LA NEGOZIAZIONE ASSISTITA
Il decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito con la legge 10.11.2014 n.162, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale in data 10.11.2014.
Ad iniziativa dei deputati Paniz e Contento venne presentata in Parlamento, in data 25.05.2011, la proposta di legge n.4376 sulla disciplina della procedura partecipativa di negoziazione assistita da un avvocato, recepita dal codice civile francese dove era stata introdotta nel dicembre del 2010, frutto del lavoro svolto dall’Unione Triveneta dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati.
A ben vedere questo ottimismo, e l’enfasi propagandistica con la quale è stata presentata l’introduzione dell’istituto nel nostro ordinamento, non sembrano del tutto giustificati, dal momento che, sotto il profilo tecnico-giuridico, la disciplina sulla negoziazione assistita obbligatoria presenta diverse criticità di cui parlerò in seguito.
L’istituto della negoziazione assistita è disciplinato dal decreto legge n.132/2014, convertito con modificazioni nella legge n.162/2014, nell’ambito di un più vasto provvedimento costituito da sette capi di contenuto eterogeneo volti alla c.d. “degiurisdizionalizzazione del contenzioso civile”.
Il Capo II del testo legislativo è dedicato interamente alla procedura di negoziazione assistita.
 
1. La negoziazione volontaria.
 
La finalità della negoziazione assistita è quella di risolvere in via amichevole una controversia tramite l’assistenza di avvocati cooperando in buona fede e con lealtà.
L’art.2 prevede che la convenzione di negoziazione, redatta in forma scritta, deve precisare:
a) il termine concordato dalle parti per l’espletamento del procedimento;
detto termine non può essere in ogni caso inferiore ad un mese e non superiore a tre mesi e può essere prorogato di ulteriori trenta giorni su accordo delle parti (art.2, comma 2, lett.a);
nell’ultima stesura governativa del provvedimento è stata così modificata la norma che prevedeva inizialmente un generico rinnovo su accordo delle parti “nel termine di trenta giorni”;
b) l’oggetto della controversia che non deve riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di lavoro.
Il legislatore si limita ad indicare in modo estremamente succinto quello che deve essere il contenuto della convenzione di negoziazione lasciando alle parti o, meglio, agli avvocati ampio margine per la redazione dell’atto.
Va detto che nei paesi in cui da oltre quindici anni vige il c.d. “diritto collaborativo” (Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda) a cui si è rifatta anche l’esperienza francese, è prevista una “carta di collaborazione” con la predisposizione di tutti i punti della controversia e l’assunzione delle obbligazioni dei firmatari di modo che il procedimento di negoziazione assistita non costituisca un mero tentativo o un percorso solo prodromico alla lite giudiziaria.
A tal fine gli avvocati sono tenuti a ritirarsi dal procedimento quando una parte viola il patto ed adisce il giudice, ma pure se nutrono dubbi circa la reale intenzione del cliente o dell’altra parte di condurre efficacemente i negoziati.
La sottoscrizione della carta vieta, in caso di fallimento della procedura, di rappresentare poi nel contenzioso le parti (tale divieto è invece previsto nel provvedimento legislativo solo ai fini dell’impugnazione dell’accordo). Infine, è convenuto che le informazioni scambiate durante il processo di collaborazione non possano essere utilizzati in qualsivoglia contenzioso successivo (questo divieto vale anche nel provvedimento legislativo).
In caso di disaccordo o di accordo parziale, è prevista la possibilità di redigere un verbale per constatare l’accordo parziale e i punti su cui la controversia continua: il beneficio per le parti allora consiste nel poter adire al giudice con la sola rimessione al cancelliere del documento, accompagnato dalle produzioni pertinenti, perché da una parte siano omologati i punti di accordo e dall’altra si statuisca sui punti in disaccordo senza che la causa scada ad un livello precedente, dato l’avanzamento delle trattative tra le parti durante il processo partecipativo.
