Il Supremo Collegio, [i] con le decisioni in commento, è tornato a ribadire il principio, in tema di requisiti del mandato difensivo conferito dal terzo interessato nel procedimento di prevenzione patrimoniale, che per i soggetti portatori di un interesse meramente civilistico vale la regola prevista dall’art. 100 c.p.p. secondo cui stanno in giudizio con il ministero di un difensore munito di procura speciale analogamente a quanto previsto nel processo civile dall’art. 83 c.p.c..
Tale principio è sostenuto dal fatto che solo all’indagato o all’imputato è consentito stare in giudizio personalmente avendo solo l'obbligo di munirsi di un difensore che, oltre ad assisterlo, lo rappresenta ex lege ed in forza di tale rappresentanza è titolare di un diritto d'impugnazione in favore dell'assistito senza alcuna necessità di un'apposita procura speciale, prevista soltanto per quei singoli atti riservati espressamente dalla legge all'iniziativa personale dell'imputato.
La superiore giurisprudenza, occorre osservare, si è formata e consolidata prima dell’avvento del c.d. codice antimafia e senza considerare la nuova concezione della figura del terzo interessato.
L’articolo 100 del codice di procedura penale richiede, in maniera esplicita, per la rappresentanza in giudizio della parte civile, del responsabile civile e della persona civilmente obbligata della pena pecuniaria che il difensore sia munito di procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata.
L’articolo, invece, 23 comma 3,  del c.d. codice antimafia nel disciplinare la facoltà d’intervento dei terzi interessati nel procedimento di prevenzione stabilisce che “all’udienza gli interessati possono svolgere le loro deduzioni con l’assistenza di un difensore, nonché chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca. Se non ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 24 il tribunale ordina la restituzione dei beni ai proprietari”.
Dalla comparazione delle due norme soprarichiamate si evince in maniera nitida che mentre nell’ambito del processo ordinario, le parti private, diverse dall’imputato, per stare in giudizio devono avvalersi di un difensore munito di procura speciale, nel processo di prevenzione patrimoniale per i terzi interessati la norma prevede che possono svolgere le loro deduzioni con la mera assistenza di un difensore senza che sia munito di procura speciale. 
Stante il silenzio della legge, dunque, il soprarichiamato principio stabilito dal giudice di legittimità non può essere condiviso.
Un’interpretazione sistematica della disposizione legislativa antimafia esclude qualsiasi tipo di interpretazione per analogia in quanto, appunto, la normativa in materia di prevenzione non fa alcun riferimento al requisito della procura speciale.    
E’ noto che il ricorso all’analogia può farsi solo quando è assente nella fattispecie interessata la norma che la disciplina. Ma vi è un’ulteriore ragione  che consente di censurare l’orientamento in materia del giudice di legittimità.
L’articolo 24 della Carta fondamentale tutela i diritti e gli interessi legittimi dei cittadini garantendo la possibilità di agire in giudizio. La Corte europea dei diritti dell’uomo e la stessa Corte di Cassazione  hanno più volte ribadito la giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione e con ciò ammonendo di evitare meri formalismi a discapito del diritto di difendere principi ed interessi costituzionalmente presidiati.
E’ innegabile che il terzo ha il diritto di difendersi e di tutelare il proprio patrimonio al pari di quello del prevenuto. Ora che il c.d. codice antimafia disciplina la ipotesi della confisca indipendentemente dall’accertamento della pericolosità sociale, consentire al prevenuto  di essere assistito da un difensore senza una procura speciale diversamente, invece, da quanto richiesto dagli ermellini per il terzo non può che costituire un grave vulnus sul piano del diritto di difesa.
Sia l’indiziato di mafia che il terzo, nell’ambito del procedimento della prevenzione patrimoniale, hanno un interesse comune: quello di tutelare il loro  patrimonio.
Sganciato dall’accertamento della pericolosità sociale, il nuovo procedimento di prevenzione patrimoniale, che non contempla più un rapporto di pregiudizialità tra misure di prevenzione personale e patrimoniale, così come era previsto dall’art. 2 ter, 11° comma, n. 575 del 1965, pone sullo stesso piano il diritto di difendersi del prevenuto e del terzo. Entrambi devono dimostrare la provenienza legittima del bene e il terzo, più del prevenuto, l’effettiva titolarità dello stesso. Il terzo ha bisogno della stessa  tutela dell’indiziato di mafia e ciò non può essergli negata o resa più difficoltosa attraverso formalismi di natura civilistica.
Il processo penale è il “processo penale” e non può subire, per analogia, contaminazioni di natura civilistica quando comunque il presupposto dell’ablazione del patrimonio affonda le sue radici in condotte penalmente rilevanti sia pur accertate spesso, in sede di prevenzione, con affermazioni congetturali.
Il terzo titolare di un bene confiscato subisce gli stessi effetti pregiudizievoli del soggetto sospettato di appartenere ad un’associazione mafiosa. Le ragioni della confisca del bene appartenente al terzo sono le stesse di quelle poste a fondamento del provvedimento ablativo riguardante i beni appartenenti “direttamente” all’indiziato di partecipazione mafiosa: il bene costituisce il frutto di attività illecite o ne costituisce il reimpiego.
In tema di diritto all’impugnazione e in particolare di facoltà attribuite al terzo nell’ambito del procedimento di prevenzione, già la Corte Costituzionale, con sentenza n. 487 dell’8-20 novembre 1995, ha avuto modo di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 quinques della vecchia normativa 31 maggio 1965 n. 575 nella parte in cui non prevedeva che avverso il provvedimento di confisca possano proporsi le impugnazioni previste e con gli effetti indicati nell’art. 3 ter, 2° comma L. 31 maggio 1965 n. 575. Il legislatore aveva omesso di prevedere espressamente per il terzo interessato la possibilità di ricorre in appello. In quella circostanza il giudice delle leggi sostenne che essendo stato previsto uno specifico regime di impugnazione avverso i provvedimenti di confisca “non v'è ragione alcuna per la quale il medesimo regime non debba trovare applicazione nei confronti dei soggetti che subiscano l'identico provvedimento in base alla disposizione oggetto di impugnativa, con l'ovvia conseguenza di imporre, come unica soluzione costituzionalmente derivante dal quadro normativo di riferimento, quella di riequilibrare il sistema attraverso una pronuncia additiva in parte qua.” 
La CorteCostituzionale, già nel vigore della vecchia legge antimafia, quindi, si era preoccupata di rafforzare la posizione processuale del terzo interessato conferendogli la facoltà di ricorrere in appello. Una vera e propria mano tesa verso l’equiparazione delle posizioni. Pretendere una formula di mandato sacrale costituisce un’evidente disparità di trattamento. Una tale differenziazione non può che costituire una grave violazione dell’articolo 3 della Carta Costituzionale.  
 
