L’art. 8 del D.L. 138 aumenta la flessibilità o il contenzioso?

Con la legge 148 del 14.9.2011  è stato convertito  il Decreto 138 che all’art. 8 contiene norme a sostegno della contrattazione collettiva di prossimità. Nel primo comma si definisce lo scenario di intervento:

 Soggetti abilitati alla contrattazione sono le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge. Cioè CGIL , CISL , UIL e le RSU

Lo scopo della contrattazione deve  riguardare la maggiore occupazione, la qualità dei contratti di lavoro, l’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, gli incrementi di competitività e di salario, la gestione delle crisi aziendali e occupazionali, gli investimenti e l’avvio di nuove attività.

La validità della contrattazione si raggiunge su base maggioritaria ed è efficace nei confronti di tutti i lavoratori.

Il secondo comma invece elenca le materie di intervento contrattuale anche in deroga alla legge ed ai contratti collettivi nazionali, in particolare in materia di impianti audiovisivi si può derogare all’art. 4 della legge 300/70; in materia di mansioni e qualifiche si possono introdurre nuovi o diversi inquadramenti; in materia di licenziamenti si può derogare all’art. 18 dello statuto dei lavoratori. L’elencazione del comma 2, anche se non espressamente indicato, dovrebbe essere tassativa data l’eccezionalità della norma che stravolge il principio della gerarchia delle fonti normative, infatti il comma 2 bis fa solo salvo il rispetto della costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro e le specifiche intese di cui al comma1 operano anche in deroga alle disposizione di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute ne i contratti collettivi nazionale di lavoro

La norma introduce una delegiferazone del tutto incontrollata affidata non alla contrattazione nazionale ma  anche ad accordi stipulati a  livello locale e addirittura aziendale frammentando in modo abnorme  il sistema contrattuale ove sarà possibile che, a maggioranza, qualche sindacalista più o meno “responsabile” potrà essere in grado di sottoscrivere accordi idonei a derogare  leggi che sono il fondamento non solo del rapporto di lavoro ma anche della dignità del lavoratore. Non credo che il riferimento al rispetto della costituzione e ai vicoli comunitari possa risparmiare questa norma dalla scure di costituzionalità non solo perché in contrasto con l’art.3 ma in alcuni riferimenti anche con gli art. 15, 35, 36. Basti pensare ad accordi aziendali su mansioni e qualifiche ove aziende simili introducono riferimenti normativi e retributivi diversi.

Venendo al recesso del rapporto di lavoro, il nostro ordinamento prevede una tutela reale (art. 18 L.300) con reintegrazione del posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo ed una tutela obbligatoria (legge 604/66) per le strutture aziendali con meno di 15 dipendenti ove il licenziamento illegittimo comporta solo il risarcimento di alcune mensilità di retribuzione . Residuale è il licenziamento ad nutum cioè senza motivazione ad esempio per raggiungimento dell’età ed il diritto alla pensione. Si tratta di una normativa abbastanza coerente con buona parte dei Paesi Europei più evoluti. Del resto con l’introduzione dei licenziamenti collettivi di cui alla legge 223/91 e successive modificazioni, si è dato attuazione ad una direttiva CEE che permette all’imprenditore in caso di carenza di lavoro di procedere alla riduzione del personale, con il solo limite che l’individuazione della persona o delle persone da licenziare segue un criterio oggettivo previsto dalla legge o dagli accordi. Se si aggiunge che il nostro Paese è tra quelli ove esiste una grande flessibilità in entrata (si può anche dire precarietà) e conseguentemente anche in uscita, non vedo come questa norma possa costituire un reale strumento di sviluppo economico.

La maggior parte del contenzioso del lavoro riguarda i licenziamenti illeciti e risarcimenti per differenze retributive, l’applicazione dell’art. 8 porterà certamente ad un incremento di tale conflittualità. Infatti la deroga sulle norme sui licenziamenti non significa che la cessazione del rapporto di lavoro può comunque verificarsi ad nutum essendo vietato il licenziamento discriminatorio, pertanto l’onere della motivazione fa sempre capo al datore di lavoro. In realtà la volontà del legislatore è quella di togliere la tutela reale sostituendola anche in caso di soccombenza in giudizio con il risarcimento economico, in buona sostanza monetizzando il licenziamento dichiarato illecito. Non solo, ma l’eventuale proliferarsi di qualifiche o mansioni determinerà certamente un più imponente contenzioso in caso di violazione del rapporto tipico del lavoro qualifica-mansione-retribuzione.

Anche la possibilità di derogare all’art. 4 dello statuto dei lavoratori con l’introduzione di sistemi audiovisivi non solo per tutelare il patrimonio aziendale ma anche al fine di controllare il lavoratore, i suoi accessi ad internet ed eventualmente la posta elettronica, viola diritti fondamentali della persona e della sua privacy, che nei casi più gravi potrebbe costituire strumento di indagine sulle opinioni, sulle tendenze sessuali o religiose del singolo lavoratore, sconfinando anche nel mobbing.

Se il rapporto di lavoro poi perde la tutela dell’art. 18 della legge 300/70 le parti contrattuali si trovano in una situazione di disparità e pertanto i termini prescrizionali di cui all’art. 2948 del c.c. non decorreranno se non alla cessazione del rapporto di lavoro (corte costituzionale 63/66 e 174/72) con ulteriore aggravio della conflittualità anche sul quantum.

In definitiva la legge sembra disegnata non per motivi di sviluppo economico ma per ragioni politiche ed in conflitto con l’accordo tra le parti sociali appena siglato il 28 giugno.

                        Avv. Renato Piseri