I tempi destinati alla negoziazione a monte della lite giudiziaria permettono anzi di accelerare gli ulteriori tempi processuali, in caso di fallimento totale o parziale della negoziazione.
Queste caratteristiche fondano la forza del diritto collaborativo in cui la negoziazione assistita è un procedimento “seriamente” alternativo al ricorso giudi-ziario.
Tornando al provvedimento legislativo che ci riguarda, la convenzione assistita è conclusa con l’assistenza di uno o più avvocati (nel testo originario si faceva riferimento ad un solo avvocato) che certificano, sotto la loro responsabilità professionale, l’autografia delle sottoscrizioni apposte.
La convenzione di negoziazione può essere stipulata anche aderendo alla proposta della controparte come stabilito dall’art.4.
L’invito a stipulare, sottoscritto anche dalla parte con la certificazione dell’autografia da parte dell’avvocato, deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’avvertimento che la mancata risposta entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto potrà essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt.96 e 642, co.1, c.p.c..
Sembrerebbe di capire che la mancata risposta o il rifiuto, oltre ad essere elemento valutabile ai fini della responsabilità aggravata, impedirebbe la concessione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo.
Non comprendo il richiamo all’art.642 c.p.c. sia perché viene prevista una sorta di “sanzione” diretta a far venir meno presupposti previsti dalla legge per l’esecutorietà del decreto ingiuntivo (in caso di cambiale, assegno bancario o circolare, certificato di liquidazione di borsa, atto ricevuto da notaio o da pubblico ufficiale autorizzato), sia, soprattutto, perché, se la parte avesse a disposizione elementi per procedere in sede monitoria, non avrebbe interesse alcuno a procedere alla negoziazione assistita.
La dichiarazione di mancato accordo viene certificata dall’avvocato.
E’ fondamentale il momento della comunicazione dell’invito che alla pari di quello della sottoscrizione della convenzione, consente l’interruzione – istantanea e permanente – della prescrizione. Dalla stessa data è impedita, per una sola volta, la decadenza.
Se l’invito è rifiutato o non è accettato nel termine di trenta giorni dalla ricezione, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione o dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati (art.8).
Trattandosi di negoziazione facoltativa che, diversamente da quanto accade in quella obbligatoria, lascia alle parti la libertà di scelta dello strumento, a mio parere non possono trovare giustificazione alcuna le conseguenze della mancata accettazione o del mancato accordo nella successiva fase giudiziale di cui si parla nell’art.4.
 
2. La negoziazione obbligatoria (art.3).
 
La negoziazione assistita è condizione di procedibilità, nel senso che per esercitare in giudizio un’azione è obbligatorio, tramite avvocato, invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, per le seguenti materie:
  • risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti;
  • domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti € 50.000,00.
L’art.3 co.1, con riferimento alla seconda ipotesi fa salvi i casi previsti dall’art.5, co.1 bis, del d.lgs. n.28/2010, escludendo cioè il ricorso alla negoziazione assistita per le materie per le quali è già prevista la mediazione obbligatoria (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari).
L’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza.
Se la negoziazione assistita è già iniziata ma non conclusa, il giudice fissa l’udienza  successiva dopo la scadenza del termine di cui all’art.2 co.3 (non inferiore a un mese e non superiore a tre mesi).
Si deve presupporre che il giudice terrà conto del termine più lungo in mancanza di indicazioni oppure potrà tener conto di quello più breve magari indicato dalle parti nella convenzione o della parte del termine ancora mancante in considerazione di quello trascorso? Dovrà tener conto anche della possibile proroga che le parti potrebbero considerare?
Quest’ultima appare un’ipotesi meramente accademica che comunque svilisce il senso dell’istituto della negoziazione assistita.
Che senso ha intraprendere un giudizio se sono in corso le trattative per la negoziazione assistita e prevedere che tale ipotesi si possa verificare?
