Ai tempi del processo amministrativo telematico, la “copia cartacea d’obbligo” prevale sul deposito telematico, quantomeno ai fini della decorrenza del termine per la fissazione dell’udienza cautelare.
Ad affermarlo è stata la Sesta Sezione del Consiglio di Stato che, nelle ordinanze del 3 marzo 2017 n. 880 e n. 919, dopo aver puntualmente spiegato le ragioni che renderebbero obbligatorio il deposito di una copia cartacea degli atti già depositati in via telematica oltrechè facoltativo («pur se concretamente assai auspicabile, nella situazione data») il deposito d’una o più copie “di cortesia”, ha ancorato al deposito della “copia cartacea d’obbligo” il decorso del termine dilatorio di 10 (5 nelle ipotesi di dimezzamento) giorni liberi a ritroso dall’udienza cautelare per la fissazione di detta udienza.
Benché autorevole, l’opinione espressa dal Supremo Consesso è certamente opinabile.
È vero che la doverosità del deposito di almeno una copia cartacea del fascicolo telematico emerge dalla piana lettura dell’art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 agosto 2017, n. 168.
Da tale premessa, tuttavia, il Consiglio di Stato trae conseguenze che esulano sia dalla lettera della legge sia dall’intentio del Legislatore.
Ed invero, in un processo che si estrinseca con modalità telematiche, non appare rispondere ai canoni dell’equo e giusto processo (e, nello specifico, al corollario della ragionevole durata del processo) la previsione secondo cui il deposito della “copia cartacea d’obbligo” da parte del ricorrente «è condizione per l’inizio del decorso del termine dilatorio di 10 giorni liberi a ritroso dall’udienza camerale (ovvero 5 nei casi di termini dimidiati), di cui all’art. 55, comma 5, c.p.a., con conseguente impossibilità che, prima dell’inizio di tale decorso sia fissata detta udienza (ovvero, comunque, che, in caso di fissazione comunque avvenuta, il ricorso cautelare sia trattato e definito in un’udienza camerale anteriore al completo decorso del medesimo termine)».
In un processo telematico che voglia realmente definirsi tale, la forma telematica dei depositi dovrebbe prevalere su quella cartacea, non il contrario!
Né vale a giungere a differente conclusione l’indagine circa l’intenzione del Legislatore.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio di Stato, l’intentio legis non è rinvenibile nella volontà di «consentire (in primo luogo al Collegio), una più agevole lettura degli atti processuali»: se così fosse, non si comprende perchè la doverosità del deposito della “copia cartacea d’obbligo” dovrebbe esaurirsi al 1° gennaio 2018.
Verosimilmente, l’intenzione del Legislatore è stata quella di creare, per un periodo transitorio limitato nel tempo, un regime “binario” che portasse al graduale abbandono del cartaceo in favore del telematico.
In tale ottica, la “sanzione” che il Consiglio di Stato commina in caso di omesso o ritardato deposito della “copia cartacea d’obbligo” (vale a dire la mancata fissazione ovvero trattazione dell’udienza cautelare), oltrechè squilibrata rispetto all’obiettivo perseguito dalla legge (creazione di un regime transitorio “binario”), finisce anche (e soprattutto) per contrastare proprio le finalità di accelerazione e di semplificazione cui è teso il sistema del PAT.
Peraltro, aderendo all’interpretazione espressa nelle ordinanze n. 880/2017 n. 919/2017, si andrebbe a concretizzare il pericolo che proprio il Consiglio di Stato vuole scongiurare: privare di qualsivoglia utilità ed efficacia una norma (nella specie, l’insieme delle norme che disciplinano il PAT), con conseguente violazione del canone ermeneutico recato dall’art. 1367 c.c.
Alla luce di quanto innanzi, è auspicabile che il Consiglio di Stato riveda la propria posizione espressa nelle ordinanze n. 880/2017 e n. 919/2017.
Sarà un primo (ma importante passo) verso l’abbandono della malcelata ritrosia (tutta italiana!) nei riguardi delle innovazioni tecnologiche.