta” ingaggiata nel foro:  «L’art. 598 non tutela l’interesse statuale  del potere giurisdizionale e quindi la statualità della giurisdizione non può costituire il criterio limitativo della sua applicazione. Qui è tutelata la persona. E quando, su determinati presupposti, si manda impunita l’offesa alla persona, è una finium regundorum fra interessi collidenti di persone diverse che la legge istituisce. L’offesa giudiziale va impunita perché così richiede una indispensabile libertà di difesa. L’immunità è accordata al fine di garantire alle parti e ai loro patroni la più ampia libertà  nel rappresentare le loro ragioni. Queste le massime pacifiche della Cassazione in materia»- attesa la «gravissima posta che necessariamente si pone in gioco nella difesa in ambito giudiziario» (Cfr. G. OLIVERO, Diffamazione in giudizio ecclesiastico ed esimente dell’articolo 598 codice penale; cfr anche A.C. JEMOLO, Lezioni di diritto ecclesiastico, 2ª ed., Città di Castello, 1934).
In un procedimento originato da una querela in ordine all’ipotesi di reato di cui all’art. 595 c.p. che sarebbe stato commesso dal marito depositando presso il tribunale ecclesiastico della regione conciliare flaminia un libello, firmato dal difensore, nel quale si deducevano fatti tali da offendere l’onore e la reputazione della moglie querelante, il pubblico ministero ha richiesto l’archiviazione in quanto la notitia criminis era da ritenersi assolutamente infondata. In particolare si è ritenuta applicabile proprio l’esimente forense di cui all’art. 598:  “È evidente che se il difensore - unico firmatario della istanza e suo  ideatore dal punto di vista concettuale ed espositivo, sulla base dei dati e dei fatti narratigli dall’interessato - può giovarsi della esimente, anche la condotta del cliente non può essere considerata sanzionabile” (cfr. Geraldina Boni). Ha ritenuto il P.M. che “pacifici essendo i rapporti tra le pronunzie in materia matrimoniale dei Tribunali ecclesiastici e il regime giuridico del matrimonio e dei rapporti tra coniugi nell’ordinamento italiano - l’art.598 c.p. non può che considerarsi applicabile anche agli atti e scritti prodotti davanti ai Tribunali ecclesiastici. Se l’art. 598 c.p. risulta oggi  (e quindi va interpretato ed applicato) come una delle norme di attuazione dell’art. 24 Cost. (cfr. Cass. 21 gennaio 2002, n. 7000, che richiama Cass. 6 giugno 1966, F., m. 193016), per il noto fenomeno di costituzionalizzazione delle norme positive anteriori alla Carta costituzionale, non può dubitarsi che tale norma spieghi i suoi effetti di tutela del diritto di difesa e del principio del contraddittorio anche nella sede della giurisdizione matrimoniale ecclesiastica, posto che i giudici italiani - ai fini dell’exequatur in seno all’ordinamento italiano del giudicato canonico - dovranno poi accertare anche che le parti in tale sede ecclesiastica abbiano potuto beneficiare di un equo processo (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo 20 luglio 2001, ricorso n. 30882)” (cfr op cit.). 
Secondo la giurisprudenza, per l’applicabilità della c.d. immunità giudiziale non occorre che le offese siano in rapporto di giuridica necessità o utilità con l’esercizio del diritto di difesa del soggetto che le ha scritte, bastando che le espressioni ritenute ingiuriose o diffamatorie siano collegate con le tesi difensive delle parti in contesa, concernendo l’oggetto della causa.
E' abbastanza facile capire il senso della norma: come è concepibile l’esercizio dell’attività defensionale se non mediante il diritto di dimostrare che quanto sostenuto dalla controparte è infondato e non risponde al vero?
Come si dovrebbe dimostrare, andando nel caso specifico, che le dichiarazioni rilasciate da un testimone non sono veritiere ?

Se non esistesse questa norma, praticamente ogni procedimento giudiziario penale, civile, ecclesiastico, amministrativo dovrebbe concludersi con un successivo processo penale, dato che esiste un processo perché ci sono due parti contrapposte che sostengono la propria tesi, e che per fare questo devono necessariamente affermare l’erroneità/falsità della tesi avversa. 
Fra l'altro la sottoscritta si è limitata a scrivere nell'allegato alla documentazione presentata al 14.01.13  che “l'attore dal 2007 ha assunto un atteggiamento disonesto per le numerose cause intraprese senza nessuna base,  prova o fondamento di verità ” (RIF INTROD 52 p).  Seguendo il ragionamento della difesa di parte avversa, allora, anche le affermazioni dei Giudici nelle loro sentenze potrebbero essere offensive o calunniose  (non ingiuriose, come i patroni di p.a. scrivono, in quanto per aversi ingiuria occorre la presenza della parte offesa nel momento in cui vengono fatte le affermazioni lesive; improprio dunque il richiamo al reato di ingiuria anche con riguardo alla presente vicenda); infatti nei motivi della decisione della Corte di Appello (allegata al restrictus perchè immotivatamente espunta) i Giudici fanno riferimento alla mancanza di veridicità delle dichiarazioni dell'attore. Essi scrivono che il l'attore “non spiega quale dovrebbe essere la corretta lettura della documentazione contabile da lui esibita a fronte di un tenore di vita che la smentisce”, grazie alla documentazione che la Convenuta ha tratto da Facebook e accolta anche  in sede penale; la Corte aggiunge che il “l'attore stesso confuta ciò con argomentazioni che il Tribunale già nella sentenza n.3370/11 ha ritenuto <inverosimili>”. Le stampe di Facebook, che contengono foto con il l'attore durante manfestazioni ......., pubblicate senza restrizione di accessibilità, sono state prodotte in udienza penale del 26.04.2012 per smentire una affermazione resa dall'attore nel corso della stessa udienza che dichiarava di non partecipare più agli eventi con cavalli (cfr....); francamente tutta la tesi avversa è difficilmente sostenibile per quanto sopra esposto.

