Lo sviluppo e l’espansione della criminalità organizzata hanno indotto la Commissione Europea ad emanare una proposta di direttivai tendente a sollecitare i Paesi membri ad una stretta intesa politico-giuridica per aggredire, attraverso il congelamento e la confisca, i patrimoni e i profitti delle organizzazione criminali. Invero, l’allargamento dei confini, la facilità dei collegamenti, l’espansione della rete informatica che facilitano il movimento di denaro non potevano non far intervenire, in ossequio agli artt. 82 e 83 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, l’Organo europeo.

La Commissione Europea preoccupata giustamente dalle mire espansionistiche della criminalità organizzata transfrontaliera, con la proposta di direttiva del 12 Marzo 2012 intende proteggere “l’economia lecita da infiltrazioni criminali e corruzione, nonché a restituire i proventi di reato alle autorità pubbliche che forniscono servizi ai cittadini”ii. Sulla constatazione e preoccupazione che sempre più i beni frutto dell’attività delinquenziale commessa in un Stato membro vengono occultati e/o reinvestiti in altro Stato membro, sono stati lanciati l’allarme e l’invito ad alzare barriere per difendersi dall’aggressione illecita che rallenta la crescita economica ed acuisce la crisi finanziaria. Invero, il traffico illecito di sostanze stupefacenti, il traffico illecito di armi, la corruzione, la tratta degli esseri umani, producono immense ricchezze sottraendo introiti fiscali ai governi nazionali e al bilancio dell’Unione Europea. Allarme già, peraltro, lanciato da tempo nel programma di Stoccolma dell’anno 2009, nelle conclusioni del Consiglio Giustizia e Affari internazionali in tema di confisca e recupero dei beni, del Giugno 2010.   In linea con le spinte verso un sistema coordinato tra Stati membri “affinchè si giunga ad un sistema di confisca dei proventi di reato più efficace e diffusoiii, la Commissione Europea con la proposta di direttiva de qua mira ad una regolamentazione organica e più efficace per sopperire ai limiti di un sistema penale non coordinato.   Ma se da un lato tali esigenze e preoccupazioni sono giustificate dalla necessità di proteggere il traffico transnazionale commerciale, economico e finanziario, dall’altro lato occorre, per come rilevato da alcuni Stati membri, avere riguardo ai diritti fondamentali protetti dalle varie Costituzioni e dalle Convenzioni europee ed internazionali in tema di pieno esercizio di diritto di difesa e di garanzie di processi equi avanti giudici terzi ed imparziali. Se è pur vero che la direttiva in questione dichiara espressamente di rispettare pienamente il diritto di proporzionalità ed i diritti fondamentali (compresi il diritto di proprietà, la presunzione d’innocenza e i diritti della difesa, il diritto ad un giudice imparziale, il diritto a che la propria causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole, il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice nonché il diritto di essere informato su come poterlo esercitare, il diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare, il diritto alla protezione dei dati di carattere personale, il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato, e i principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene) è altrettanto vero interrogarsi se tutto ciò costituisca vera e propria tutela nell’ambito del nostro ordinamento giuridico ed in particolare dell’art. 111 Cost. e dei principi sanciti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.   Nel delimitare l’ambito della direttiva (che contiene solo norme minime nel senso che ogni Stato membro può ampliarle con propria legge nazionale), la Commissione ha voluto specificare, sulla base anche di precedenti decisioni quadro dell’Unione e delle Convenzioni internazionali, i termini “provento di reato”, “confisca”, “bene”, “strumenti”, “congelamento”, “reato”, sì da uniformare i concetti all’interno degli ordinamenti dei vari Stati dell’Unione.   