Il d.lgs. 28/2010 all’art.1 lett.b), definisce il mediatore come “la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo”.

Il compito del mediatore si sostanzia in un’attività di mediazione che, se positiva, determina l’accordo conciliativo e la successiva verbalizzazione.

La previsione della pluralità e dell’eventuale decisione collegiale è riferita ai casi più complessi che richiedono una competenza maggiormente qualificata rispetto alla controversia da conciliare.

Lo svolgimento della mediazione è improntato al massimo grado d’informalità poiché il legislatore ha voluto svincolare tale fase dal rigido formalismo della procedura civile; tuttavia, incombono sul mediatore una serie di doveri e di obblighi (come quello di riservatezza, di assistenza, di definizione di una proposta lecita).

Da una parte l’art. 12 stabilisce che “il verbale di accordo, il cui contenuto non è contrario all’ordine pubblico o a norme imperative, è omologato, su istanza di parte e previo accertamento anche della regolarità formale, con decreto del presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo”, dall’altra e con riguardo alla proposta al mediatore è fatto obbligo di “formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative”.

Le due fasi differiscono sostanzialmente per il diverso apporto professionale del mediatore: nell’accordo vi è una semplice attestazione che le parti hanno raggiunto la volontà di accordarsi, mentre nella formulazione della proposta è lo stesso mediatore che propone i termini dell’accordo.

Diverse sono anche le responsabilità che incombono sul mediatore: nella formulazione della proposta contraria alle norme imperative o all’ordine pubblico la paternità dell’errore è a lui ascrivibile mentre nella verbalizzazione dell’accordo amichevole vi è la mera attestazione dell’accordo raggiunto dalle parti.

Sembra ragionevole presumere che anche in questo secondo caso sussista una responsabilità del mediatore, poiché la formalizzazione dell’avvenuto incontro della volontà delle parti in violazione di norme imperative, fa venire meno la correttezza e l’adeguatezza della prestazione professionale svolta dal mediatore, il quale avrebbe dovuto comunicare ai negoziatori che l’accordo raggiunto non avrebbe trovato riconoscimento nell’eventuale istanza di omologa dinanzi al Presidente del Tribunale.

Considerata la novità della figura professionale del mediatore, in punto di responsabilità non vi è certezza.

Da una parte si prospetta una responsabilità da contatto sociale paragonabile a quella del medico, dall’altra quella del mandatario o addirittura del lavoratore subordinato.

Infatti, i negoziatori non stipulano nessun contratto con il mediatore ma è l’organismo che mediante la designazione d’ufficio, si avvale della sua prestazione professionale.

Così inteso il rapporto tra le parti, la formazione di una proposta successivamente non omologata per violazione delle norme imperative, determinerà una responsabilità diretta o indiretta del mediatore nei confronti dei negoziatori? O potrà essere chiamato a rispondere l’organismo che si è avvalso di un professionista non qualificato in relazione alla specifica e complessa questione? E ancora, quale sarà il grado di diligenza richiesto al mediatore privo di conoscenza giuridica, si pensi a un laureato in discipline umanistiche chiamato a mediare una causa vertente una divisione ereditaria e che nella proposta conciliativa includa una clausola in violazione del divieto dei patti successori?

Riguardo al primo punto va innanzitutto precisato che l’attività del mediatore rientra nell’ambito delle obbligazioni di mezzi, in cui è richiesto un comportamento professionalmente adeguato non teso al raggiungimento del risultato migliore ma, al contrario, alla predisposizione dei mezzi necessari al raggiungimento del risultato.

Questi rimane un debitore di mezzi e non di risultato poiché si avvale dei mezzi idonei al raggiungimento del risultato richiesto dal cliente, i quali determinano in ogni caso il sorgere del compenso, salvo gli eventuale profili relativi alla responsabilità professionale. In questo senso sembra operare la previsione legislativa che riconosce il compenso del mediatore a prescindere dall’esito favorevole della mediazione.

Il contenuto principale delle obbligazioni di mezzi è il dovere di diligenza che trova il suo riferimento principale nell’art.1176 c.c. secondo cui la “diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”, una diligenza media che nel caso delle prestazioni professionali va adeguata al livello di difficoltà e pericolosità dell’attività di volta in volta eseguita e che si riflette sul livello di diligenza professionale richiesto.

Occorrerà quindi modulare la diligenza richiesta in relazione all’attività svolta che richiederà specifiche cognizioni tecniche. Non sarà richiesta una diligenza del “buon padre di famiglia, bensì quella ordinaria del “buon professionista” e cioè la diligenza normalmente adeguata in relazione al tipo di attività e alle conseguenti modalità di esecuzione della prestazione.

Se, quindi, la figura del mediatore professionista è ricompresa nella categoria delle obbligazioni di mezzo, sullo stesso graverà l’onere della prova di aver agito senza colpa e che l’inadempimento della prestazione non sia a lui imputabile.

Inoltre non va dimenticato l’ulteriore dovere d’informazione che grava sul professionista (per esempio le possibilità di successo dell’attività svolta).

Nel caso della mediazione, la responsabilità del mediatore potrebbe sussistere qualora non presti sufficienti informazioni sulla natura della mediazione, non rispetti gli obblighi di riservatezza e non comunichi le conseguenze giuridiche sugli effetti della proposta conciliativa.

Ulteriori obblighi connessi alla prestazione sono la riservatezza,  gravante non solo sul mediatore (il quale è tenuto al segreto professionale in merito a quanto conosciuto nelle sessioni riservate e salvo esplicito consenso all’utilizzazione delle notizie ricevute), ma anche nei confronti dell’organismo di mediazione il quale dovrà assicurare la riservatezza delle informazioni ricevute e contenute nella domanda di mediazione.