E’ lo stesso legislatore a dubitare del nuovo istituto nel prevedere che si possa verificare una siffatta ipotesi.
Forse, a mio parere, e per quanto accade nell’ordinamento degli altri Stati in cui è consolidata l’esperienza del diritto collaborativo, questa parte della disposizione (art.3, co.1) dovrebbe essere rivista introducendo il divieto di intraprendere l’azione giudiziaria nel corso della negoziazione.
Si corre il rischio di relegare l’istituto a quello che appare oggi, nella maggior parte dei casi, la mediazione, ossia un mero passaggio per poi esercitare l’azione giudiziaria, perché la parte potrebbe solo formalmente formulare l’invito a negoziare essendo possibile contemporaneamente procedere al giudizio.
D’altronde il termine a comparire nell’atto di citazione, soprattutto per le cause in tribunale, è talmente ampio che si potrebbe contemporaneamente e tranquillamente formulare l’invito a negoziare e notificare l’atto di citazione.
Quando invece la negoziazione non è stata esperita, il giudice assegna alle parti il termine di quindici giorni per la comunicazione dell’invito e si presuppone che rinvierà la causa tenendo conto del termine di cui all’art.2 co.3: ma quale sarà il termine un mese o tre mesi o tre mesi più trenta giorni della proroga, considerato che le parti non hanno ancora proceduto alla negoziazione e non hanno fissato alcun termine?
La norma (co.2) considera avverata la condizione di procedibilità se l’invito a negoziare non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla ricezione ovvero, in caso di adesione, quando è decorso inutilmente il termine di cui all’art.2 co.2 lett.a (da un mese a tre mesi).
Si pensi alla parte invitata che ha interesse a perder tempo per svariate ragioni che strumentalmente accetti l’invito a negoziare!
La negoziazione non costituisce condizione di procedibilità per le seguenti ipotesi:
  • materie in cui è già prevista la mediazione obbligatoria;
  • obbligazioni da contratti conclusi tra professionisti e consumatori;
  • procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione;
  • procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’art.696 bis c.p.c.;
  • procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;
  • procedimenti in camera di consiglio;
  • azione civile esercitata nel processo penale
  • ogni azione civile in cui la parte può stare in giudizio personalmente (giudizi davanti al giudice di pace di valore inferiore a € 1.100,00).
In ogni caso l’esperimento della negoziazione, anche quando è prevista come condizione di procedibilità, non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari e la trascrizione della domanda giudiziale.
Una particolarità che emerge dall’art. 3, comma 3, del d.l. concerne la esclusione dalla negoziazione assistita obbligatoria non solo del procedimento monitorio ma anche dell’eventuale relativo giudizio di opposizione dopo la prnuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, così ;discostandosi dal testo dell’art. 5 comma 4 lett. a) del D.Lgs. 28/2010.
Si desume che la negoziazione assistita non costituisce condizione di procedibilità della domanda né del procedimento monitorio né di quello di opposizione e ciò nemmeno dopo la pronuncia dei provvedimenti interinali.
E’ difficile comprendere le ragione di una simile scelta che potrebbe essere determinata dai dubbi interpretativi della norma in tema di mediazione.
Ciò, in ogni caso, non è sufficiente a giustificare la evidente diversità di disciplina che si determina a seconda che per la controversia, proponibile nelle forme del rito monitorio, sia prevista, in base alla materia su cui verte, la mediazione piuttosto che la negoziazione assistita come condizione di procedibilità.
La medesima considerazione vale rispetto alla eventualità che la controversia, pur soggetta a negoziazione assistita, venga proposta nelle forme del giudizio monitorio o in quelle del giudizio ordinario, atteso che in questo caso la necessità di osservare la condizione di procedibilità dipende dalla scelta dell’attore sul rito.