L’analisi, nel presente studio, è rivolta, in particolar modo, all’articolo 8 della direttiva adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea. Tale articolo contiene le indicazioni a ciascun Stato membro sulle garanzie da assicurare a salvaguardia dei diritti delle persone colpite dall’ablazione del bene (congelamento in via provvisoria o confisca). Gli Stati membri devono assicurare il diritto a un ricorso effettivo ad un giudice imparziale e che gli indagati godano del diritto a un ricorso effettivo. Il provvedimento di congelamento deve essere supportato da una congrua motivazione (“ben motivato”) e che sia valido solo per il tempo necessario a conservare il bene in vista di un’eventuale successiva confisca. Ogni Stato membro deve disporre che vi sia l’effettiva possibilità, in qualunque momento prima della confisca, di impugnare dinanzi al giudice il provvedimento di congelamento da parte delle persone interessate; stesso diritto deve essere assicurato agli interessati (anche terzi) che subiscono la confisca (provvedimento motivato, comunicazione all’interessato, diritto all’impugnazione).   Ciò che desta, però, notevoli perplessità è la totale inversione della prova delineata all’articolo 4 della direttiva, cui si cerca di porre rimedio al comma 4° dell’articolo 8 nel concedere all’indagato o all’imputato l’effettiva possibilità di contestare la “probabilità” in base alla quale i beni in questione sono considerati proventi da reato.   Il sopra richiamato articolo 4 consente agli Stati membri di adottare le misure necessarie per poter procedere alla confisca totale o parziale dei beni che appartengono a una persona condannata per un reato laddove, sulla base di fatti specifici, l’autorità giudiziaria ritenga molto più probabile che i beni in questione siano ottenuti dal condannato mediante attività criminali analoghe, piuttosto che da attività di altra natura.   A tale potere di confisca, però, non può ricorrersi, secondo la direttiva, quando l’attività criminale non ha potuto essere oggetto di procedimento penale per prescrizione del reato oppure perché l’imputato è stato definitivamente assolto o vi sia stato un precedente giudicato. Eccezioni alla detta ipotesi di non ricorso alla confisca sono i casi di procedimenti che avrebbero potuto portare ad una condanna ma che non si è avuta per morte o malattia permanente dell’indagato o imputato oppure nei casi in cui la malattia o la fuga dell’indagato o imputato prima dell’azione penale o dell’emissione della condanna non consenta di agire penalmente entro tempi ragionevoli e comporti il rischio grave che l’azione penale sia invalidata dalla prescrizione.iv   La previsione della confisca dei proventi e strumenti di reato, in assenza di una condanna penale perché il processo non si è potuto celebrare per morte o malattia permanente dell’imputato, non pare essere in armonia con il diritto di difendersi e con la presunzione di non colpevolezza.   Come ciò possa essere compatibile con le nostre norme interne e con quanto espresso nell’articolo 8 della direttiva in tema di garanzie è difficile comprenderlo.   Mentre il caso relativo alla fuga dell’imputato che possa impedire l’esercizio dell’azione penale o l’emissione della condanna non riguarda il nostro ordinamento attesa la possibilità di processare un soggetto che si renda irreperibile, è di tutta evidenza, invece, l’incompatibilità con gli articoli 85, 87, 91, 96, 97 c.p. e 71 c.p.p. (non imputabilità e sospensione del processo per incapacità dell’imputato) nell’ipotesi di morte o malattia permanente dell’imputato.   Di talchè ciò che doveva essere inserito nei casi di non ricorso alla confisca (art. 4 comma 2°) è stato invece inserito, disattendendo le disposizioni di garanzia offerte all’imputato, nell’ipotesi di confisca non basate sulla condanna ma su principi estremamente congetturali: “se l’indagato o l’imputato avesse potuto essere processato avrebbe potuto probabilmente subire una condanna”.   Senza alcun contraddittorio e senza un processo, l’ipotesi di reato diventa probabile (anzi certa) condanna, tanto da confiscare i beni che si ritengono essere strumenti o proventi di reato. Se già è una notevole forzatura, sul terreno della probabilità, consentire, in presenza dell’imputato imputabile e capace, l’apprensione dei beni, la questione diventa delicata ed il sacrificio, in ragione dei principi interni del nostro Stato membro, davvero insopportabile, quando avviene in assenza per incapacità o per non imputabilità.   Peraltro, giova sottolineare che più volte il giudice delle leggi interessato sulla questione di incostituzionalità dell’art. 71 c.p.p. ha ribadito il principio inviolabile dell’imputato di partecipare coscientemente al processov.   Se è questo il principio, l’indicazione europea appare in palese netto contrasto con la struttura del nostro codice di rito e con il dettato costituzionale. Ma anche la Corte europea ritiene imprescindibile il diritto dell’imputato a difendersi per contrastare l’accusavi. Diritto di difesa che deve essere effettivo.   