Parti e testi, qualora abbiano semplicemente esposto fatti conformi agli accadimenti, nulla hanno da temere, viceversa,solo nel caso in cui si pretende  di servirsi dei Tribunali Canonici a proprio vantaggio, confidando nella possibilità di poter impunemente esporre quanto serve ai propri fini indipendentemente dalla corrispondenza al vero, ci si deve preoccupare delle eventuali conseguenze sul piano temporale del proprio operato. “Lo stesso paventato uso intimidatorio di minacce e querele non può essere fonte di preoccupazione se si tiene conto del fatto che il soggetto (in questa causa la parte convenuta) riferisce la verità...” (Geraldina Boni, op. Cit.; e anche A. Blasi, Con l'<<instructio>> un aiuto nell'interpretazine delle leggi e dei canoni, in Giudizio ecclesiastico di nullità matrimoniale, 956)    RIF  

4) Nella causa di nullità di cui trattiamo, la parte convenuta ha presentato in data 14 Gennaio 2013 - a distanza di soli cinque giorni dalla deposizione della teste...., non certo quindi con intento dilatorio, come dichiarato dalla parte attrice nella istanza del 6 Febbraio 2013, riferendosi all'art 157 § 3 Instr. Dignitas Connubi – ulteriore documentazione (e non una istanza di 52 pagine), con una introduzione di 5 pagine (cfr. 334-337), con il solo ed unico scopo di dimostrare la verità, rilevando ciò con prove sia lecite (perchè provenienti da fonte resa pubblica per scelta della suddetta teste) sia utili e necessarie (perchè provavano in modo chiaro e preciso le incongruenze tra le affermazioni rilasciate in deposizione dalla teste Grazi il 09 .01.2013 e la realtà dei fatti); in particolare da tali documenti viene dimostrata la stretta amicizia fra la teste1 e la teste2  iniziata- come si vede dai documenti depositati- almeno dal 2002 e non, come dichiarato dalla teste ...., dal 2011 e che tale amicizia è ancora attuale. Soprattutto perchè la teste ripete in due occasioni di conoscere superficialmente e da poco tempo la compagna dell'attore
Se andiamo poi ad  analizzare quale parte in questa causa di nullità ha notevolmente dilatato i tempi processuali non è certamente la parte convenuta ma la parte attrice  che ha introdotto il libello a  ottobre 2010  per esclusione della fedeltà ma nella sua deposizione di febbraio 2011, nonostante l'attuale reciproca dichiarata buona amicizia con la teste, non ha ritenuto in tale sede di fornire il nome e i dettagli relativi ad una sua dichiarata relazione, di natura prettamente sessuale, durante il fidanzamento; per poi depositare ben diciasette mesi più tardi, a luglio 2012, una dichiarazione della donna dove ella scriveva esplicitamente di essere stata   l'amante  dell'attore per venti anni a partire dal suo fidanzamento; tutto ciò dichiarando  che solo allora (nel luglio 2012) l'attore l'aveva avvertita della sua causa!

Omissis .................................
Tra l'altro che non abbiamo intenti dilatori lo si deduce dal fatto che non abbiamo presentato istanza di nullità del decreto in questione con conseguente riammissione dei  documenti, ma poiché riteniamo che siano necessari alla decisione si riallegano al presente Restrictus.
Riguardo all'unico documento  approvato  pag. 338 con alcune dichiarate “perplessità ( rif. Decreto del 28.02.13)”, a totale chiarimento e trasparenza da nostra parte  alleghiamo nel Restrictus ,  la dichiarazione integrativa datata 26.03.2013  rilasciata dal parroco della Parrocchia di entrambe le parti, ?.....

5) In conclusione ed alla luce delle considerazioni sopra esposte, è intenzione e premura di questo patrono chiarire con la presente nota l’assoluta correttezza comportamentale tenuta nell’intero procedimento ed in particolare nel momento della produzione documentale contestatata; rimarcare la evidente assenza di violazione di qualsiasi normativa vigente nell’ordinamento italiano; evidenziare  che l'istanza dei patroni di p.a. del 06.02.2013 si risolve in una generica lamentela ed è priva di quella specificità che ne consente l'apprezzamento, come anche rilevato dai giudici della Corte di Appello in riferimento all'appello dell'attore; sottolineare che la documentazione da noi presentata al 14.01.2013 e già pubblicata in atti, è da ritenersi non solo utile ai fini probatori ma anche per consentire il presupposto necessario affinchè il Giudice possa emettere una sentenza giusta ed equa senza rischi di violazione del diritto di difesa, considerato che il comportamento dell'attore dà adito a dubbi circa la condotta determinante dell'attore.