Non va trascurato poi che, proprio per questa ragione, l’attore potrebbe essere indotto a preferire il procedimento monitorio per evitare la fase conciliativa precontenziosa cosicchè la norma può vanificare, sotto questo specifico profilo, la finalità che la disciplina dell’art. 3 del decreto, nel suo complesso, mira a realizzare. 
La soluzione pare quindi irragionevole, e come tale in contrasto con il parametro dell’art. 3 Cost., sotto entrambi i profili sopra evidenziati.
Particolari perplessità suscita la disposizione di cui al co.6 dell’art.3 in cui il legislatore precisa che per il procedimento di negoziazione assistita che costituisce condizione di procedibilità, è esclusa l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato ed è sufficiente che la parte depositi apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ed eventualmente la documentazione comprovante i limiti di reddito.
In primo luogo appare, a mio parere, inopportuna questa disposizione in un provvedimento legislativo diretto ad  incentivare il ricorso a strumenti alternativi alla giurisdizione.
Il nuovo contesto normativo consente di affermare che la mediazione obbli-gatoria, anche nella modalità demandata dal giudice ai sensi dell’art. 5 comma 2 del d. Lgs. 28/2010), costituisce una fase prodromica o incidentale del giudizio, cosicchè, qualora non si concluda con una conciliazione, il difensore della parte non abbiente può ottenere il compenso a carico dello Stato per l’assistenza prestata nel corso di essa, salvo i limiti ed i ritardi correlati agli stanziamenti previsti.
Il decreto legge 132/2014 ha invece escluso tale possibilità rispetto alle ipotesi in cui la negoziazione assistita sia condizione di procedibilità della domanda, con una soluzione che risulta ancor più iniqua per la sua estensione perché esclude il diritto al compenso del difensore anche qualora le parti, all’esito dei quella procedura, raggiungano un accordo conciliativo.
E’ opportuno infatti chiarire che, qualora la fase stragiudiziale abbia un simile esito, difettano non solo i presupposti normativi ma anche quelli sostanziali per porre a carico dello Stato il compenso del difensore della parte non abbiente poiché, avuto riguardo ai secondi, si può verificare o che parti convengano di addebitare i costi della difesa del non abbiente alla controparte o che il non abbiente, per effetto della transazione, acquisti le risorse che gli consentono di retribuire il suo difensore (è inteso che anche l’attività svolta dal difensore nella fase stragiudiziale che non abbia un successivo sviluppo, giudiziale o conciliativo, resta esclusa dal patrocinio a spese dello Stato). 
La legittimità della previsione in esame poi non può certo discendere dall’art. 13, comma 1 della L.247/2012 che stabilisce che l’attività dell’avvocato può essere gratuita poiché tale norma allude appunto ad una possibilità e quindi comporta che sia lo stesso professionista a scegliere tale modalità di svolgimento del proprio incarico.
La norma pare quindi non conforme ai principii di cui agli artt. 2, 3, 24 e 36 Cost., ma nemmeno alla direttiva UE 2003/8 con riguardo alle controversie transfrontaliere che debbano essere precedute dalla procedura di negoziazione assistita, perché finisce per privare di assistenza tecnica la parte non abbiente che intenda partecipare alla negoziazione assistita obbligatoria, essendo quasi scontato che nessun difensore accetterà di prestare la sua opera gratuitamente in suo favore.
Vi è poi un ulteriore profilo di incostituzionalità della disposizione.   
Essa tace sulla sussistenza di un diritto al compenso per coloro che intervengano nella procedura di negoziazione assistita obbligatoria come consulenti tecnici di parte (si è già detto che le parti in sede di convenzione possono pattuire di avvalersi di tale figura).
Orbene, in difetto di una specifica esclusione, deve ritenersi, per le ragioni sopra esposte, che tali professionisti possano godere del patrocinio a spese dello Stato, a differenza degli avvocati. Palese è quindi la violazione dell’art. 3 Cost..