Nell’ambito delle nostre norme interne, vi è da osservare che il procedimento di prevenzione, che non può in alcun modo equipararsi ad un procedimento amministrativo tout court, e le ipotesi di confisca, che fuoriescono dal paradigma dell’art. 240 c.p., sembrano sfuggire alle garanzie costituzionali.   Così la non ritenuta incompatibilità tra il giudice che emette il provvedimento di sequestro e quello della confisca, il legittimo impedimento difensivovii non invocabile nei giudizi camerali, il ricorso per Cassazione per sola violazione di legge, sono limiti alle garanzie difensive, che in ragione della ritenuta diversità con il procedimento di cognizione, giustificano tutt’oggi la manifesta infondatezza delle eccezioni di incostituzionalità più volte sollevate.   Sui limiti del ricorso per Cassazione avverso i provvedimenti del giudice della prevenzione, tempo addietro, la Suprema Corte, con ordinanza del 26-11-2003, in un procedimento di prevenzione aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, undicesimo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, recante <<Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza (e per la pubblica moralità)>>, <<nella parte in cui, limitando alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto della Corte d’Appello in materia di misure di prevenzione, esclude la ricorribilità in cassazione per vizio di illogicità manifesta della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale>>.   Nella fattispecie, la Corte di legittimità aveva osservato che benché nei motivi di ricorso e nei motivi aggiunti la difesa non abbia mai fatto riferimento al vizio di manifesta illogicità della motivazione di cui all’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., la maggior parte delle censure mosse contro il provvedimento impugnato attiene <<alla congruenza logica>> del ragionamento seguito dalla Corte d’Appello <<nella valutazione degli indizi tratti dalle chiamate di correo acquisite nel processo penale, nell’accertamento del luogo in cui si è manifestata la pericolosità sociale (della persona sottoposta alla misura) e dell’attualità della stessa, nonché nell’apprezzamento delle risultanze probatorie riguardanti le fonti di reddito>>.   Tuttavia in base all’art. 4, undicesimo comma, della legge n. 1423 del 1956 il ricorso per cassazione avverso il decreto con il quale la Corte d’Appello decide sulle misure di prevenzione è ammesso solo <<per violazione di legge>>; pertanto la Corte aveva ritenuto che per decidere sull’ammissibilità del ricorso sia preliminarmente necessario verificare se il vizio di illogicità manifesta della motivazione possa considerarsi compreso nella violazione di legge.   Ricordando, tra l’altro, che il procedimento di prevenzione, pur mantenendo le proprie peculiari connotazioni, è ormai <<pervenuto ad una compiuta giurisdizionalizzazione e ad una piena assimilazione al processo ordinario di cognizione, essendo caratterizzato, al pari di quest’ultimo, dai principi coessenziali al giusto processo, identificati dal novellato art. 111 Cost. nella presenza di un giudice terzo e imparziale e nel contraddittorio delle parti in posizione di parità>>, la potestà di prevenzione non può prescindere dall’osservanza delle garanzie che sono proprie del processo, e pertanto, per quanto concerne le impugnazioni, deve essere assicurato il <<controllo effettivo e reale delle decisioni limitative della libertà personale>>.   Sotto questo profilo sarebbe evidente il contrasto dell’art. 4, undicesimo comma, della legge n. 1423 del 1956 con il principio di ragionevolezza, in quanto la disciplina censurata, escludendo dal novero dei vizi deducibili con il ricorso per Cassazione quello di manifesta illogicità della motivazione, comporta una <<contrazione del livello di effettività della tutela apprestata dall’art. 13 Cost. alla libertà della persona>>.   In particolare, è stato evidenziato che l'art. 3 Cost. risulterebbe violato anche per la irragionevole disparità della disciplina censurata rispetto a quella dettata in tema di misure di sicurezza, nonché in relazione alle misure previste dall'art. 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, nei confronti dei soggetti che abbiano posto in essere condotte violente in occasione di manifestazioni sportive, settori nei quali il ricorso per cassazione è esteso all'illogicità manifesta della motivazione. Si tratterebbe - concludeva la Corte rimettente - di un caso di «irragionevolezza sopravvenuta», in quanto la tutela offerta dal ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione avrebbe segnato un arretramento nel confronto con il codice del 1930, sotto la cui vigenza la giurisprudenza ammetteva il ricorso anche per i vizi logici della motivazione.   