A seguito della riforma pensionistica Fornero  molti lavoratori si sono trovati nelle condizioni di vedersi allungare i termini di accesso alla pensione anche di diversi anni. Sorge pertanto la necessità di verificare la propria posizione contributiva e in particolare se tutti i periodi lavorati siano coperti da contribuzione.
Capita spesso che per periodi lavorati in gioventù non risulta alcuna contribuzione versata e non  essendosi il lavoratore attivato per il recupero di questi contributi gli stessi si sono prescritti nei 10 anni successivi (prescrizione decennale).
La prima verifica da effettuare va fatta presso l’INPS per controllare se non vi è stato un errore nel mancato accredito contributivo.
Successivamente, se il datore di lavoro esiste ancora, è opportuno verificare se presso l’azienda esistono ancora le copie dei versamenti DM10 e/o 01M. Infatti i contributi versati ma non accreditati dall’INPS non si prescrivono mai purché si dimostri l’effettivo pagamento.
Effettuate queste verifiche con esito negativo il lavoratore che ritiene questi contributi non versati necessari per il diritto alla pensione ha un’ulteriore possibilità e precisamente utilizzare la facoltà di costituzione di rendita vitalizia di cui all’art. 13 della legge 1338/1962 che di fatto consente, previo pagamento, il recupero della contribuzione prescritta
L’art. 13 della legge 1338/1962 prevede infatti la possibilità di costituire una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o alla quota di pensione che spetterebbe al lavoratore in relazione ai contributi omessi e prescritti.
La legge, nella sua formulazione originale era estremamente restrittiva in merito alla prova del rapporto lavorativo ove si prevedeva  l’applicazione solo se il lavoratore dimostrava il rapporto di lavoro con mezzi documentali sia per l’esistenza che per la durata (buste paga).
In materia è però intervenuta, con sentenza n. 568 del 13.12.1989 la Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 13, quarto e quinto comma della legge 1338/1962 nella parte in cui, salva la necessità della prova scritta sull’esistenza del rapporto di lavoro, non consente di provare altrimenti la durata del rapporto stesso.
Il rapporto di lavoro secondo la Consulta può essere provato con ogni mezzo e sono del tutto valide  le testimonianze dei colleghi circa la continuità e la durata del rapporto ai fini del recupero della contribuzione previdenziale omessa per la quale sia intervenuta la prescrizione.
La prova scritta quindi è necessaria solo per provare l’esistenza del rapporto lavorativo e non la sua durata. Pertanto il lavoratore dovrà dimostrare con un documento dell’epoca di aver lavorato presso il datore di lavoro e non documentare la durata del rapporto medesimo.
 Sarà pertanto sufficiente al fine di esercitare il diritto produrre una prova documentale che il rapporto lavorativo è stato in essere attraverso ad esempio : il libretto di lavoro, una busta paga, un documento sanitario di avvio al lavoro, un nulla osta etc.
La durata sarà possibile dimostrarla con qualsiasi mezzo compreso quello testimoniale. In questo caso l’INPS richiede al testimone ex collega di lavoro una dichiarazione sostitutiva di atto notorio ove dichiara che nel periodo dal…. al….. ha lavorato con il richiedente.
 La Cassazione, più volte intervenuta sull’argomento, meglio specifica le diverse fattispecie per l’utilizzo delle prove non documentali individuando le seguenti ipotesi: a) la prova documentale dimostra l’avvenuta costituzione del rapporto a partire da una certa epoca; in questo caso è consentito utilizzare tutti i mezzi di prova al fine di stabilirne la durata a partire da quella data. b) la prova documentale dimostra che il rapporto di lavoro era esistente al tempo di formazione del documento; in tal caso è possibile provare con altri mezzi di prova che lo stesso era stato instaurato anche in epoca precedente (Cassazione sez. lavoro n. 1778 del 8.2.2001).
Lo stesso INPS con messaggio del 30.8.2006 n. 23295 recepisce tale principio di diritto specificando che è sufficiente che  “un documento provi che il rapporto di lavoro era esistente al momento di formazione del documento stesso – in questo caso gli altri mezzi di prova possono essere utilizzati per provare l’effettiva durata del rapporto”
 La Suprema Corte di Cassazione pone quale limite invalicabile che la prova testimoniale non può essere utilizzata per anticipare o posticipare l’esistenza di un rapporto di lavoro le cui date di inizio e fine siano documentalmente accertate. Ciò sul presupposto che l’accoglimento della tesi opposta avrebbe di fatto comportato una svalutazione integrale della necessità della prova scritta sull’esistenza del rapporto di lavoro fissata dalla legge e confermata dalla Corte Costituzionale consentendo alla testimonianza di prevalere sulla prova documentale.
La Cassazione con sentenza 1778/2001 ha fissato questo principio di diritto secondo il quale la durata del rapporto di lavoro può essere provata con ogni mezzo (Corte Costituzionale 568/1989) ma non può essere estesa all’ipotesi in cui “la data del documento è certa ed è certa altresì, in base al contenuto del documento stesso, l’epoca di costituzione del rapporto”
In buona sostanza se un documento non contestato indica l’inizio e la fine del rapporto di lavoro questo fa fede in merito a questi due elementi. Se invece il documento non fissa una data iniziale e finale la durata del rapporto può essere dimostrata per via testimoniale.
La possibilità del recupero contributivo ai sensi dell’art. 13 della legge 1338/1962 vale ora anche nei confronti dei coadiuvanti dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, Coltivatori diretti) ma non per i titolari.