Restano salvi i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione comunque denominati. In tali casi i termini di prescrizione e decadenza, per materie soggette ad altri termini di procedibilità, decorrono unitamente ai medesimi.
     Questa disposizione propone criticità.
La sottoposizione a negoziazione assistita obbligatoria delle controversie relative a sinistri stradali ripropone la questione che si era presentata allorquando, a far data dal 22 marzo 2012, e sia pure per un limitato periodo di tempo, anche questa categoria di giudizi era stata assoggettata al tentativo obbligatorio di mediazione.
In particolare, soprattutto in dottrina, era risultato quanto mai controverso il rapporto tra quel presupposto e la condizione di proponibilità prevista dall’art. 145, primo comma, Cod. Assicurazioni.
Infatti la questione da risolvere era stata se il danneggiato potesse attivare la procedura di mediazione prima o durante il decorso degli spatia deliberandi previsto dall’art. 145, 1° e 2° comma  Cod.Ass. (sessanta giorni in caso di danni materiali, novanta giorni in caso di danni alla persona).
Analogamente, ora, si tratta di stabilire quale sia la relazione tra la norma speciale sopra citata e l’art.3, comma 2, d.l.132/2014.
Poiché quest’ultima norma prevede per l’invito a concludere la convenzione di negoziazione assistita requisiti di forma e di contenuto minori di quelli contemplati dall’art. 148 Cod. Ass., è ipotizzabile che esso sia inserito nella raccomandata indirizzata alla compagnia di assicurazione.
Inoltre, al fine di raccordare tra loro i due diversi termini previsti per la risposta alla sollecitazione del danneggiato, può ammettersi che venga assegnato il maggior termine di cui all’art. 145 cod. ass..
La raccomandata dovrà essere inviata anche al danneggiante. 
Questa soluzione presenta l’indubbio vantaggio di scongiurare, a fronte dell’ac-clarato esito negativo della fase stragiudiziale prevista dal codice delle assicurazioni, un ulteriore tentativo di conciliazione nelle forme della negoziazione assistita che sarebbe inutilmente gravatorio, in termini di tempi e di costi, per la parte danneggiata.
Ad essa pare però di ostacolo il dato normativo del comma 5 dell’art.3  (restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di mediazione e conciliazione, comunque denominati) che invece giustifica la sovrapposizione di forme di a.d.r. diverse.
La collocazione della norma, dopo l’elenco dei giudizi per i quali la negoziazione assistita non costituisce condizione di procedibilità (comma 1), ne rende piuttosto chiaro il significato: la procedura va espletata anche se sia stata preceduta da una diversa forma di a.d.r. prevista obbligatoriamente.
Essa quindi allude, oltre che alla procedura ex art. 145 Cod. Ass., anche ai casi di mediazione ex contractu (art. 5, comma 5, D. Lgs. 28/2010) e alle controversie agrarie in cui una delle parti possa svolgere una domanda di condanna di importo fino a cinquantamila euro, e che sono soggette, a pena di improcedibilità, al tentativo di conciliazione davanti all’ispettorato agrario ai sensi dell’art. 11, comma 3 D.Lgs. 150/2011.
Rispetto a tutte queste ipotesi la soluzione adottata con il d.l., prescindendo completamente anche dalla considerazione della durata che abbia avuto la precedente fase conciliativa, può comportare una dilatazione eccessiva dei tempi di accesso alla giustizia, oltre che un aggravio di costi difficilmente giustificabile, e pertanto non pare conforme non solo al parametro dell’art. 24 ma anche a quello dell’art. 3 Cost. 
Le medesime considerazioni valgono rispetto ai casi in cui si intenda avanzare domande oggettivamente o soggettivamente complesse, alcune delle quali soggette a negoziazione assistita e altre a mediazione obbligatoria.