Il giudice delle leggi, però, ha ritenuto che tali rilievi tuttavia si basano sul confronto tra settori direttamente non comparabili, posto che il procedimento di prevenzione, il processo penale e il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza sono dotati di proprie peculiarità, sia sul terreno processuale che nei presupposti sostanziali.   Tale motivazione è stata duramente criticata dalla più autorevole dottrina poiché è stato ribadito che “è del tutto pacifico che, tranne il diverso momento rilevante ai fini dell'accertamento della pericolosità, non esiste alcuna differenza concettuale tra le misure di prevenzione post delictum, quali sono le misure di sicurezza, ed ante delictum, quali sono le misure di prevenzione ai sensi della l. n. 1423 del 1956, poiché entrambe hanno lo scopo di prevenire la commissione di un reato in base ad un giudizio di probabilità fondato sulla pericolosità del soggettoviii.   Di talchè devono ritenersi irrazionali le limitazioni relative ai vizi deducibili in Cassazione soltanto per le misure ante delictum e non per quelle relative alla misure ex art. 6 L. n. 401 del 1989.   E’ stato, altresì, giustamente osservato che la misura di cui al citato articolo 6 della legge n. 401/1989 incide sulla libertà personale ma in modo minore rispetto alle misure di prevenzione poiché queste ultime sono dirette a controllare tutto il tenore di vita del soggetto pericoloso e non soltanto il breve periodo in cui si svolgono le manifestazioni sportive alle quali è vietato l’accessoix.   Tale questione di legittimità, sollevata giustamente dalla Suprema Corte, è stata, però, come si è visto, liquidata sbrigativamente dal giudice delle leggi ma ciò in un tempo in cui non erano ancora intervenute la novella legislativa del 2006 n. 46 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 93 del 12-03-2010.   Ridurre il campo di applicazione e vietare alla Corte di legittimità anche l’accesso agli atti comporta inevitabilmente la lesione del diritto a difendersi: “non importa cos’abbiano narrato i testimoni e nemmeno se esistano, purchè il motivante li nomini, attribuendo a ciascuno un detto; idem quando tiri in ballo ricognizioni mai eseguite; ecco ridotto il terzo grado ad una fantasmagoria dove valgono anche pseudo-fatti processuali, mai accaduti, se l’estensore ne parlax.   E l’assunto che ha sorretto la dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità costituzionale a suo tempo sollevata (basato sul confronto tra settori direttamente non compatibili posto che il procedimento di prevenzione, il processo penale e il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza sono dotati di proprie peculiarità, sia sul terreno processuale che nei presupposti sostanziali) è oggi messo in seria e concreta discussione proprio dallo stesso giudice delle leggi che con sentenza n. 93 del 12-03-2010 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 L. 27-12-1956 n. 1423 e dell’art. 2 ter della L. 31-05-1985 n. 575 nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione si svolga, davanti al Tribunale e alla Corte di Appello, nelle forme dell’udienza pubblica, nonché dalla novella legislativa n. 46 del 2006.   Nella sentenza n. 93/2010 il giudice delle leggi ha, tra l’altro, evidenziato che “Le osservazioni della Corte di Strasburgo colgono, d'altro canto, le specifiche peculiarità del procedimento di prevenzione, che valgono a differenziarlo da un complesso di altre procedure camerali. Si tratta, cioè, di un procedimento all'esito del quale il giudice è chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su beni dell'individuo costituzionalmente tutelati, quali la libertà personale (art. 13, primo comma, Cost.) e il patrimonio (quest'ultimo, tra l'altro, aggredito in modo normalmente "massiccio" e in componenti di particolare rilievo, come del resto nel procedimento a quo), nonché la stessa libertà di iniziativa economica, incisa dalle misure anche gravemente "inabilitanti" previste a carico del soggetto cui è applicata la misura di prevenzione (in particolare, dall'art. 10 della legge n. 575 del 1965). Il che conferisce specifico risalto alle esigenze alla cui soddisfazione il principio di pubblicità delle udienze è preordinato.”   