Sul piano dell’interpretazione letterale della norma (art. 23, comma 3° codice antimafia) basta soltanto rifarsi al brocardo: ubi lex voluit dixit
Non si comprende, in ogni caso, la necessità di conferire il mandato difensivo attraverso una procura speciale. Rispetto al processo penale dove imputato e persona offesa si trovano in posizioni antitetiche e la parte civile è parte eventuale e non necessaria, nel procedimento di prevenzione patrimoniale il terzo non può  che ritenersi parte necessaria essendo  aggrediti i suoi beni. Infatti, in difetto gli è consentito di promuovere un incidente di esecuzione (sia pure nei limiti e coi limiti di tale procedimento incidentale) ove non citato a comparire per difendersi dinanzi al Tribunale.
Se il terzo come il prevenuto ha il diritto di nominare consulenti, di indicare elementi di prove, di produrre atti, ecc… è veramente irragionevole negare al terzo di conferire il mandato nella stessa forma semplice per come previsto per l’indiziato di associazione mafiosa.
E’ auspicabile, stante il perdurante orientamento della Corte di Cassazione, un intervento del giudice delle leggi attesa l’attuale impostazione data dal c.d. codice antimafia al processo di prevenzione patrimoniale. Eliminata la pregiudizialità della pericolosità sociale, il terzo interessato è dotato degli stessi diritti  di cui è fornito il prevenuto.
Il terzo deve considerarsi un vero e proprio soggetto processuale necessario poiché diversamente si realizzerebbe un’evidente violazione del diritto di difesa nei confronti del titolare del bene giuridico oggetto di confisca. E’ oltremodo irragionevole nonché discriminatoria la richiesta di un “quid pluris” del mandato difensivo conferito dal terzo. Non vi è ragione alcuna per mantenere due livelli di posizioni.
Se il processo di prevenzione patrimoniale è ritenuto un processo extrapenale (da molti oggi definito giustamente processo al patrimonio) lo deve essere anche per il prevenuto e non solo per il suo ritenuto “prestanome”. E poiché per l’indiziato di associazione mafiosa non è richiesto un mandato conferito con procura speciale allo stesso modo deve essere consentito al terzo.
 
                                                                             Avv. Giuseppe DACQUI’
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


[i]  Cass. Pen. Sez. II^ 9 luglio 2013 n. 31078; Cass. Pen. Sez. VI^ 27 giugno 2013 n. 35240