A fronte di simili eventualità infatti si dovranno seguire iter stragiudiziali differenti, aventi tempi di svolgimento diversi, e già questa prospettiva costituirà un serissimo ostacolo al raggiungimento di una soluzione conciliativa tra le parti, essendo evidente che questa difficilmente può prescindere da un confronto su tutte le questioni oggetto di lite.
Non pare quindi aver tenuto conto di tutti questi aspetti l’affermazione contenuta nella relazione illustrativa al d.l. secondo cui a negoziazione assistita obbligatoria ha una funzione complementare rispetto alla mediazione obbligatoria.
Si noti che a scongiurare lo scenario quanto mai fosco che si è appena descritto non potrebbe valere nemmeno l’iniziativa preventiva delle parti di sottoporre a negoziazione assistita l’intera controversia, anche per la parte soggetta a mediazione obbligatoria, dato che i due istituti non si equivalgono e comunque l’art.3, comma 5, impone il loro cumulo.
Vedremo cosa uscirà fuori dalla prassi.
Le disposizioni di cui all’art.3 acquistano efficacia decorsi novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ossia il 09.02.2015.
 
 
3. L’accordo di negoziazione (art.5).
L’accordo che compone la controversia deve essere sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono e certificano l’autografia delle firme nonché attestano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.
L’accordo costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Tale previsione normativa stabilisce quindi, evitando possibili profili di criticità ermeneutica, che l’accordo costituisce titolo esecutivo che, a norma dell’art. 474, c. 1, c.p.c., è necessario affinché si possa procedere ad esecuzione forzata nonché perché si possa iscrivere l’ipoteca giudiziale.
Ma l’accordo di negoziazione non è un provvedimento giurisdizionale.
Tale titolo esecutivo rientra tra quelli di cui al n.1 del co.2 dell’art. 474 c.p.c. (sentenze, provvedimenti e altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva) e non tra quelli di cui al n.2 (scritture private autenticate, relati-vamente alle obbligazioni di somme di danaro in esse contenute), in quanto la convenzione di negoziazione assistita può prevedere anche obbligazioni diverse da quelle pecuniarie (obbligo di fare, obbligo di consegna).
Non solo, posto che l’art. 2818 c.c. prevede che l’ipoteca giudiziale può derivare solo da una «sentenza che porta condanna al pagamento di una somma o all’adempimento di altra obbligazione ovvero al risarcimento dei danni da liquidarsi successivamente» (comma 1) ovvero da «altri provvedimenti giudiziali ai quali la legge attribuisce tale effetto» (comma 2), si ritiene come il riferimento compiuto dal comma 1 dell’articolo 5 così strutturato possa presentare un profilo di criticità giuridica dato che la negazione assistita, come suesposto in precedenza, non è un altro che un accordo di natura transattiva molto similare allo schema dell’arbitrato irrituale.
Ebbene, proprio perché si tratta di un mero accordo esso, proprio in quanto tale, non potrebbe essere considerato alla stregua di un provvedimento giurisdi-zionale.
Ed in effetti, non sembra essere un caso che il legislatore, nel caso di arbitrato realizzato attraverso una determinazione contrattuale, nello stabilire che la controversia viene definita in deroga rispetto a quanto disposto dall’art. 824-bis c.p.c., ha implicitamente preso atto come un accordo di questo tipo, proprio perché di matrice meramente contrattuale, non possiede «gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria » (art. 824-bis c.p.c.).
Quindi, in virtù di questa discrasìa, sarebbe stato forse opportuno emendare in sede di conversione il comma succitato prevedendo espressamente che la negozia-zione assistita, una volta positivamente conclusa ed eventualmente definita “lodo contrattuale” (utilizzando quindi la dizione richiamata nell’art. 808-ter, c. 1, c.p.c.), ha gli stessi effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria e, in quanto tale, idonea a costituire titolo esecutivo per iscrivere ipoteca giudiziale.
Pur tuttavia, non può non farsi presente che tale effetto è stato espressamente previsto per la mediazione che, al pari di quella in commento, consiste in mero accordo.
