LA PROPONIBILITA’ DELLA DOMANDA RISARCITORIA

NELL’AMBITO DEL RITO SULL’ACCESSO

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La legge n. 241 del 1990, rubricata nuove norme in materia di procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti amministrativi, in linea con i principi generali dell’attività amministrativa, quali, in particolare, quelli relativi alla pubblicità ed alla trasparenza dell’agire amministrativo, dedica il Capo V alla regolamentazione dell’accesso ai documenti amministrativi.

Il Legislatore, mosso da un evidente intento chiarificatore, nell’art. 22 fornisce una dettagliata definizione dei concetti-chiave e dei principi regolatori della materia.

Peculiare rilevanza, in tale contesto, acquisisce la nozione dell’accesso come diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi, intesi questi ultimi come ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico provvedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.

Nel definire l’accesso come strumento diretto a favorire la partecipazione degli amministrati all’azione degli amministratori nonché ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza dell’operato pubblico, il secondo comma del sopracitato articolo annoda inequivocabilmente la disciplina sostanziale dettata dalla richiamata normativi al  dettato costituzionale di cui all’art. 97 volto a stabilire una riserva di legge rinforzata in aderenza alla quale le disposizioni di legge che disciplinano l’organizzazione dei pubblici uffici devono assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

Le successive norme contenute nel Capo V indicano i soggetti che possono esercitare e quelli nei cui confronti può essere esercitato il diritto di accesso (art. 23), descrivono le ipotesi e le categorie di documenti per le quali il diniego all’accesso oltre che legittimo è anche obbligatorio, come ad esempio quando la divulgazione di un atto possa ledere interessi preminenti quali la segretezza di Stato, la sicurezza e la difesa nazionale o ancora l’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini (art. 24) ed inoltre regolamentano le modalità di esercizio del diritto di accesso e la materia dei ricorsi avverso il diniego espresso o tacito (art. 25)

Sotto quest’ultimo aspetto, tralasciando il sistema dei rimedi esperibili nella fase contenziosa amministrativa ci si soffermerà sull’esperibilità dell’actio ad exhibendum nel processo amministrativo.

A tale proposito l’art. 24, comma 4, prevede che il richiedente, decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, possa presentare ricorso al Tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, il quale rinvia al codice del processo amministrativo il cui art. 116 disciplina il rito speciale in materia di accesso ai documenti amministrativi, prevedendo al primo comma l’esperibilità del ricorso contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso entro il termine di trenta giorni decorrente dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio.

Oltre alla proponibilità di un’autonoma azione, il codice prevede anche un’azione per così dire collegata ad un giudizio già pendente a cui la richiesta di accesso è per l’appunto connessa (comma 2).

Trattasi, ad ogni modo, di un procedimento camerale i cui termini processuali, ex art. 87 c.p.a., sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario (tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti) diretto a sfociare in una sentenza in forma semplificata con la quale, ovviamente ove ne sussistano i presupposti, si ordina all’amministrazione resistente l’esibizione dei documenti richiesti entro un termine, di norma, non superiore a trenta e se ne dettano, ove occorra, le relative modalità di ostensione.

Ciò detto, appare evidente che la decisione favorevole ha, per lo più, quale contenuto essenziale l’imposizione di un “facere nei confronti dell’amministrazione soccombente; un “facere” che prende corpo nell’ordine di esibizione dei documenti negati.

Poiché l’art. 116 nulla dice al riguardo, ci si chiede se, unitamente a tale contenuto previsto dall’art. 116, la sentenza possa anche contenere (su domanda del ricorrente) la condanna del soggetto pubblico al risarcimento del danno subito dall’istante a cui era stato illegittimamente negato o differito l’accesso,

Si ritiene che la questione possa essere affrontata attraverso due prospettive, una che tenga conto di una sorta di interpretazione sistematica delle norme contenute nel codice del processo amministrativo, l’altra che faccia leva sulla natura giuridica della situazione soggettiva azionata in giudizio e sulla tipologia di giurisdizione che in tale materia si radica in capo al Giudice amministrativo.

