All’indagato, e vieppiù all’imputato, non in grado di comprendere l’idioma nazionale, il nostro ordinamento, in adesione ai principi del diritto comunitario, garantisce il diritto di conoscere le contestazioni penali, per permettergli di esercitare appieno il diritto di difesa, esistente nella misura in cui vi sia piena e puntuale comprensione dell’accusa.
E così, la tutela approntata dall’art. 111 co. 3 della carta costituzionale in tema di equo processo afferma che “Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico… sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo”.
Viene così postulato, in Costituzione, il diritto fondamentale dell’indagato di comprendere concretamente l’accusa mossagli, senza che l’idioma in cui la stessa è redatta formi un ingiustificato ostacolo.
Tale principio è riverberato nella legislazione comunitaria, e precisamente all’art. 6 co. 3 n. 1, CEDU, rubricato “Diritto ad un proceso equo”:
In particolare, ogni accusato ha diritto a:          a. essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico…”.
Sulla scorta di tali principi ispiratori, eppure cogenti ipso iure negli ordinamenti interni degli Stati membri, il Legislatore comunitario ha promulgato, nel 2010, la direttiva 2010/64/UE sull’obbligo di traduzione di atti per gli indagati alloglotti nel processo penale, così statuendo:
(art. 1, <<Oggetto e ambito di applicazione>>) La presente direttiva stabilisce norme relative al diritto all’interpretazione ed alla traduzione nei procedimenti penali e nei procedimenti di esecuzione di un mandato di arresto europeo.
(art. 3, <<Diritto alla traduzione di documenti fondamentali>>) Gli Stati membri assicurano che gli indagati o gli imputati che non comprendono la lingua del procedimento penale ricevano, entro un periodo di tempo ragionevole, una traduzione scritta di tutti i documenti che sono fondamentali per garantire che siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa e per tutelare l’equità del procedimento.
2. Tra i documenti fondamentali rientrano le decisioni che privano una persona della propria libertà, gli atti contenenti i capi d’imputazione e le sentenze.
Tale direttiva, di per sé precettiva per il diritto interno, è stata da ultimo recepita nel corpus della legislazione ordinaria mediante novellazione dell’art. 143 c.p.p. (<<Nomina dell’interprete>>), che oggi così statuisce:
1.L’imputatoche non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente dall’esito del procedimento, da un interprete al fine di poter comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa (…).
2.Negli stessi casi l’autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l’esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa, dell’informazione di garanzia, dell’informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna.
Appare così chiaro, in questo succinto excursus normativo, l’orientamento dei vari Legislatori – comunitario, costituzionale e ordinario – che informano le regole del processo penale italiano a cui è fatto obbligo attenersi: l’indagato ha pieno diritto, al fine di comprendere l’accusa per difendersi compiutamente, di capire dettagliatamente l’addebito.
E tanto, quando l’accusa viene mossa allo straniero, passa ineluttabilmente per la traduzione della stessa in una lingua al medesimo comprensibile.
D’altronde, la Suprema Corte ha a sua volta interpretato, in maniera rigorosa, tali principi.
Si cita, per brevità, soltanto la fondamentale pronuncia delle SSUU del 2006, che ha insegnato che
L’indagato straniero che non conosca la lingua italiana ha diritto alla traduzione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e della richiesta di rinvio a giudizio in una lingua a lui nota (La Corte ha ritenuto tale conclusione imposta, tra l’altro, dall’art. 111 co. 3 Cost., laddove si prevede espressamente che la legge assicura che la persona accusata di un reato “sia assistita da un interprete, se non comprende o non parla la stessa lingua impiegata nel processo” in riferimento a tutte le modalità di esercizio del diritto di difesa e, tra queste, quindi, dovendosi ricomprendere anche quelle connesse proprio all’avviso di chiusura delle indagini preliminari, perché questo deve enunciare l’imputazione e contenere l’avvertimento all’imputato della possibilità di esercizio di difesa sostanziale, oltre che tecnica: presentare memorie, depositare documenti, chiedere il compimento di atti di indagine, presentarsi per rilasciare dichiarazioni o rendere interrogatorio).
Con l’ovvia conseguenza, parimenti massimata, che
L’omessa traduzione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, in una lingua nota all’indagato alloglotta, ne determina la nullità ex art. 178 lett. c) e 180 c.p.p., che si riverbera sulla richiesta di rinvio a giudizio (…).
Da quanto testè esposto consegue che, laddove vi sia violazione di tali precetti normativi, si verterebbe in un’ipotesi di nullità assoluta, sub specie di violazione del diritto di difesa, ex art. 178 co. 1 lett. c) c.p.p. Avv. Andrea Parisi