Tema attualissimo per la giurisprudenza dei legittimità consiste nel valutare lo spazio idoneo ad ogni detenuto in quelle che oggi sono denominate camere di pernottamento (ex celle). La vicenda che ha visto coinvolta la Suprema Corte prende le mosse non solo da una vicenda specifica, ma dal fatto che prima di tale pronuncia vi erano solo orientamenti giurisprudenziali e mai una decisione che potesse cristallizzare la fattispecie, soprattutto in assenza di una disciplina codificata che riguardasse lo spazio individuale per ciascun detenuto, tanto è vero che il corpo normativo 354/1975 e relative norme di attuazione nulla dicono in merito, lasciando quindi una lacuna che è stata colmata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
LA VICENDA
Un detenuto, presso il carcere di Spoleto, avanzava reclamo al fine di ottenere una tutela inibitoria ai sensi dell''articolo 35 bis e 35ter della Legge sull'Ordinamento Penitenziario, in quanto lamentava che la propria permanenza era in violazione dell''articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell''Uomo.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Contributi di notevole interesse circa lo spazio consentito al detenuto presso la camera di pernottamento sono stati avanzati dalla Corte di Strasburgo, la quale in un primo momento poneva attenzione soprattutto alle condizioni igieniche ed al rischio di diffusione delle malattie. Particolarmente importante è la sentenza Sulejmanovic c. Italia, 16 luglio 2009, con la quale la Corte Europea condannava al trattamento inumano lo Stato che non consentiva per ogni detenuto una metratura cubica di metri tre; trattasi in tal caso di trattamento inumano avente presunzione assoluta, mentre nel caso in cui lo spazio per ciascun detenuto era compreso tra tre e quattro metri cubici si trattava di presunzione relativa al trattamento disumano, tenendo in considerazione anche altri fattori. Il medesimo orientamento è stato assunto nella sentenza del giorno 8 gennaio 2013, Torregiani e altri c. Italia, con la quale ha fatto emergere problematiche di tipo organizzativo nelle carceri italiane, facendo si che fosse ingiunto, a chi di competenza, di dotare ristoro a coloro che non lo possiedono. Con la sentenza Mursic c. Croazia, 20 ottobre 2016, invece sono stati definiti tre requisiti minimi che ogni camera di pernottamento deve avere: a) spazio di almeno 3 m.q. per detenuto; b) spazio individuale per dormire e c) libertà di movimento; nel caso in cui vengono a mancare uno di questi requisiti si ha una violazione dell''articolo 3 della C.E.D.U. salvo che vi sia una sorta di compensazione con il cotesto, ossia la struttura offra ottime possibilità di lavoro esterno, ottima igiene ovvero buona illuminazione etc, mentre nel caso in cui se lo spazio è compreso tra tre o quattro m.q. per la violazione è necessario la mancanza di idonee strutture, mentre nel caso in cui lo spazio è superiore a quattro m.q. il sovraffollamento, e quindi la conseguente violazione del citato articolo, si deve basare su altri presupposti. Il problema del calcolo per il detenuto nasce soprattutto nel considerare o meno gli arredi interni quali ostacoli alla metratura, ossia se letto ed armadio devono essere ricompresi nella metratura oggetto di contestazione ed è proprio questo il fulcro della pronuncia della Suprema Corte.
LA VICENDA
Un detenuto, presso il carcere di Spoleto, avanzava reclamo al fine di ottenere una tutela inibitoria ai sensi dell''articolo 35 bis e 35ter della Legge sull'Ordinamento Penitenziario, in quanto lamentava che la propria permanenza era in violazione dell''articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell''Uomo.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Contributi di notevole interesse circa lo spazio consentito al detenuto presso la camera di pernottamento sono stati avanzati dalla Corte di Strasburgo, la quale in un primo momento poneva attenzione soprattutto alle condizioni igieniche ed al rischio di diffusione delle malattie. Particolarmente importante è la sentenza Sulejmanovic c. Italia, 16 luglio 2009, con la quale la Corte Europea condannava al trattamento inumano lo Stato che non consentiva per ogni detenuto una metratura cubica di metri tre; trattasi in tal caso di trattamento inumano avente presunzione assoluta, mentre nel caso in cui lo spazio per ciascun detenuto era compreso tra tre e quattro metri cubici si trattava di presunzione relativa al trattamento disumano, tenendo in considerazione anche altri fattori. Il medesimo orientamento è stato assunto nella sentenza del giorno 8 gennaio 2013, Torregiani e altri c. Italia, con la quale ha fatto emergere problematiche di tipo organizzativo nelle carceri italiane, facendo si che fosse ingiunto, a chi di competenza, di dotare ristoro a coloro che non lo possiedono. Con la sentenza Mursic c. Croazia, 20 ottobre 2016, invece sono stati definiti tre requisiti minimi che ogni camera di pernottamento deve avere: a) spazio di almeno 3 m.q. per detenuto; b) spazio individuale per dormire e c) libertà di movimento; nel caso in cui vengono a mancare uno di questi requisiti si ha una violazione dell''articolo 3 della C.E.D.U. salvo che vi sia una sorta di compensazione con il cotesto, ossia la struttura offra ottime possibilità di lavoro esterno, ottima igiene ovvero buona illuminazione etc, mentre nel caso in cui se lo spazio è compreso tra tre o quattro m.q. per la violazione è necessario la mancanza di idonee strutture, mentre nel caso in cui lo spazio è superiore a quattro m.q. il sovraffollamento, e quindi la conseguente violazione del citato articolo, si deve basare su altri presupposti. Il problema del calcolo per il detenuto nasce soprattutto nel considerare o meno gli arredi interni quali ostacoli alla metratura, ossia se letto ed armadio devono essere ricompresi nella metratura oggetto di contestazione ed è proprio questo il fulcro della pronuncia della Suprema Corte.