Infatti, l’art. 12 decreto legislativo, 4 marzo 2010, n. 28 dispone che, ove «tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale».
         Ebbene, come allora, anche in questo caso, può ritenersi compatibile a quanto statuito dall’art. 2818 c.c. la previsione normativa di cui al comma 1 dell’art. 5 dato che, anche con tale fattispecie, come quella prevista dalla norma appena richiamata, è stata integrata.
In sede di modifica governativa sono stati introdotti il co.2 bis ed il co 4 bis all’art.5, in virtù dei quali rispettivamente l’accordo di negoziazione e quello di mediazione di cui all’art.12 co. D.lgs. 28/2010 devono essere integralmente trascritti nel precetto ai sensi dell’art.480, co.2, c.p.c..
Singolare è la contraddittorietà tra la disposizione del co.1 dell’art.1 in cui è previsto che l’accordo di negoziazione costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e la disposizione del co.3 in cui è previsto che, se le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, è necessaria l’autentica delle sottoscrizione da parte di pubblico ufficiale a ciò autorizzato per procedere alla trascrizione.
 
4. La convenzione di negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di separazione e divorzio e di modifica delle condizioni (art.6).
Il procedimento di negoziazione assistita da almeno un avvocato può essere utilizzato anche per raggiungere consensualmente:
  • la separazione personale
  • la cessazione degli effetti civili del matrimonio
  • lo scioglimento del matrimonio ex art.3 co.1 n.2) lett.b Legge n.898/1970 (casi di separazione giudiziale con sentenza passata in giudicato o di omologazione di separazione consensuale ovvero di intervenuta separazione di fatto);
  • la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
Nel testo originario l’accordo di negoziazione era escluso in presenza di figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.
Nel testo definitivo di legge, invece, sono state individuate due diverse modalità per la efficacia dell’accordo di negoziazione nel caso in cui non siano presenti figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti e nel caso in cui siano presenti.
Nel primo caso l’accordo di negoziazione assistita viene trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente il quale, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti successivi.
Si dovrebbe ritenere che, ove il P.M. ravvisi irregolarità, non sia tenuto a rilasciare il nullaosta costringendo gli avvocato a rinegoziare l’accordo sui punti non ritenuti regolari.
Nel secondo caso l’accordo di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente il quale, quando ritiene che l’accordo risponde all’interesse dei figli, lo autorizza. Quando, invece, ritiene che l’accordo non risponda all’interesse dei figli, il Procu-ratore della Repubblica lo trasmette, entro cinque giorni, al Presidente del Tribunale che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. Dopo che l’accordo verrà autorizzato si passerà agli incombenti successivi.
L’accordo raggiunto produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giurisdi-zionali che hanno definito a monte i procedimenti di separazione, di cessazione o di scioglimento degli effetti civili del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
Gli avvocati, oltre a dare atto di aver tentato di conciliare, nell’accordo di negoziazione devono espressamente far risultare di aver informato le parti della possibilità di esperire la mediazione familiare e dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori.
Poi vi è l’obbligo per l’avvocato della parte a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia autenticata dallo stesso dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’art.5 (certificazione dell’autografia delle firme e della conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico).
Questa parte della disposizione legislativa lascia delle perplessità.
Se l’accordo di negoziazione, in mancanza di figli minori o maggiorenni con i limiti indicati, è sottoposto al vaglio di regolarità del P.M. che rilascia il nulla osta e, addirittura, quando vi siano minori, alla autorizzazione dello stesso P.M. o del Presidente del Tribunale, come è possibile che debba essere l’avvocato a certificare la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico?
Problemi scaturiscono anche nei casi in cui l’accordo che sia stato sottoposto all’autorizzazione del P.M. o addirittura del Presidente del Tribunale dopo la comparizione dei coniugi: quando decorre il termine per l’invio all’ufficiale dello stato civile?