E’ facile osservare come la Corte Costituzionale abbia rilevato come la misura di prevenzione incida pesantemente sulla libertà personale e sul patrimonio del proposto tale da rendere simile il relativo procedimento a quello penale.   Ma la pubblicità dell’udienza e gli interessi in gioco, presidiati dalla Carta Costituzionale, dovrebbero far ripensare e rivedere gli orientamenti giurisprudenzialixi che tendono a non equiparare il giudizio di cognizione con quello di prevenzione. Né può dirsi che l’auspicata equiparazione può ritenersi un abbassamento del livello di guardia poiché se è pur vero che nel procedimento di prevenzione l’oggetto, su cui il giudice è chiamato ad emettere una decisione, è diverso rispetto al processo penale ciò non autorizza a porre il procedimento di prevenzione al di fuori delle regole del giusto processo xii. E’ auspicabile, pertanto, un’armonizzazione delle norme interne e di quelle europee con i principi costituzionalixiii.   Visto la ritrosia, anche, da parte dei giudici della Consultaxiv, l’intervento del legislatore non guasterebbe e si rende più che mai opportuno e necessario. Non è più tempo di schemi procedimentali differenziati, né di forme di contraddittorio necessario nel processo penale “pubblico” o eventuale in quello camerale. Non può mai essere la semplice forma camerale o pubblica a contrarre o a espandere il diritto di difendersi. La difesa nel processo penale nel senso lato o è effettiva o è niente. Spegnere il motore principale della criminalità organizzata transfrontaliera è un conto, ridurre la potenza del motore della difesa o spegnerlo è altro conto. Nel bilanciamento degli interessi non può non tenersi conto del rilevante peso che ha il diritto di difendersi dentro e oltre frontiera. Le diverse culture giuridiche nell’ambito della tutela dei diritti fondamentali dell’uomo impongono non solo soluzioni di coordinamento ma anche e soprattutto interventi incisivi sul grado di tutela che si vuole concedere. Il legislatore da un lato ed il giudice dall’altro devono compiere un passo in avanti in direzione di una più intensa tutela dei diritti fondamentali dell’uomo universalmente riconosciuti. Avv. Giuseppe Dacquì, novembre 2012
(riproduzione riservata)
  i cfr. proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa al congelamento e alla confisca dei proventi di reato nell’Unione Europea del 12 Marzo 2012 ii cfr. ut supra iii cfr. documento del Consiglio Giustizia e Affari Interni in materia di confisca 7769/3/10 iv cfr. art. 5 direttiva del 12 Marzo 2012 - Confisca non basata sulla condanna Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie per poter procedere alla confisca dei proventi e strumenti di reato in assenza di una condanna penale, a seguito di un procedimento che, se l’indagato o imputato avesse potuto essere processato, avrebbe potuto portare ad una condanna penale, laddove:   (a) la morte o la malattia permanente dell’indagato o imputato impedisca di portare avanti l’azione penale, oppure (b) la malattia o la fuga dell’indagato o imputato prima dell’azione penale o dell’emissione della condanna non consenta di agire penalmente entro tempi ragionevoli e comporti il rischio grave che l’azione penale sia invalidata dalla prescrizione. v cfr. C. Cost. ord. 298/91; sent. 281/1995; ord. 33/2003; ord. 112/2007 vi cfr. Corte Europea 7 Ottobre 1988, Salabiaku c Francia vii cfr. 27 Giugno 2006 n. 31461, Rassamani viii cfr. P. Vincenzo Molinari nota a sent. Corte Cost. 05-11-2004, n. 321 in Cass. Pen. 2005, 02, 0414 ix cfr. C. Cost. 23 Maggio, 1997, n. 144 x Così la critica di Cordero, Procedura penale, ed. 2001, cit. p. 1122. Le voci di critica nei confronti dell’assetto del ricorso per cassazione, così come realizzato dall’art. 606 c.p.p. < – 2008   xi Cfr. Cassazione penale  Sez. Un. 27 giugno 2006 n. 31461 xii In tal senso Mariangela Montagna, procedimento applicativo delle misure ablative di prevenzione e garanzie del giusto processo in la giustizia patrimoniale penale, tomo I°, pag. 453, UTET, anno 2011 xiii cfr. sentenze C. Cost. 24 Ottobre 2007 nn. 348 e 349 xivCfr. sent. Corte Costituzionale 11 marzo 2011 n. 80:Irrilevante sarebbe, inoltre, la circostanza che, nei procedimenti di prevenzione, il ricorso per cassazione possa proporsi solo per violazione di legge (vizio peraltro configurabile anche nel caso di mancanza della motivazione del provvedimento impugnato o di carenze della stessa tali da renderla meramente apparente), poiché, quali che siano i motivi deducibili, il giudizio di cassazione resta comunque un giudizio di legittimità.