Sotto il primo profilo, va menzionata l’espressa previsione che l’art. 117 c.p.a. dedica all’azione di risarcimento del danno prevista in via generale nell’art. 30, comma 4, c.p.a. anche in sede di azione avverso il silenzio disposta come ulteriore forma di tutela contro l’inerzia della pubblica amministrazione.

Sicchè deve inferirsi che tale previsione possa trovare applicazione anche nel rito in materia di accesso anch’esso, come si diceva, speciale al pari del rito in materia di silenzio sopra tutto perché l’art. 116 ammette il rimedio giudiziale non soltanto contro le determinazioni ma pure contro il silenzio serbato dalla P.A. sull’istanza di accesso.

Detto altrimenti, il silenzio sanzionato dal Legislatore processuale oltre che legato all’ipotesi della mancata adozione di un provvedimento amministrativo è congiunto anche all’ipotesi della mancata risposta dell’amministrazione  a fronte di una richiesta di accesso a documenti amministrativi formulata dall’interessato.

A corroborare tale tesi soccorre, altresì, il precitato quarto comma dell’art. 30 il quale prevede il risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento (il c.d. danno da ritardo)

Pertanto, decorsi invano trenta giorni dalla richiesta di accesso, questa si intende respinta (art. 25, comma 4, L.n. 241/90), con la conseguenza che l’istante può formulare domanda risarcitoria ove adisca l’autorità giurisdizionale ex art. 116 c.p.a comprovando il dolo o la colpa dell’amministrazione nell’inosservanza del termine di trenta giorni, il danno subito ed il nesso di causalità tra la condotta silente dell’amministrazione ed il pregiudizio derivante dalla mancata ostensione del documento richiesto.

Analogamente ove il diniego dell’accesso (o il differimento illegittimo) sia espresso si può argomentare la proponibilità della richiesta risarcitoria ex art. 30, comma 2, c.p.a a mente del quale può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante sia dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa sia dal mancato esercizio di quella obbligatoria.

Sotto il secondo profilo, giova sottolineare la tipologia di giurisdizione spettante al Giudice amministrativo in tema di accesso, intesa, senz’altro, come giurisdizione esclusiva e, secondo l’ orientamento maggioritario, anche di merito.

Ne consegue in ogni caso l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 30, comma 2, in base a cui nei casi di giurisdizione esclusiva può essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi, ove si aderisca alla tesi prevalente che, in linea con le definizioni normative contenute nella Legge 241/90, qualifica l’accesso come diritto soggettivo.

In tale ipotesi il termine prescrizionale è quello quinquennale previsto dall’art. 2947 c.c.

Tuttavia, qualora si ravvisi nell’accesso una posizione differente di interesse legittimo resta ferma la proponibilità della domanda risarcitoria per lesione di interessi legittimi ex art. 30, comma 3, c.p.a assoggettata, però, al termine decadenziale di centoventi giorni decorrenti dalla conoscenza del diniego se esso è stato espresso, oppure dalla scadenza del termine di un anno decorrente dalla scadenza del termine per provvedere nel caso di diniego tacito (arg. ex art. 30, comma 4)

Va da sé che alla luce del disposto di cui al primo comma l’azione di condanna (trattandosi di materia di giurisdizione esclusiva) può essere proposta contestualmente all’actio ad exhibendum o anche in via autonoma, potendo il Giudice, nella prima evenienza, definire con il rito camerale l’azione avverso il diniego di accesso e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria la quale, nella seconda evenienza ,seguirebbe sempre la trattazione secondo il rito ordinario e non secondo quello camerale. (arg. ex art. 117, comma 6, c.p.a)

Un’ultima notazione attiene all’applicabilità dell’art. 1227 c.c. in quanto nella determinazione del quantum risarcitorio il Giudice valuta tutte le circostanze di fatto ed il comportamento complessivo delle parti (quindi anche l’eventuale concorso di colpa del danneggiato) e vi esclude i danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti, ed alla sottrazione dall’ambito della materia de qua del risarcimento in forma specifica invero incompatibile con la sfera dei pregiudizi derivanti dal diniego di accesso.