Per avere efficacia, ai fini dell’iscrizione allo Stato Civile, l’accordo che sia stato autorizzato dal Presidente del Tribunale, magari con modifiche a seguito della comparizione delle parti, è necessario che sia corredato dalla copia conforme del relativo provvedimento presidenziale? La conformità è rilasciata dalla cancelleria o dall’avvocato?
Non sono problemi di secondaria importanza perché al co.4 dell’art. 6 è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da € 2.000,00 ad € 10.000,00 (originariamente da € 5.000,00 ad € 50.000,00) a carico dell’avvocato che non provveda all’invio dell’accordo raggiunto all’ufficiale dello stato civile entro dieci giorni. E ad irrogare la sanzione è competente il Comune in cui devono essere eseguite le annotazioni.
L’art.6 inoltre prevede che gli accordi raggiunti siano annotati nell’atto di nascita, registrati negli archivi dello stato civile e iscritti negli atti di matrimonio.
 
5. Separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile.
Un’altra disposizione che interessa ed è inserita nel Capo III del provvedimento legislativo è quella che concerne la possibilità per le parti di recarsi personalmente allo stato civile per concludere un accordo per le materia di cui all’art.6.
Solo nell’ultima fase dell’iter del testo legislativo è stata aggiunta la possibilità per le parti di avvalersi facoltativamente di un avvocato.
La possibilità di avvalersi di questo procedimento semplificato è esclusa in presenza di figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti e nel caso in cui si vogliano stipulare patti di trasferimento patrimoniale.
Le parti possono recarsi dinanzi al sindaco o all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza di uno di loro o del Comune presso cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio.
L’ufficiale dello stato civile riceve le dichiarazioni delle parti, redige l’atto che viene contestualmente sottoscritto dalle parti tenendo conto di eventuali provvedi-menti giudiziali a monte.
Quando si tratti di separazione personale, ovvero di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio secondo condizioni concordate, l’ufficiale dello stato civile, una volta ricevute le dichiarazioni dei coniugi, li invita a comparire di fonte a sé non prima di trenta giorni dalla ricezione per la conferma dell’accordo e per i successivi adempi-menti.
La mancata comparizione equivale a mancata conferma dell’accordo.
Le disposizioni dell’art.12 si applicano a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione (11.12.2014).
 
6. Obblighi, doveri deontologici, garanzie dell’avvocato.
Costituisce dovere deontologico degli avvocati informare il cliente all’atto del conferimento dell’incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di negozia-zione assistita.
Va detto che nel provvedimento legislativo sono previste due precise prescrizioni deontologiche per gli avvocati: l’informativa al cliente (art.2 co.7) e il divieto di assistere la parte nell’impugnare l’accordo alla cui redazione ha partecipato (art.5 co.4).
Un’altra norma di rilevanza deontologica è prevista dall’art.9 in cui è sancita la incompatibilità dell’avvocato che ha assistito una parte nel procedimento di negoziazione assistita con l’ufficio di arbitro in relazione a controversia avente il medesimo oggetto o un oggetto connesso.
Ancora gli avvocati, come le parti e chiunque altro partecipi al procedimento di negoziazione assistita, non possono essere chiamati a testimoniare sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel corso della negoziazione.
Valgono le norme sul segreto professionale (art.200 c.p.p.) e sulle garanzie di libertà del difensore (art.103 c.p.p.).
L’avvocato è esentato dagli obblighi di segnalazione previsti dalla normativa antiriciclaggio (d.lgs. 231/2007) con riferimento alle informazioni che riceve dal pro-prio assistito o che comunque apprende nel corso del procedimento di negoziazione assistita (art.10).
Gli avvocati poi sono tenuti a trasmettere copia dell’accordo raggiunto al Consiglio dell’Ordine circondariale del luogo dove l’accordo stesso è stato raggiunto (art.11).