Occasione per la nuova pronuncia è stata l’ordinanza della VI Sez. Pen. Cass. n. 13844 con la quale i giudici di legittimità a fronte di un ricorso in Cassazione per “vizio di motivazione ed errata applicazione di legge”- inerente all’utilizzabilità ai fini della valutazione circa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per l’applicazione di una misura cautelare – hanno ritenuto di non condividere il pregresso orientamento.
Il problema principale, che si è tentato di risolvere con la stessa sentenza a sezioni unite, è quello di una difficile compatibilità delvirus informatico autoinstallante con la privacy dell’indagato (art. 15 Cost.) da una parte e con la disciplina delle intercettazioni (art. 266 ss. c.p.p.) dall’altra. In particolar modo il virus permettendo non solo la captazione occulta di conversazioni telefoniche o telematiche, ma anche l’intercettazione di comunicazioni tra presenti è assimilabile all’intercettazione di tipo ambientale. Ed è qui che è nato il contrasto giurisprudenziale. Nell’indirizzo precedente si affermava l’inutilizzabilità del trojan data l’impossibilità di coniugare la sua natura “itinerante” con le esigenze di determinazione e specificazione, nel decreto di autorizzazione, del luogo in cui svolgere la captazione occulta. Oggi, invece, in relazione alla gravità dei reati – Art. 416 bis. e art. 270 bis. del codice penale-, ricollegando la necessità della determinazione del luogo di captazione alla tutela del domicilio, e affermando la presenza dello stato di eccezione della legge 12 luglio 1991, n. 203, dapprima la VI Sez. e poi le Sezioni Unite hanno considerato come ammissibile tale mezzo di ricerca della prova.
In fin dei conti, il giudice di legittimità si è trovato a operare un difficile bilanciamento tra esigenze investigative e i diritti inviolabili di domicilio e di segretezza della corrispondenza. Un indirizzo non suscettibile a critiche, per il quale si auspica un intervento legislativo in materia.
Studio Legale Bartoletti Ascenzi Officinalex
Federico Melis