Il 30 agosto scorso viene pubblicata la corposa ordinanza ammissiva della custodia cautelare in carcere a carico di Valter Lavitola, Giampaolo Tarantini e Devenuto Angela, moglie di quest’ultimo. I tre sono indagati per estorsione ai danni del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
Nella suddetta ordinanza, firmata dal GIP di Napoli, dott.ssa Amelia Primavera, sono riversate le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche dell’utenza panamense di Valter Lavitola, ex direttore del quotidiano Avanti!. Quest’ultimo, entrato in contatto con alcuni soggetti dell’inchiesta su Finmeccanica, finisce per essere intercettato suo malgrado, dando vita ad un nuovo filone di indagine che porterà all’ordinanza di cui si è detto.
Nelle trascrizioni finiscono anche i dialoghi tra Lavitola e la Devenuto dai quali si capisce che i due hanno una relazione amorosa. I due amanti insieme a Tarantini si presume che abbiano ricattato Berlusconi al fine di ottenere un’ingente somma di denaro in cambio del silenzio <sulla natura mercenaria dei rapporti sessuali dallo stesso (Berlusconi) intrattenuti> con <una molteplicità di giovani donne tra le quali D’Addario Patrizia>.

Le intercettazioni telefoniche sono un mezzo di ricerca della prova, disciplinate dal codice di procedura penale agli artt. 266 e ss. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel definire l’intercettazione telefonica come la captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscono con l’intenzione di escludere altri (Cass. Sez. Unite n. 36747 del 28 maggio 2003).
Proprio perché vanno a violare il diritto alla riservatezza dei soggetti, le intercettazioni sono consentite solo in relazione a reati di particolare gravità tassativamente elencati nel 1° comma dell’art. 266 c.p.p. (tra gli altri troviamo anche i reati di contrabbando, reati contro la pubblica amministrazione, ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria). Gli stessi limiti incontra anche l’intercettazione di comunicazioni tra presenti (c.d. “intercettazioni ambientali”).
E’ il PM (pubblico ministero) a richiedere al GIP (giudice per le indagini preliminari) l’autorizzazione a disporre l’intercettazione sulla base di un doppio presupposto:1)che vi siano gravi indizi di reato e 2)
che vi sia una assoluta indispensabilità dell’intercettazione ai fini delle indagini. Le operazioni per l’acquisizione delle intercettazioni sono materialmente eseguite dalla polizia giudiziaria e, una volta ultimate, i relativi verbali con le annotazioni delle conversazioni (brogliacci), nonché le registrazioni devono essere immediatamente trasmessi al PM. Quest’ultimo dà avviso ai difensori degli indagati al fine di prenderne visione e infine arriveranno al GIP che disporrà la trascrizione integrale delle registrazioni. 

Il codice (art. 269 c.p.p.) prevede la possibilità per il giudice, su istanza dell’interessato, di disporre la distruzione di quelle intercettazioni che risultino inutili ai fini processuali. Questa norma esprime un’evidente esigenza di tutela della privacy dei soggetti coinvolti nelle intercettazioni. Ma i recenti fatti di cronaca evidenziano la scarsa applicazione della norma nella realtà giudiziaria attuale.
I vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno avanzato diverse proposte di modifica della normativa che disciplina questa materia: dalla limitazione delle intercettazioni alle sole ipotesi di reati associativi al divieto di pubblicazione delle stesse fino alla conclusione delle indagini preliminari o addirittura fino al termine dell’udienza preliminare.
Vero è che non è sempre facile bilanciare i due interessi in gioco. Le intercettazioni restano il mezzo di ricerca della prova principale ai fini delle indagini, ma d’altro canto spesso la cronaca ci offre nomi e circostanze che nulla hanno a che fare con le indagini stesse e che finiscono con l’attirare maggiormente l’attenzione del pubblico, ormai abituato al gossip giudiziario.