La legge n. 53 dell’8 marzo 2000 sui congedi parentali formativi e familiari, poi confluita nel “Testo Unico sulla tutela ed il sostegno della maternità e della paternità”(Decr. Legisl. n. 151 del 2001) già dal primo lancio di agenzia con il quale veniva in modo mediaticamente sintetico lanciata“permessi ai papa’ per giocare con i figli,” si è caratterizzata per essere un tentativo di affrontare una reale problematica sociale, la difficoltà del genitore di affiancare in maniera intensa il percorso di crescita dei figli in anni decisivi per la loro crescita emotiva e culturale. Ma non solo i figli sono il target della norma: è l’armonia tra tempi di lavoro e famiglia, il recupero di un assetto sostenibile per l’istituto familiare ma soprattutto il cosiddetto”disincanto del lavoro” contro le distorsioni del produttivismo ad oltranza. Una legge per i lavoratori (non per uomini o donne semplicemente) ma anche per le imprese cui fornisce uno spazio per tener conto, sul terreno funzionale del rapporto obbligatorio, delle esigenze private del lavoratore stesso.   Sotto il profilo giuslavoristico, è evidente che la legge costituisce un completamento delle norme già esistenti, sulla scorta delle nuove acquisizioni sulla vita infantile, da un approccio mirato esclusivamente alla tutela delle esigenze esclusivamente fisiologiche del bambino sino alla considerazione delle esigenze relazionali ed affettive. L’applicazione della legge, da subito, ha dovuto far fronte a problematiche di vario genere; la prima  ha a che fare con la distinzione fra aspetti naturali e aspetti culturali, nel senso che una significativa differenza quantitativa nell’uso dei congedi da parte di uomini e donne con una netta prevalenza da parte di queste ultime può essere, ovviamente spiegata facendo ricorso alla naturalità delle differenze sessuali. La complessità della conciliazione tra tempo di lavoro e tempo di vita, essenziale ai fini del raggiungimento della parità effettiva tra donne e uomini, è finalmente affrontata dalla legge 53.  Il concetto di “conciliazione”,introdotto in Italia con tale legge, sta a significare la possibilità di bilanciare tempi di vita pubblica e tempi di vita privata attraverso una riorganizzazione del lavoro e la predisposizione di un sistema di servizi che permettano, soprattutto ai “genitori lavoratori”, di poter svolgere attività retribuite e non retribuite personali e di cura.  Nel testo di legge assume particolare rilevanza la concezione di “genitore lavoratore” la quale sostituisce il riferimento esclusivo alla “madre lavoratrice” con un nuovo e rivoluzionario modo di intendere la gestione familiare e di cura dei figli/e. Nel periodo precedente l’emanazione della legge 53/2000, un padre poteva prendere il congedo parentale solo se sposato con una donna che godeva di questo diritto. Non era cioè un diritto individuale. La recente legge ha cancellato questa discriminazione: con essa il legislatore ha voluto soprattutto riconoscere alla figura paterna il diritto di conciliare il lavoro e la cura dei figli, indipendentemente dalla lavoratrice madre. Si tratta quindi di un diritto riconosciuto in capo al lavoratore stesso al fine di ampliare non solo le possibilità per l’accudimento dei figli, ma di attenuare la tradizionale attribuzione del ruolo di cura alla donna. Sebbene lo strumento dei congedi sia disciplinato dall’art. 3 della legge 53, occorre precisare che è il decreto legislativo 151/2001 a chiarire la distinzione tra le varie tipologie di congedo, modificando la terminologia usata dalle vecchie leggi come segue: • per “congedo di maternità” si intende l’astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice; • per “congedo di paternità” si intende l’astensione dal lavoro del lavoratore, fruito in alternativa al congedo di maternità; •. per “congedo parentale” si intende l’astensione facoltativa della lavoratrice o del lavoratore; • per “congedo per la malattia del figlio” si intende l’astensione facoltativa dal lavoro della lavoratrice o del lavoratore in dipendenza della malattia stessa; • per “lavoratrice” o “lavoratore”, salvo che non sia altrimenti specificato, si intendono i dipendenti, compresi quelli con contratto di apprendistato, di amministrazioni pubbliche, di privati datori di lavoro nonché i soci lavoratori di cooperative. I congedi parentali implicano il diritto ad un congedo di durata massima di 6 mesi, da utilizzare nei primi 8 anni di vita della figlia o del figlio. L’utilizzo del congedo va coordinato con il congedo del partner lavoratore, fino ad un massimo di 10 mesi per la coppia (estendibile a 11 mesi qualora il padre utilizzi almeno 3 mesi anche frazionati). La legge, in tal senso, ha voluto dare maggiori incentivi “regalando” ai padri che chiedono almeno 3 mesi di congedo parentale un mese in più. Degna di nota è la possibilità offerta ai genitori di fruire anche contemporaneamente del congedo, trasformando – almeno potenzialmente – un periodo di permanenza a casa per la cura del figlio/a in un momento di crescita comune e di condivisione dei piaceri/doveri connessi al ruolo genitoriale. Proseguendo nell’analisi del testo normativo leggiamo che se la madre è, o diventa, single le spettano interamente i 10 mesi. Il congedo può essere utilizzato intero o frazionato. In ipotesi di adozione o affidamento l’Inps, con messaggio 22913/2007, ha ritenuto possibile fruire del congedo parentale in ogni caso entro i primi tre anni dall’ingresso del minore nel nuovo nucleo familiare precisando che, in ipotesi di età inferiori ai sei anni, spetta l’indennità pari al 30% della retribuzione indipendentemente