Anche dopo il compimento della maggiore età, la capacità di agire può essere limitata in modo più o meno ampio laddove il soggetto si trovi in uno stato di infermità mentale tale da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi; in tale frangente bisognerà parlare di incapacità legale, che comprende gli istituti dell'interdizione, dell'inabilitazione e dell'amministrazione di sostegno.
Per infermità si deve quindi intendere una malattia psico-fisica che determina un'alterazione delle facoltà intellettive e volitive rendendo il soggetto incapace di intendere e di volere. I limiti di tali limitazioni non sono da considerarsi ancora ben definiti in quanto nel corso degli anni è sorto un contrasto tra gli esponenti del mondo forense e di quello psichiatrico proprio in relazione alla nozione di infermità e, in particolare, in merito alla sua interpretazione, sulla base di un modello medico, psicologico o sociologico. Così ci si è chiesti, soprattutto in ambito penalistico, se debbano o meno essere comprese nel concetto di infermità solo le malattie mentali riconosciute in base a strumenti medici oppure anche quelle patologie, quali le anomalie del carattere o le psicopatie che rilevano da un punto di vista psicologico.
Le Sezioni Unite penali della Cosrte di Cassazione hanno tentato di porre fine alla discussione multidisciplinare affermando che il concetto in parola deve essere inteso in senso ampio e che, pertanto, rientrano tra le infermità anche i disturbi della personalità e del carattere che possono comportare l'incapacità di intendere e di volere. Sicchè, presupposto indispensabile per la sussistenza di una situazione di infermità è l'assenza della capacità di intendere e di volere.
In tal senso, quindi, le misure apprestate dall'ordinamento civilistico per tutelare i soggetti privi, in tutto o in parte, di autonomia a causa di infermità sono da ricondurre agli istiuti dell'interdizione,  dell'inabilitazione e dell'amministrazione di sostegno, tutti istituti rimodellati (o introdotti, nel caso dell'amministrazione di sostegno) dalla legge n. 06 del 2004.
La finalità di tale normativa è quella di apprestare delle solide linee guida per la tutela dell'espletamento delle funzioni di vita quotidiana mediante proprio degli interventi di sostegno temporaneo o permanente che comportino le minore limitazione possibile della capacità di agire del soggetto coinvolto.
Infatti la figura dell'amministrazione di sostegno tende in via primaria alla cura della persona, come risulta evidente anche dalla lettura dell'art 410 c.c. che stabilisce che l'amministratore di sostegno, nello svolgimento dei suoi compiti, deve tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario e, solo in via subordinata, della tutela patrimoniale.
Risulta quindi evidente come si voglia tendere a lasciare al soggetto non autonomo il maggior spazio di autonomia al fine di rispettare la dignità e la personalità umana ex art. 2 della Costituzione.
I presupposti in presenza dei quali è possibile richiedere la nomina di un amministratore di sostegno non possono prescindere dallo stato di impossibilità a provvedere ai propri interessi a causa di una infermintà mentale, anche se parziale o temporanea: in via meramente esemplificativa si può dire che potrebbero essere assistiti da amministrazione di sostegno coloro i quali hanno subito un trauma a causa di un intervento o di una malattia, quale ictus, o chi si trova in una condizione di inabilità fisica o psichica, i malati di Alzheimer, gli anziani per quelle attività che non sono in grado di compiere ( ad es. riscossione delle pensioni ), i tossicodipendenti, coloro che fanno uso di alcool ecc.....
E' bene sottolineare che, quando si procede alla nomina dell'amministratore di sostegno, il soggetto privo di autonomia è definito beneficiario, in quanto la nomina stessa avviene in suo favore, mentre nel caso di interdizione e inabilitazione la persona ricopre il ruolo di soggetto passivo in quanto la sentenza è emessa contro di lui e non a suo favore.
I principali compiti che spettano all'amministratore di sostegno devono essere indicati nel decreto di nomina: tra gli altri egli deve assistere la persona non autonoma o mediante una semplice attività di assistenza, che può consistere anche nell'esprimere il suo consenso per il compimento di determinati atti, o tramite un'attività di rappresentanza, consistente nel potere di compiere atti in nome e per conto del beneficiario. La peculiarità quindi dell'amministrazione di sostegno sta nel fatto che si tende a limitare quanto meno possibile l'autonomia dei soggetti in questione, lasciando loro la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedano la rappresentanza o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno e attribuendo al beneficiario la possibilità di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana. Quindi, l'ambito entro il quale opera l'amministratore non è predeterminato ed uguale per ogni soggetto ma varia a seconda delle differenti condizioni in cui si trovi il beneficiario ed è indicato nel decreto di nomina del giudice tutelare. 
In ciò è possibile riscontrare altre differenze rispetto all'interdizione e all'inabilitazione, dal momento che i compiti del tutore e del curatore sono prestabiliti, dovendo il primo esercitare il suo potere di rappresentanza sostituendosi all'interdetto e compiendo gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, e dovendo invece il secondo assistere l'inabilitato per i soli atti di straordinaria amministrazione.
Così i tre istituti risultano diversi sotto molteplici aspetti.
In primis va detto che l'interdizione è diventata misura residuale rispetto all'amministrazione di sostegno: l'art 414 c.c. infatti prevede che può essere interdetto chi si trovi in condizione di abituale infermintà soltanto quando ciò sia necessario per assicurare un'adeguata protezione.
Quindi scegliere tra interdizione e amministrazione di sostegno rileva dal dato quantitativo e cioè dalla valutazione dell'entità della malattia.
Secondo altri invece il profilo differenziale di scelta tra i due rimedi dipende dall'entità del patrimonio del soggetto, mentre una tesi più squisitamente giurisprudenziale considera un profilo per così dire "funzionale" e cioè quello per il quale si adotterà l'istituto che di fatto sia il più adatto alle esigenze del beneficiario.
Quindi, nei soli casi in cui l'assistenza dell'amministratore di sostegno non risulti sufficiente ad assicurare una tutela adeguata al soggetto non autonomo, potrà essere dichiarata l'interdizione o l'inabilitazione che rivestono, oggi, un ruolo marginale e residuale perchè a differenza dell'amministrazione di sostegno, limitano fortemente la capacità di agire del soggetto, ponenedo in primo piano la tutela del patrimonio e assegnando un rilievo secondario alla cura della persona, che ha, invece, importanza centrale nell'amministrazione di sostegno.
Sotto un profilo più pratico si deve evidenziare che la richiesta per la nomina di un amministratore di sostegno deve essere inoltrata tramite ricorso al giudice tutelare il quale dopo aver anche sentito l'interessato, provvede con decreto; invece, nel caso di interdizione e inabilitazione (le cui domande anche in questo caso vanno presentate con ricorso), la competenza è del tribunale e non del giudice tutelare e il procedimento non si conclude con decreto ma con sentenza, dalla cui pubblicazione decorrono gli effetti dell'interdizione o dell'inabilitazione.
Infine si ritiene fondamentale poi in questa sede  precisare i termini della questione relativa alla necessità di una difesa tecnica nel procedimento in volontaria giurisdizione per la nomina dell'amministratore di sostegno.
A parere di chi scrive va accolta senza dubbio la tesi per la quale è necessaria la presenza del difensore in tale forma di procedimento in quanto esso incide sui diritti fondamentali della persona pur non avendo natura contenziosa e in più bisogna ricordare che proprio per tale motivo al procedimento partecipa anche il Pubblico Ministero e, dunque, la presenza dell'avvocato difensore risulta un contrappeso necessario.