Premesso che le ipotesi di responsabilità aquiliana del mediatore sarebbero residuali e salvo in ogni caso l’ammissibilità di un concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, lo stesso sarà chiamato a rispondere tutte le volte in cui svolgerà la prestazione con negligenza (dimenticanza, disattenzione o inerzia), imprudenza (insufficiente avvedutezza della situazione reale) e imperizia (mancanza di preparazione professionale adeguata al ruolo ricoperto).

Salvo dolo e colpa grave (ex art.2236 c.c.), la responsabilità verrà esclusa (limitatamente alla valutazione della sola perizia), solo nel caso in cui per la difficoltà riscontrata nella soluzione del caso, vengano richieste delle competenze superiori alla media.

Come nel caso della responsabilità del medico nei confronti del paziente, riconducibile ad una natura contrattuale in virtù del contratto che il paziente stipula con la struttura sanitaria presso cui il medico svolge la sua attività, anche per il mediatore potrebbe equipararsi tale disciplina.

Più specificamente, è possibile ipotizzare che nel momento in cui una parte depositi l’istanza di mediazione, e vi partecipi, questa abbia ben in mente la possibilità che in virtù dell’attività prestata dal mediatore, l’incontro conciliativo possa trovare una soluzione positiva.

L’attività di affidamento ingenererebbe un obbligo a carico dell’organismo, il quale dovrà designare un professionista adeguatamente preparato.

Riguardo al requisito della diligenza richiesta, il legislatore ha concesso l’iscrizione negli organismi di mediazione anche a professionisti non in possesso delle conoscenze economiche-giuridiche, con ciò volendo puntare alla ricerca di soluzioni conciliative che risaltino i veri punti di conflitto tra le parti, molto spesso aventi natura personale e svincolate da un effettivo bisogno di un riconoscimento economico.

Ne deriva che la natura della prestazione del mediatore non ha un connotato esclusivamente giuridico, ma anche una natura psicologica che dovrebbe agire sugli effettivi interessi dei negoziatori e non sulle posizioni formalmente richieste nell’istanza di mediazione e riportate oralmente all’inizio della seduta.

In quest’ottica, chiaramente graverà sull’organismo di mediazione la valutazione dell’effettiva difficoltà della controversia e, successivamente, la corretta stesura del verbale conciliativo.

Non si può quindi, presupporre che il mediatore acquisisca le conoscenze tecniche-giuridiche in pochissimo tempo ma, tutt’al più, è presumibile che lo stesso, qualora le sue conoscenze non riescano a trovare una soluzione pratica, chieda all’organismo l’affiancamento di un tecnico maggiormente qualificato.

Solo in questa ipotesi, potrebbe ravvisarsi una responsabilità del mediatore per aver portato a termine un accordo ben sapendo delle difficoltà e delle limitazioni professionali. Su di lui graverebbe l’onere di adottare tutte le misure richieste e ipotizzabili sulla base delle sue conoscenze, quindi, eventualmente anche la richiesta di collaborazione con un esperto.

Viceversa, è difficile prevedere una sua responsabilità qualora inserisca una clausola in violazione di norme imperative non sapendo di cosa si tratti benché privo di conoscenze giuridiche (qui potrebbe applicarsi l’art.2236 c.c.).

In questo caso, potrebbe sussistere la colpa dell’organismo che non ha diligentemente controllato l’operato di un mediatore evidentemente e incolpevolemente inesperto.

Infatti spettano a quest’ultimo i poteri di designazione del mediatore e il potere di controllo nel momento in cui deposita l’accordo, pertanto è ragionevole presupporre una eventuale culpa in eligendo e in vigilando in capo all’organismo, considerato che l’organismo è nella condizione di poter esercitare un controllo di vigilanza sulla professionalità del mediatore e sul contenuto del verbale al fine di escludere la sussistenza di eventuali profili di invalidità.

Allo stato, quindi è plausibile ipotizzare una figura professionale del mediatore che punti ad affiancare aspetti comunicativi e psicologici prodromici all’accordo raggiunto ad ulteriori aspetti tecnici-economici-giuridici, determinanti nel perfezionamento del contenuto della proposta contrattuale.

Non a caso il legislatore ha qualificato il mediatore all’art.1 lett.b) del d.lgs. 28/2010, come “la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione”.

Ragionevole, risulterebbe la designazione di un mediatore che venga affiancato sinergicamente da altre figure professionali di volta in volta richieste in relazione alla natura e alla difficoltà del caso, di modo che da un lato venga garantito il raggiungimento di un accordo e la redazione di una successiva proposta dai contenuti (molto spesso tecnici!) esaustivi e satisfattivi dei bisogni dei negoziatori, dall’altro, garantisca la completezza del contenuto dell’accordo senza che questo sia fonte di successivi contrasti.

Su questi aspetti si disputerà la valutazione in ordine la diligenza richiesta al mediatore e all’organismo di mediazione, nonché il controllo sull’operato svolto dal professionista presso la cui sede opererà.

Infine, altra natura ha la responsabilità che potrebbe ravvisarsi nell’applicazione ai mediatori dell’art.2049 c.c.

In effetti un controllo sull’operato del mediatore sarebbe opportuno considerato quanto sopra premesso, tuttavia allo stato non sembra sussistere il requisito della supremazia gerarchica in capo all’organismo né è ipotizzabile qualificare il mediatore come ausiliario o collaboratore poiché opera in autonomia e senza dipendenza.