dalle condizioni reddituali del richiedente, per i primi sei mesi ; per un età superiore ai sei anni, il riconoscimento della predetta indennità è invece riconoscibile in presenza dei prescritti parametri reddituali. Il trattamento economico del congedo parentale, secondo l’art. 34, è pari al 30% dell’ultima retribuzione per i periodi goduti entro il compimento dei 3 anni del bambino, per un tempo massimo complessivo per entrambi i genitori di 6 mesi, e le indennità vengono anticipare dal datore di lavoro. Negli ulteriori periodi, dai 3 agli 8 anni, fino al 10° (ovvero 11°) mese, l’indennità è corrisposta solo se il reddito individuale lordo di chi usufruisce del congedo è inferiore a 2,5 l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’A.G.O. I periodi di congedo parentale sono regolarmente computati nell’anzianità di servizio, ma non concorrono alla maturazione delle ferie, della tredicesima e della gratifica natalizia. Il trattamento previdenziale (art. 35) del congedo parentale, retribuito o meno, è coperto dalla contribuzione figurativa e l’onere economico è a carico INPS. L’accredito figurativo considera come parametro di riferimento il 200% del valore massimo dell’assegno sociale, proporzionato alla durata dell’assenza, con la possibilità di integrare l’importo, riscattando il periodo o versando i relativi contributi in base alle regole della prosecuzione volontaria periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti su ferie e gratifiche. Con dm 278/2000 sono state introdotte le disposizioni di attuazione dell’art. 4 l.53, concernente congedi per eventi e cause particolari. E’ prevista la possibilità di fruire di tre giorni complessivi di permesso retribuito all’anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge, anche legalmente separato, o di un parente entro il secondo grado, anche non convivente, o di un soggetto componente la famiglia anagrafica della lavoratrice o del lavoratore medesimi : permesso fruibile previa comunicazione dell’evento al datore ed entro sette giorni dal decesso o dall’accertamento dell’insorgenza della grave infermità o della necessità di provvedere a conseguenti specifici interventi Nel caso di grave infermità dei soggetti indicati dalla norma, il lavoratore può concordare con il datore di lavoro, in alternativa all’utilizzo dei giorni di permesso, diverse modalità di espletamento dell’attività lavorativa, anche per periodi superiori a tre giorni, attraverso un accordo scritto che indichi i giorni di permesso sostituiti dalle diverse modalità di espletamento dell’attività lavorativa; dette modalità devono comportare una riduzione dell’orario di lavoro complessivamente non inferiore ai giorni di permesso che vengono sostituiti. Un ulteriore periodo di congedo è disciplinato per gravi motivi, relativi alla situazione personale, della propria famiglia anagrafica, dei soggetti di cui all’articolo 433 del Codice civile anche se non conviventi, nonché dei portatori di handicap, parenti o affini entro il terzo grado, anche se non conviventi. Per gravi motivi (certificati da documentazione del medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato o del medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta o della struttura sanitaria nel caso di ricovero o intervento chirurgico) si intendono: a) le necessità familiari derivanti dal decesso di una delle persone indicate dalla norma; b) le situazioni che comportano un impegno particolare del dipendente o della propria famiglia nella cura o nell’assistenza; c) le situazioni di grave disagio personale, ad esclusione della malattia, nelle quali incorra il dipendente medesimo; d) le situazioni, riferite ai soggetti indicati dalla norma a esclusione del richiedente, derivanti da patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell’autonomia personale (affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche) ; e) le patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali; f) le patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario; g) le patologie dell’infanzia e dell’età evolutiva per le quali il programma terapeutico e riabilitativo richiede il coinvolgimento dei genitori o del soggetto che esercita la potestà. Il congedo può essere utilizzato per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni nell’arco della vita lavorativa. Il datore di lavoro è tenuto a rilasciare al termine del rapporto di lavoro l’attestazione del periodo di congedo fruito dalla lavoratrice o dal lavoratore. I contratti collettivi disciplinano il procedimento per la richiesta e per la concessione, anche parziale o dilazionata nel tempo, o il diniego del congedo per gravi o documentati motivi familiari, assicurando il contraddittorio tra il dipendente e il datore di lavoro e il contemperamento delle rispettive esigenze. L’eventuale diniego, la proposta di rinvio a un periodo successivo e determinato, la concessione parziale del congedo devono essere motivati in relazione alle ragioni organizzative e produttive che non consentono la sostituzione del dipendente; su richiesta del dipendente, la domanda deve essere riesaminata nei successivi 20 giorni ed in ogni caso il datore deve assicurare l’uniformità delle decisioni avuto riguardo alla prassi adottata e alla situazione organizzativa e produttiva dell’impresa . La malattia della lavoratrice madre o del lavoratore padre insorta durante la fruizione del congedo parentale o dopo la fine dello stesso , è indennizzabile secondo le regole ordinarie. I periodi di malattia che si verifichino durante il congedo parentale sono considerati neutri ai fini del complessivo periodo spettante.